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Drakengard 3 – Recensione

Da Videogiochi @ZGiochi
Recensione del 03/06/2014

Cover Drakengard 3

PS3 Pegi 18 TESTATO SU
PS3

Genere: ,

Sviluppatore: Square Enix

Produttore: Square Enix

Distributore: Koch Media

Lingua: Inglese

Giocatori: 1

Data di uscita: 21/05/2014

Drakengard 3 – Recensione PS3

EUR 54,00

VISITA LA SCHEDA DI Drakengard 3

Pro-1Non smette mai di stupire... Contro-1... O di irritare, se è per questo

Pro-2Trama e colonna sonora formano un idillio di rara bellezza... Contro-2... Gameplay e comparto tecnico viceversa sembrano rimasti una generazione indietro...

Pro-3Il boss finale Contro-3Il boss finale

Nato dalla collaborazione tra Cavia e Square Enix, Drakengard (Drag-On Dragoon in Giappone) vede la luce nel lontano 2003, in esclusiva PS2. Non esattamente un best-seller ai suoi tempi e tuttora ignoto alla stragrande maggioranza della comunità videoludica, il titolo viene ricordato principalmente per il comparto narrativo, riconosciuto come uno dei più inquietanti di sempre, non soltanto per via dei toni molto più cupi e maturi rispetto alla media dei JRPG fantasy, ma a causa della violenza inaudita a schermo (anche e soprattutto tra il cast di protagonisti) e immagini che definire grottesche o disturbanti sarebbe un complimento, caratterizzate tra l’altro da una narrazione frammentata e nebulosa che si schiude gradualmente senza mai fornire una visione completa del disegno partorito dai suoi creatori. Il gioco in sé è quello che è, gameplay e realizzazione tecnica lasciano alquanto a desiderare, tuttavia la sola trama ha permesso a Drakengard di scavarsi una piccola nicchia di appassionati, tanto che negli anni a venire sono stati sviluppati ben due seguiti, uno diretto e uno spirituale, sulla base di 2 dei 5 epiloghi sbloccabili (per la cronaca, tutti “bad ending”): Drakengard 2, sempre per PS2, e Nier, multi-piattaforma targato 2010.

Non stupisce quindi che l’annuncio di un terzo capitolo della saga per PS3, anteriore al primo, abbia destato più di qualche curioso, in particolar modo la presentazione della succosa versione retail in tiratura limitata (da noi il gioco è altrimenti disponibile solo tramite PSN), un’ottima “argomentazione” per convincere quella manciata di dubbiosi (me compreso, NdR). In questi giorni, dopo un estenuante download di 25GB, tra software e DLC, abbiamo avuto modo di macinare a suon di rage tutto quel che la produzione Access Games (composta da buona parte del team Cavia originale) aveva da offrire; le nostre impressioni a caldo? Immaginate un Final Fantasy in chiave action, diretto da Tarantino e sviluppato da Suda 51. Incuriositi? Allora leggete il resto della recensione, ne avremo per molto…

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ORE WA ZERO DA

Oscura, avvolgente, l’atmosfera densa e opprimente è il fiore all’occhiello di Drakengard, che contemporaneamente esalta la storyline, ora drammatica, ora tragica, ora toccante; in occasione del decimo anniversario, viste le figure alle redini del progetto, era lecito aspettarsi un trattamento quantomeno simile da questo prequel, e Drakengard 3 è forse riuscito a mantenere intatte le aspettative? Certo, anzi, è andato ben oltre: complici i dieci anni di esperienza, il titolo Access Games sintetizza magistralmente i tratti salienti dei suoi precessori (o successori in termini di timeline), amalgamando intorno al battle system frenetico e moderatamente tecnico di Drakengard 2 il il piglio malinconico e “nichilista” di Nier con lo stile veemente e “anticlimatico” di Drakengard, ma questi, pur rappresentando il cuore pulsante dell’esperienza (e dell’intero brand a dire il vero), emergendo con forza durante le cut-scene conclusive della campagna, quasi una ricompensa al termine di un tortuoso viaggio, devono spesso cedere il passo all’anima più superficiale e marcata del gioco, probabilmente l’unica che sarà recepita dal pubblico. Perché Drakengard 3 è essenzialmente violento, molto violento, a livelli quasi comici, volgare, infarcito com’è di doppi sensi, insulti gratuiti e parolacce degne di The Saboteur, e nonsense allo stato puro, da non paragonare alla media degli anime moderni o ad un Saints Row a caso, bensì a quel trash da B-Movie che ben si sposa con il gore, tanto caro ai primi anni 2000. Inutile dire che non ci azzarderemo a dissacrare nulla di questo caotico calderone, né ad analizzarlo pezzo per pezzo o a cercare simbolismi inesistenti, Drakengard 3 è cristallino, diretto, non si nasconde dietro a convenzioni o buonismi, rappresenta la massima espressione del “trollaggio” videoludico, e noi lo adoriamo in quanto tale, esattamente come lui odia noi; non affezionatevi troppo ai personaggi, non lasciatevi convincere di aver visto tutto e non ipotizzate mai cosa potrà accadervi, tanto qualunque cosa possa frullarvi nel cervello Drakengard 3 sarà sempre un passo avanti, tirate avanti imperterriti e vi stupirà; in caso contrario, preparatevi a restarci male.

