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Dove risiede chi scrive

Da Marcofre

I linguaggi della scienza non possono raggiungere certi fenomeni, e nemmeno esprimerli.

 

Questa è una frase di Ingeborg Bachmann, e mi ha richiamato alla mente una riflessione di Flannery O’Connor. A cosa si riferiva Bachmann? Ma al ruolo della letteratura. Lui affermava questo negli anni Settanta, e constatava come le scienze si proponessero di spiegare e svelare ogni aspetto del reale. E tuttavia aggiungeva che esisteva un territorio dove queste non potevano spingersi.

Almeno vent’anni prima Flannery O’Connor scriveva come ci fosse molto spazio per la letteratura, perché tutto diventava così materialista da aprirsi un territorio enorme per chi scriveva.

Ma, aggiungo io, non mi sorprende molto che certa letteratura rimanga ai margini, e non a causa di scarsa capacità di chi scrive (o forse si?).

Certo, si tratta di quisquilie, meglio scrivere. Ma siccome scrivere non è una quisquilia, e le parole sanno anche essere pesanti, meglio scrivere, e interrogarsi.
Per esempio: le parole sono usate per nascondere. Si parla spesso di “disagio”, ed è una specie di mantello che copre tutto, e offre la giusta indeterminatezza, capace di voler dire tutto, senza dire molto. È una sorta di segnale di pericolo: “Attenzione, ci si sta per inoltrare in un territorio insidioso. Meglio stare alla larga”.

Dolore: è invece una parola che è meglio pronunciare il meno possibile. È scorretta. Scopre troppo. Rende benissimo l’idea di vulnerabilità.
Semplificando parecchio: disagio è il linguaggio della scienza (di una certa scienza). Dolore appartiene al territorio dove si inoltra chi scrive.

Pensare con cura le parole quando si scrive, senza alcuna fretta. Perché dicono dove siamo, dove abbiamo scelto di risiedere.


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