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Divorzio a Buda / Sàndor Màrài

Creato il 30 settembre 2010 da Lo Sciame Inquieto
Divorzio a Buda / Sàndor Màrài Divorzio a Buda / Sàndor Màrài. Palermo: Adeplhi, 2002.
Il primo libro che ho letto di Sàndor Màrài è stato Le braci. Forse non bisognerebbe mai accostarsi a uno scrittore (e a un artista in generale) cominciando dal suo capolavoro, perché inevitabilmente il confronto sarà difficile da gestire e inevitabilmente condizionerà il giudizio finale.
Intanto cominciamo dalla storia di Divorzio a Buda: Kristof Komives è un integerrimo magistrato vicino alla quarantina che vive a Buda e si occupa di cause di separazione. L'assoluta regolarità della sua vita lavorativa e familiare viene all'improvviso interrotta quando il magistrato si trova sulla scrivania le carte della separazione tra il medico Imre Greiner, suo vecchio compagno di scuola, e la moglie, Anna Fazekas, la donna che ha incontrato poche ma significative volte nella sua vita.
Due terzi del libro sono dedicati alla descrizione del protagonista Komives: la sua famiglia, la sua educazione, le persone importanti della vita, il lavoro, i suoi principi ideali e morali, la sua visione della modernità. È la preparazione all'incontro finale con Imre che occupa l'ultimo terzo del volume, un incontro che produce una potente accelerazione del ritmo della scrittura, introducendoci a quei dialoghi/monologhi che, secondo me, costituiscono l'aspetto più dirompente della scrittura di Màrài.
Divorzio a Buda mi ha certamente confermata nell'idea che Màrài è uno scrittore affascinante e che ha una modalità e una tecnica di scrittura assolutamente originali. Dall'altro lato, però, questa narrazione mi è sembrata meno compatta e meno emotivamente coinvolgente rispetto a quella de Le braci. Probabilmente perché, conoscendo lo stile dello scrittore, in parte si comprende fin da subito dove porterà il racconto e la rivelazione delle pagine finali finisce per non essere così dirompente come forse ci si aspetterebbe. In realtà, la stessa cosa accade ne Le braci, con la differenza che in quel caso siamo travolti dalle parole del protagonista in modo così intimo e intenso che non è la gravità o l'importanza dei fatti a conquistarci, bensì i movimenti dell'animo umano.
Non che tutto questo non sia presente in Divorzio a Buda. In particolare, trovo mirabile il modo in cui Màrài utilizza il personaggio di Kristof Komives (e il suo contrappunto, Imre Greiner) per rappresentare il passaggio di un'epoca, il confronto tra un mondo vecchio e uno nuovo con tutto quello che porta con sé. Buda e Pest, ossia la città storica arrampicata sulle colline e la città nuova costruita nella grande piana al di là del fiume, diventano il simbolo dell'antico e del moderno, civiltà e barbarie.
Komives è un uomo saldamente legato ai principi del passato; da un punto di vista personale e sociale crede nella necessità di far prevalere il buon senso, la razionalità, l'ordine, la pazienza, su una confusa e disordinata ricerca di emozioni e novità, capaci di causare solo sofferenza, distruzione e sovvertimento delle leggi naturali.
In realtà, anch'egli avverte in profondità l'urgenza del cambiamento, il senso di limite che regole sociali così rigide impongono, sebbene viva questa necessità con paura e inquietudine perché riconosce l'ingestibilità di una vita vissuta all'insegna dell'istintività e dei sentimenti.
«Che cosa c'era in fondo a quella fretta? Talvolta, nei momenti di oscura inquietudine, pensava: la morte, forse, una sorta di profondo, segreto, sicuramente non "morale" desiderio di morte, o invece la paura di morire - e da qualche tempo riteneva ormai che le due cose fossero tutt'uno.» (p. 20-21)
Dall'altro lato, Imre Greiner materializzerà ai suoi occhi le conseguenze della volontà di aderire ai propri desideri, di vivere i sentimenti fino in fondo, di non accontentarsi di quello che è buono ed accettabile, bensì di cercare la pienezza delle cose, di sperimentare l'urgenza della vita.
Il conflitto e il senso di inadeguatezza che sono spesso caratteristici delle epoche di transizione è tratteggiato con maestria e con uno straordinario sapore di modernità. A me, per esempio, ha fatto venire in mente il dibattito che negli ultimi anni sta attraversando e dividendo gli intellettuali di tutto il mondo, ossia quello relativo alle conseguenze sociali e culturali di Internet e al modo nuovo in cui la generazione che è nata con Internet gestisce saperi e sentimenti. Si delinea una contrapposizione tra civiltà e barbarie, che è stata variamente declinata anche nel nostro paese. In particolare, si veda il dibattito suscitato da un articolo pubblicato da Alessandro Baricco sulla rivista Wired.
Ed ognuno di noi, generazione di mezzo in piena transizione, capisce Komives, ma anche Greiner. Sono cambiati i contesti, le opzioni materiali, le condizioni personali, ma gli interrogativi e le sensazioni restano gli stessi. Da questo punto di vista, tutte le epoche di transizione si trovano nella necessità di: « […] decidere cosa, del mondo vecchio, vogliamo portare fino al mondo nuovo.» (I barbari. Saggio sulla mutazione / Alessandro Baricco. Feltrinelli: Milano 2008, pp. 179)
Non ci si può opporre realmente al cambiamento, che è un'esigenza profonda dell'animo umano. Come dice Màrài: «Forse si trattava di questo: non bisognava difendersi... C'era qualcosa di inequivocabile nell'essere umano, qualcosa che quasi urlava: e di fronte a quell'ordine non bisognava rimanere sordi.» (p. 50)
Voto: 3,5/5

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