Vestiremo i succinti panni di Zero, una Intoner, esseri dalle sembianze umane in grado di controllare l’equilibrio del mondo tramite il canto, in viaggio assieme al drago Mikhail per uccidere le sue cinque sorelle, anche loro Intoner, e sottrargli così i poteri. Fine, sul serio… Dopo un prologo in pompa magna, composto da rapide sequenze di squartamenti ai danni dei soldati di guardia, cut-scene altamente spettacolari e una presentazione tra lo shounen classico e lo spaghetti western, finito abbastanza male per la nostra protagonista, una dissolvenza ci porterà avanti di un anno, al cospetto di una Zero provata dalle ferite riportate e ancora più incavolata dalla sconfitta subita. Neanche il tempo di capire cosa sia effettivamente successo in questo lasso di tempo che impugnerà, barcollante, la spada e si dirigerà sprezzante alla volta dei santuari ove si nascondono le altre Intoner, e qui ha inizio la brillante opera di disillusione di Drakengard 3. L’assenza di un antefatto lascia presupporre una qualche sotto-trama intricata, volutamente occultata al giocatore per permettergli di coglierne il senso con il graduale evolversi della storia, ed effettivamente è così, tra un “verso” e l’altro apprendiamo informazioni più o meno utili su Zero, il suo obiettivo, il ruolo dei vari personaggi e le leggi che regolano questo bizzarro universo fantasy-medievale, tuttavia mentre si mettono insieme i tasselli del puzzle cresce anche il timore che il titolo non abbia alcuna voglia di prendersi sul serio, né di fornire una giustificazione plausibile che non si riduca a una vendetta personale tramutata in carneficina; sembra quasi di assistere a una rivisitazione nipponica di Kill Bill, con Zero che si fa largo tra schiere di soldati umani e mostri, trucidando chiunque le si pari innanzi per il semplice gusto di uccidere, e non si fa certo scrupoli ad ammetterlo, esibendo tra l’altro un vocabolario da scaricatore di porto che stranamente si addice alla sua figura leggiadra intrisa del sangue dei nemici. Alle volte capita persino di domandarsi se si parteggia effettivamente per i “buoni”, talmente sovviene naturale dopo un po’ avventarsi sulle vittime disarmate che urlano pietà o sui cadaveri per mutilarli ulteriormente; le Intoner poi non danno l’idea di essere malvagie o altro, al contrario, e proprio quando si crede che Access Games abbia definitivamente buttato alle ortiche il brand, voltando pagina verso un approccio più mondano e “gretto”, giusto per fare cassa, la narrazione inchioda di colpo, e dall’atmosfera scanzonata e truce al tempo stesso, si torna sui binari dell’era PS2, le parti si invertono, le carte in tavola vengono svelate e rimescolate nuovamente, in una seconda metà colma di plot twist a dir poco galvanizzante, che ha termine solo con la splendida boss fight finale in omaggio a Drakengard (delineando finalmente un collegamento tangibile tra i due titoli).

Potremo aggiungere ancora tanto sulla trama di Drakengard 3 e sulla sua gestione a nostro dire sopraffina, ma non vogliamo diventare ridondanti o rischiare spoiler. Nelle 20-30 ore necessarie per completare campagna e missioni secondarie viene sviscerato tutto ciò che conta sapere, gag (divertenti, non i soliti polpettoni), azione e scene emotivamente forti si avvicendano incessantemente e con fluidità, e la sensazione ultima una volta trascorsi i titoli di coda è un’immensa soddisfazione; il gioco chiude il sipario al momento opportuno, senza tagliare corto o allungare il brodo, lasciando un piacevole ricordo, nonostante alcuni passaggi vengano sorvolati o trattati con leggerezza. Prendete i personaggi ad esempio, non sappiamo praticamente nulla di loro (salvo Zero e Mikhail per ovvie ragioni), se non che Dito da piccolo è caduto dal seggiolino, sviluppando così uno strano fetish per il gore, Octa è un ottantenne (crediamo) con il pallino fisso per “attività notturne” e ardite metafore, Decadus trae piacere dall’essere insultato e preso a calci, Cent è un’idiota… Eppure tra battutacce, sarcasmo e idiozie si arriva a conoscerli e a tenerli in considerazione più dei tipici eroi e comprimari fatti con lo stampino, forse proprio perché la loro personalità interiore è esattamente come ci appare dall’esterno, in linea con la filosofia spicciola di Drakengard 3. E a noi sta bene, benissimo.

I SHALL BE CALLED BY THE NAME OF ONE

Fino ad ora abbiamo quasi osannato il titolo Access Games, dopotutto il comparto narrativo ci ha conquistato, ma impugnato attivamente il pad siamo in grado di mantenere lo stesso entusiasmo? Purtroppo no, e Drakengard 3 dal punto di vista ludico presenta più di una ragione per farsi detestare. La formula di gioco ricalca quella del capostipite, confermandosi un action dalle forti connotazioni hack ‘n’ slash con una limitata componente ruolisitica, riservata principalmente all’inventario; in quanto tale, il level design si attesta nella media del genere, con mappe lineari, alternando lunghi corridoi di transizione a checkpoint forzati in spazi aperti contro orde di nemici, caratterizzati da una scarsa varietà, pattern monocorde ed estremamente prevedibili, e un’IA che fa leva puramente sui numeri o sulla massa per avere la meglio. A fronte di questi difetti, e un livello di difficoltà unico, l’esperienza si rivela facile, ripetitiva e talvolta frustrante a causa di brusche impennate nel tasso di sfida e un gameplay poco raffinato. Ogni tanto può capitare di imbattersi in fasi prettamente platform ed enigmi da risolvere a colpi di spada, ma non riescono a spezzare la monotonia a causa della legnosità dei movimenti e una piattezza di fondo che affligge gran parte degli stage. La più grande delusione sono però le boss fight, di una semplicità disarmante, tanto che è possibile completarle senza battere ciglio in un minuto o poco più. Peccato, perché i setting sono fenomenali.

Di conseguenza anche il battle system tende a mostrare il fianco in numerose occasioni. Fondamentalmente, possiamo scinderlo in due categorie ben distinte: nella prima, preponderante, ci troveremo con i piedi per terra ai comandi di Zero, convivendo con le lacune sopra elencate. Gli scontri in sé non sono male, affettare soldati e bestiacce mitologiche è sempre uno spasso, e le combo a nostra disposizione non sono affatto male in termini di spettacolarità, in più abbiamo 48 armi per 4 categorie tra cui scegliere, ognuna dotata di un feeling ed un utilizzo peculiare: le spade, equilibrate e versatili (anche troppo), le lance, lente e impacciate, ma dotate di statistiche d’attacco elevate per sfondare barriere e infliggere parecchi danni in pochi colpi; le nocche, ideali per accumulare moltiplicatori al costo di una portata ridotta, e i chakram, offensivamente latenti ma comodi per attaccare dalla distanza o su ampio raggio. Dettaglio interessante dell’arsenale è inoltre la possibilità di switchare arma durante la mattanza, in modo da adattare l’assetto di combattimento a seconda della situazione senza ricorrere a menù che potrebbero rallentare l’azione. Peccato che la pratica si riassuma nella pressione nervosa di un singolo tasto, intervallata ritmicamente con un attacco speciale o due, anch’essi dipendenti da un mero pulsante, nessuna combinazione da memorizzare, cosa che non va esattamente a braccetto con la difficoltà mite. Mancano all’appello il discutibile sistema di schivata, che non fornisce alcun timing counter o power-up di sorta, risultando difficile da digerire per chi è abituato alle meccaniche di un Ninja Gaiden o un Bayonetta a caso (abbiamo perso il conto delle mazzate prese credendo di poter scansare all’ultimo gli attacchi), e la modalità Intoner, segnalata dalla percentuale di rosso su bianco (chi vuole intenda) sull’abito di Zero, che garantirà per alcuni secondi invulnerabilità, potenza e velocità raddoppiate, un asso nella manica da non sottovalutare.

Quando invece Zero sarà impegnata altrove, o la stazza dell’avversario sarà eccessiva per lei (leggasi boss), potremo sguinzagliare Mikhail, e sebbene l’idea di cavalcare un drago non potrebbe allettarci maggiormente, la superiorità schiacciante del “cucciolo” rende queste sparute occasioni piuttosto banali. Il moveset è limitato a palle di fuoco, fiammate contigue e cariche dall’alto, più la possibilità di spiccare liberamente il volo, fattori che impediscono alle truppe nemiche di rispondere adeguatamente al fuoco (letteralmente), un massacro infervorante sul momento, ma abbastanza vuoto una volta concluso. Più riuscite le fasi su rotaie, che strizzano l’occhio a Panzer Dragoon, brevi, elementari, ma decisamente più divertenti; onestamente non ci sarebbe dispiaciuto qualche altro livello su questa scia, o al limite un paio di dogfight più “tecnici” (basi un intero titolo sui draghi, usali cribbio). Alle missioni canoniche si affiancano quindi circa quaranta quest secondarie; sono utili per arrotondare e vincere armi extra, purtroppo sono affossate da una concezione ripetitiva e stancante. In compenso se si è in cerca di sfide scorrette e infami sono la soluzione ideale, da non considerarsi necessariamente un pregio, sia chiaro.

I FRAME NON CONTANO COME KILL

Drakengard 3 è un’esclusiva sviluppata utilizzando l’Unreal Engine sotto la supervisione di una delle software house più blasonate, al termine del ciclo vitale della console di riferimento, come se la cava dunque sotto il profilo tecnico? Un pastrocchio indicibile! Da dove partire? Dalla telecamera ballerina, incapace di seguire gli spostamenti del giocatore senza incastrarsi con le pareti, andarsene per i fatti suoi o sfarfallare alla ricerca del bersaglio, complice uno dei peggiori Z-Targeting mai implementato in un videogioco? Dal tearing e l’aliasing molto evidenti anche a risoluzioni minori? Dal level design, fustigato da muri e spigoli invisibili in ogni dove? O dalle collisioni, falsate da hitbox fantasma? Modelli poligonali, texture e animazioni, davvero sottotono per una produzione del 2014? Dal frame rate, che crolla esponenzialmente al numero di nemici a schermo e dell’ampiezza dell’area? Di base ci aggiriamo intorno ai 30 fotogrammi al secondo, tuttavia è sufficiente muovere qualche passo o attendere l’ingresso in scena di un paio di NPC per vedere l’engine rallentare paurosamente, giungendo addirittura a scattare senza sosta nei momenti più concitati, tanto che abbiamo temuto l’implosione del processore. A conti fatti la nostra esperienza non è stata particolarmente minata da questa allegra famigliola di piaghe, abbiamo imparato a tollerarle, ma dobbiamo ammettere che il lavoro di ottimizzazione compiuto dagli sviluppatori è veramente scadente.

Cosa si salva? I filmati in primis, dalla realizzazione splendida e dall’ottimo taglio registico, le location, che seppur non brillano per inventiva (classiche foreste, montagne innevate, rovine nel deserto) vantano atmosfere niente male (e un alone simil-foschia azzeccato al contesto e ideale per camuffare la povertà di dettagli), e il vibrante stile anime che ben accompagna piogge di sangue, duelli epici e scene tragiche; in-game non mancano scorci suggestivi, ma le attenzioni saranno principalmente rivolte a non ingolfare troppo la visuale. Galvanizzante la colonna sonora, un mix di melodie, tonalità e generi che donano carattere all’azione ed enfatizzano alla grande ogni singolo attimo di gioco. Le tracce non sono moltissime, dopotutto la longevità di Drakengard 3 di suo non è elevata, e diversi passaggi tendono a essere ripetuti quando si cambia “branch”, ma diamine se si fanno ricordare, i temi dei boss in particolare; fosse reperibile da noi la colonna sonora completa sarebbe un must (la “selezione” in bundle con la limited non fa testo). Kudos al compositore. Discreto il doppiaggio: il cast occidentale è composto da voci abbastanza note in quel di Square, l’interpretazione è buona, anche quando si tratta di dar sfogo a volgarità e perversioni assortite, ma le voci talvolta sono fuori sincrono con il labiale. Quello giapponese ha sicuramente un maggior impatto, tuttavia (siccome ascoltare i dialoghi in lingua originale è una sciccheria per pochi) si paga a parte come DLC, e indovinate, in Europa è pure buggato, e al momento la casa madre non sembra avere in programma patch correttive. Amen.

Drakengard 3 – Recensione IN CONCLUSIONE
La metafora di Drakengard 3 risiede in toto nella bellissima boss fight finale, croce e delizia del titolo Access Games: un'opera d'arte gotica che si staglia su un panorama grigio e desolante, dal concept semplice ma dall'esecuzione massacrante; un incipit lineare, minimale, quasi offensivo, che va lentamente e inesorabilmente a sondare territori consoni a una fetta irrisoria di videogiocatori, che sapranno andare oltre le prime ore di aperitivo, ridendo spensieratamente e uccidendo in modo ignorante insieme a Zero, per poi assaporare di gusto i capitoli più "impegnati". Drakengard 3 è superficiale sotto molti aspetti, dal punto di vista ludico è indietro di parecchi anni, è un palo nei bassifondi, ciononostante nell'insieme non avremo potuto trovare un'esperienza più coinvolgente, divertente e appagante con cui trascorrere questo mese di maggio. Fan della serie? Prendetelo pure a occhi chiusi. Nuovi arrivati e indecisi sul da farsi? Se gore, humour grossolano e storie stravaganti vi attizzano, dategli una chance, e magari poi recuperate Nier e i capitoli per PS2. Solo, non abbiatene a male quando il motore grafico inizierà a tirare le cuoia... ZVOTO 7
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