Magazine Diario personale

Diritto alla Salute

Da Doppiogeffer @DoppioGeffer
Patti chiari e amicizia lunga; questo post non è uno dei soliti. Infatti, oggi, vorrei parlarvi di un grave problema che affligge la cittadina in cui vivo. Voglio parlarvi dell'ospedale. O meglio, di quando avevamo l'ospedale.
Fin da piccola, vuoi per motivi di salute o perchè mi divertivo a stare con papà, ho frequentato l'Ospedale in cui lavorava. Un ospedale grande e tetro, da quel che ricordo, illuminato di tanto in tanto da grandi finestre con le sbarre, quando ancora si trovava nella vecchia sede.Un ospedale pieno di vita, morte, speranza e persone provenienti dai vari paesi limitrofi.
Qui, tra un giro al Pronto Soccorso e uno tra i reparti, si respirava aria di disinfettante e di famiglia perchè le infermiere e i medici stessi trattavano i pazienti come se fossero loro amici giacchè, in fondo, ci si conosceva un poco tutti.
Ed io, la piccola figlia del dottore, ero sempre all'opera assistendo, dove possibile, nelle medicazioni o giocandpo con i pazienti di ortopedia facendo gare di velocità su sedia a rotelle nei corridoi.

Quando invece papà aveva a che fare con patologie con le quali non voleva entrassi in contatto, guardavo i cartoni animati nella stanza delle infermiere, o andavo a mangiare i maccheroni con la salsa nella cucina al pian terreno; altrimenti raccontavo barzellette e favole ai bambini più piccoli per cercare di far passare loro la paura prima della visita.Mi divertivo a suonare la sirena delle ambulanze nei rari momenti di quiete, a raccogliere i fiori delle aiuole o ad andare al bar vicino per prendere un bicchiere di succo di frutta insieme ai tirocinanti sentendomi grande tra quegli adulti.
Ho imparato a fare i gessi, le leggi fisiche dietro le trazioni e la differenza tra puntura intramuscolare e endovenosa.
Ho scoperto cosa fare nel caso in cui ci sia un'emorragia venosa e cosa non fare nel caso in cui sia arteriosa.Ho visto i malati mentali, con le loro facce contrite e i loro discorsi apparentemente insensati, e ci chiacchieravo tranquillamente sperando che un poco di attenzioni in più li facesse stare meglio.
Ho subito anche tante punture, flebo, radiografie e analisi al sangue, se è per questo.
Sono stata paziente e osservatrice.
Ho visto come si leva una zecca su un essere umano e mi son spaventata di quel minuscolo insetto così pericoloso. Ho visto braccia fuori asse, ossa che han perforato muscoli, traumi di vario genere, patologie di ogni tipo.
Ed ho incominciato ad aver paura delle malattie, lo ammetto.
Però, grazie a quell'ospedale, ho anche visto come la droga possa rovinare le persone e ne son rimasta talmente traumatizzata da non aver mai voluto provare nulla che potesse inibire il mio cervello.
Salvo la nicotina, ma questo è un altro discorso.  
Insomma, in quell'ospedale ci sono cresciuta voluta bene da tutti, pazienti o infermieri che fossero.
Pian piano, però, l'ospedale fu smantellato per trasferirlo in una nuova sede più grande e moderna. Un poco fuori dal centro della città, ma sempre e comunque facile da raggiungere.
Ed eravamo tutti felici. Felici dei nuovi reparti, delle stanze più grandi e luminose, dell'edificio saldo ed elegante.
In più, poco distante dalla nuova sede, ci son tanti campi dai quali sbucano di tanto in tanto dei conigli. Ed era bello affacciarsi dai reparti posti ai piani alti per guardare questi animaletti saltellare indisturbati tra i cespugli o per guardare il mare che si stagliava all'orizzonte nelle belle giornate prive di nuvole e perchè no, guardare anche l'Etna durante una delle sue spettacolari eruzioni.
