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Domani ricade l'anniversario della strage di Ustica, ovvero dell'abbattimento di un areo civile sui cieli del Tirreno, tra Ponza e Ustica.
Non ho voglia di mischiarmi con i "professionisti della ricorrenza" e preferisco ricordarmi di questo ennesimo mistero italiano, oggi.
Domani, su quasi tutti i giornali, sarà un fiorire di articoli su vecchie piste, vecchie polemiche. Quelli pro bomba (filone Giovanardi) e quelli pro missile (o near collision).
Sarà stato un missile francese, come ha raccontato (troppo tardi, perchè fosse utile ai magistrati) Cossiga?
Un mig libico, come nella ricostruzione di Priore (che ci ha raccontato anche Paolini)?
Meglio cercare di non farsi trascinare in queste ipotesi: se le nazioni della Nato avessero voluto veramente aiutarci per chiarire quelle morti innocenti (la Francia, gli Usa, e anche la Libia dell'amico Gheddafi) sapremmo già tutto o quasi.
Meglio concentrarsi sulle poche cose certe: quella sera non è vero che non c'erano altri aerei attorno al DC9 (ci sono i plot analizzati anche dagli americani, le voci dei radaristi e degli ufficiali rimaste registrate, le testimonianze del generale Bozzo). La bomba? Come poteva scoppiare e lasciare intatto la tavoletta del bagno? E poi, l'aereo è partito con un'ora e mezza di ritardo.
Su questa vicenda hanno mentito i nostri alleati (o sono stati reticenti) e anche i nostri vertici militari. Quelli che dovrebbero sorvegliare sulla nostra sicurezza.
E hanno mentito (o comunque non hanno fatto tutto il possibile) anche i politici e i governi che si sono susseguiti da quel 27 giugno 1980.
In nome di cosa? Anche qui per una ragione di stato?
Chi lo spiega ai parenti delle vittime che le vite dei loro cari vengono dopo?
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