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Dragon Eyes

Creato il 31 maggio 2012 da Robydick
Dragon Eyes2012, John Hyams.
Nel 2012 come agli esordi, ma per motivi diversissimi, Van Damme, star un po' in disuso, diventa coprimario di un action diretto da John Hyams, autore del deludente Universal soldiers regeneration. John è figlio del regista di Timecop, una delle vette più celebri e nobili della filmografia del belga, e finora il confronto col padre era stato impietoso.
Finora.
Van Damme, dopo JCVD, non passa un bel momento, certo non paragonabile al periodo post Tsui Hark che lo farà sprofondar nel bieco B movie senza gloria, ma insomma non fatto proprio, almeno a livello di budget, di grandi produzioni. Certo le ultime cose, soprattutto Assassination games con l'altrettanto straordinario ex Boyka, Scott Adkins, sono buoni film, ma la fotografia, le location bulgare, gli attori fanno percepire un'aria abbastanza miserabile di B movie non proprio pensato per il cinema. Certo c'è Van Damme, l'uomo capace di rendere vendibile pure una cosa immonda come Second in command, ma si capisce che, con i suoi capelli sempre più bianchi e radi, con le rughe marcate sul viso, l'attore sente il bisogno di ruoli più maturi dell'atleta famoso per le sue spaccate. JCVD di Mabrouk El Mechri è il punto di non ritorno, la consapevolezza di aver toccato le stelle e, per colpa di scelte sbagliate da testa di cazzo, droga, violenza, voglia solo di soldi, di essersi sporcato l'immagine, di aver deluso, per citare il film, “il suo dojo”. Ecco quindi che il post JCVD è fatto di interpretazioni pacate, di meditazioni prima che di pestaggi, di personaggi tormentati che hanno, come il nostro Gianni Claudio, toccato l'inferno e ne sono stati segnati per sempre.
Dragon EyesDragon eyes, dalle premesse, sembra una pietra tombale per Van Damme: il suo nome spicca sul cartellone, ma sullo schermo ci sarà si e no 15 minuti in un totale di un'ora e mezzo di girato. Un po' come agli esordi, ai tempi di Kickboxers e Black eagle, ma qui con la consapolezza che non si parla più di un giovane esordente, ma di un mito dell'action. Eppure questi 15 minuti, per assurdo, questo grande regalo che fa Jonathan Hyams alla star belga, sono un atto d'amore verso il cinema vandammiano. Non importa che il protagonista sia il vietnamita Cung Le, che ci sia un grandissimo Peter Weller non più Robocop, Dragon eyes regala al pubblico il miglior Van Damme degli ultimi anni e questo basta per relegare il film nell'olimpo vandammiano. Basti pensare all'inizio quando allena lo sfortunato protagonista con i suoi celebri calci sciorinando battute come “Se sei un uomo combatti a due zampe” o quando racconta la sua tragedia greca con figlio ucciso per sbaglio. Ecco che parte un piano sequenza d'applauso dove la mdp insegue Van Damme che fa fuori tre energumeni armati di tutto punto in un'idea precisa di messa in scena che sublima l'impianto produttivo. Van Damme riveste i panni del maestro, di Tiano, nome mitologizzante, e resta la cosa più notevole di un film che narrativamente è la riproposta del classico La sfida dei samurai e quindi di Per un pugno di dollari (ad un certo punto Cung Le si metterà un poncho simile a quello di Cint Eastwood).
Dragon eyes è carne e sangue, il suo attore protagonista è intercambiabile con un soprammobile, ma, Madonna santa, quando mena che furia! Non si vedeva da tanto un film con una tale rabbia nei pestaggi, con una tale dose di realismo da far sentire nelle propria ossa le fratture. Cung Le, lottatore professionista, con la sua faccia antipatica e il viso segnato dalla vita è il simbolo di un film che vive una strana alchimia di elementi sbagliati che incontrano il meraviglioso. Ecco che un gigionesco Peter Weller diventa quasi Al Pacino in un ruolo da mafioso italiano che urla incazzato parolacce nel nostro idioma, “Cazzo”, “Vaffanculo”, “Figlio di puttana”, con accento sbagliato, un po' come quando Anthony Wong in Beast cops biascicava insulti coatti. Genio.
Eccola la fotografia sbiadita da film di terzo mondo che impreziosisce l'aria da apocalisse che la pellicola ha nell'anima. Ecco che le varie gang antagoniste ricordano con nostalgia più un Albert Pyun all black come The Wrecking Crew che un brutto parto di The Shield. Ecco che le scene alla Guy Ritchie acquistano una dimensione tutta originale nella messa in scena così potente di John Hyams, l'uomo che davvero avevamo odiato la prova precedente e che ora potrebbe essere l'arcangelo Gabriele. Dragon eyes è senza dubbio un film imperfetto, ma senza questa imperfezione, senza i suoi sbilanciamenti, senza la trama che capisci una volta si e cento no, senza le sue coreografie che fanno il culo ai vari Explendables, senza Van Damme ombroso e teatraleggiante, senza un protagonista che se ride o piange è lo stesso, senza il “Cazzo” urlato alla fine nel sangue da Weller, no non sarebbe stato lo stesso.
E allora questa volta sporchiamoci con gusto nella melma del B movie più bello degli ultimi anni. Felici di essere serie B naturalmente.
Dragon EyesKeoma
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