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Don Pizzarro infligge la penitenza a Cortéz the Killer: “Basta che i giornalisti riportino i fatti nel modo più obiettivo possibile. Alle opinioni ci pensano i lettori”

Creato il 01 ottobre 2012 da Cremonademocratica @paolozignani

Cortéz the killer in un articolo ha sostenuto che a Cremona c’è una crisi di opinioni. Don Pizzarro gli dà la penitenza:

 

Carissimo Cortéz the killer. Ho letto attentamente il tuo commento e – a parte il concetto di opinione, di cui cercherò di occuparmi – l’ho trovato in più punti in sintonia con il mio. L’importanza, anzi la necessità di una seconda voce. Cronaca “contraltare”. Eccetera. Ma è sul concetto di opinione, dunque, che vorrei soffermarmi. Io – in proposito – ho un’idea probabilmente un poco controcorrente. Breve digressione. Mario Sechi, l’inventore” di Panorama, che trasformò da mensile a settimanale di notizie (ingaggiò importanti battaglie: aborto, divorzio…), sosteneva che i fatti vanno separati delle opinioni. Io ritengo che il giornalista renderebbe già un buon servizio alla collettività se solo riportasse i fatti in maniera il più possibile obiettiva i fatti. Capisco anche che nel pezzo giornalistico un minimo di ‘punto di vista’ dello scrivente ci entra. Inevitabilmente. Altrimenti sarebbe meglio parlare di addetto stampa, non di giornalista. Non sto divagando. Arrivo al punto. L’opinione. In ogni pezzo giornalistico, che non sia un copia-incolla di un comunicato stampa, l’opinione del giornalista traspare. Dico l’opinione del giornalista, che può essere tuttavia – e su questo penso di trovare una consonanza tra le mie e le tue idee – l’opinione di chi dietro il giornalista sta. Eterodirigendolo. Sono d’accordo con te quando dici che a Cremona mancano le opinioni. Ma io ritengo che bastarebbe che il giornalista riportaresse – scusa se mi ripeto – la notizia in maniera obiettiva, seria. Poi sarà il lettore-cittadino responsabile a formarsi un’opinione. Non serve – insomma – che l’opinione gli venga preconfezionata, che qualcuno gliela formi, gliela faccia trovare pronta all’uso. Quelli che vengono pomposamente definiti – e che sulla grande stampa trovano terreno fertile – opinion maker o opinion leader, servono solo a fare da megafono, ad amplificare la voce del padrone di turno. Corifei di un pensiero che non risiede nella loro testa.
“Dibattito, POLITICA, POLIS, CITTA’, AGORA’”. Ok. Tutte belle parole. Concetti importanti. Ma non è compito degli organi di informazione – o comunque non principalmente loro, che possono al massimo fornire lo spunto – garantire “scambio” e “confronto”. E’ il cittadino attivo, partecipe, che nelle sedi opportune (associazioni, dibattiti pubblici, convegni, tavole rotonde…), una volta che si è formato una opinione (anche sui media), deve mettersi a ‘ballare’. Leggi: discutere. Riflettere. Confrontarsi. E, perchè no?, lottare.
La forma cooperativa. Altro che solo “idealmente” è “l’unica in grado di garantire un’informazione il più libera possibile da logiche di potere o mercato”. Lo è anche nei fatti. Se i soci sono anche lavoratori. E non hanno cappelli da portare, ordini da non disattendere, un “particulare” di qualcun altro da perorare. Quindi non è vero che la forma cooperativa “non pone al riparo da un bel nulla”. Ciò che è vero, a mio avviso, è che la forma cooperativa, senza dietro un rubinetto sempre aperto al quale abbeverarsi (chiamiamolo fondi pubblici), da sola non basta.

Don Pizzarro

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