In più si respirava aria di zagare quando giungeva l'estate e tutto intorno si sentiva aria di serenità psicologica anche se circondati da malattie.
Almeno...questo si faceva quando ancora l'ospedale c'era.
Perchè adesso, da un paio di anni a questa parte e per ridimensionamento delle strutture ospedaliere, esso è stato chiuso.
Reparto dopo reparto, ci han levato tutto.
Anche il Pronto Soccorso, seppur "attivo" è praticamente inutile in quanto mancano medicinali, macchinari per la radiologia e quant'altro di utile possa esserci per dare i primi soccorsi.
Non c'è più ostetricia, non c'è più ortopedia, non c'è più geriatria...non c'è più niente. Solo un edificio vuoto, freddo e abbandonato salvo per quei due o tre medici ed infermieri lasciati lì in balia dei pazienti incazzati per la mancanza dei reparti.
C'è desolazione.
E tra i cittadini del paese e di quelli ad esso limitrofi, c'è preoccupazione. Oserei dire quasi paura di ammalarsi.
Perchè? Perchè adesso l'ospedale più vicino si trova a 10 km di distanza da dove abito io. Quaranta, addirittura, per chi abita più a monte.
Così, in tanti, abbiamo manifestato contro questa violazione del diritto alla nostra salute. Ci son state manifestazioni silenti, fiaccolate, flashmob, organizzazioni nate per dar voce ai cittadini, petizioni inviate a qualsiasi politico potesse intercedere per noi...di tutto e di più. C'è stata anche una manifestazione durante l'apertura della Porta Santa della chiesa del Duomo ad opera del Vescovo.
E tutto ciò è servito? No.
Chi di competenza o adduce ad ordini dall'alto ormai irrevocabili o ad altre supercazzole belle e buone. Intanto, però, qui si muore. Già nello scorso anno ci son state morti che forse potevan esser evitate se vi fosse stata la possibilità di portarli tempestivamente in un ospedale vicino e non a chilometri e chilometri di distanza.Inoltre negli ospedali ancora aperti dove dobbiamo, volenti o nolenti, recarci, c'è un tale numero di pazienti da esser spesso lasciati nelle barelle in mezzo al corridoio privi di ogni dignità.
Gli stessi medici ed infermieri, seppur mossi dal desiderio di aiutare tutti, sono costretti a far visite sommarie perchè c'è sempre un codice più grave rispetto a quello or ora sotto osservazione.
C'è addirittura chi entra in ospedale alle 10 del mattino per un accertamento (magari in seguito ad un incidente in auto) ed esce di lì a mezzanotte. Oppure, nei giorni più pesanti, è anche costretto a tornare a distanza di uno o due giorni sperando sempre di non avere una qualche emorragia interna o una costola incrinata che gli perfori un polmone.
Insomma, siamo nelle mani di nessuno.

La salute e la possibilità di esser curati credo che siano diritti inalienabili dell'essere umano.
E non concepisco queste scelte politiche che nascondono dietro la parola "ridimensionamento" qualcosa di ben più terribile come la privatizzazione della sanità.Non si può aver paura di ammalarsi, non si può rischiare di morire anche per una banale appendicite.
Non si può più vivere così.
E lo dico da paziente, cittadina e "figlia dell'Ospedale".
Siamo esseri umani, vogliamo rispetto.


So che le mie sono solo parole al vento, ma vorrei che questo problema non passi inosservato. Vero è che non siam gli unici, in Sicilia così come in altre regioni, a subire questo maledetto ridimensionamento, ma qui sta provocando davvero grossi problemi per tutti, cittadini ed operatori sanitari compresi.E sarebbe bello se ci fosse qualcuno di competenza che, passata una mano sulla coscienza, prendesse provvedimenti seri.Le malattie non fanno distinzione tra ricchi e poveri, politici e cittadini. Ed è giusto che tutti, indistintamente, possano curarsi.

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog