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Dubai

Creato il 03 novembre 2013 da Loredana De Michelis @loridemi

DubaiIo non ci volevo venire. Chi diceva che oramai era una bolla vuota e scoppiata, chi parlava di consumismo disperato e palazzoni assurdi. Chi menzionava lavoratori disidratati pagati pochi soldi e provenienti da parti del mondo mai citate dai giornali occidentali. E’ tutto vero. Ma se c’è un sogno americano, forse tramontato, perchè non anche uno arabo, fatto d’oro e di specchi come polvere di stelle. Dubai è un fiore di metallo che sboccia nel deserto e picchia brutalmente il mare, forse azzurro, ma che non profuma di cose misteriose, solo di benzina, e nei posti meno visibili, di fogna. Prima comunque puzzava di pesce marcio e quindi è sempre stato bello solo da lontano. Adesso lo guardi scorrere sotto un motoscafo, come un’autostrada. La sabbia che c’è qua è il terreno di ogni cosa: quando si alza il vento semplicemente la si respira e conferisce all’aria un profumo secco, di pietra rovente. Fuori dagli hotel, la luce, il bianco e la polvere sono l’unica cosa reale. Il resto è stoffa, animali curvi e oggetti che rotolano a casaccio come fragili lattine. Niente che possa lasciare traccia, tra i canti di ogni giorno e il suono miracoloso dell’acqua che si impara ad inseguire di fontana in fontana. Andando in giro con tutto il peso del sole sulle spalle, arrivano pensieri strani: vorrei coprirmi da capo a piedi, camminare con le altre donne, i cui vestiti, tutti uguali, mostrano solo l’appartenenza ad una comunità e la posizione che si occupa all’interno di essa. Il resto è privato e la regola vale anche per gli uomini: il corpo e la personalità non sono cose da esibire ai passanti. Mi piace, per una volta vorrei sentirmi così uguale agli altri da non riuscire neanche a considerarmi una singola unità. Mi sentirei protetta, deresponsabilizzata, senza gloria da guadagnare e senza errori da scontare. Dopo la centesima boutique invece, senza preavviso, m’invade la furia stilistica e catechizzerei tutti quelli che ricoprono i bambini di stoffe sintetiche impataccate di tulle e brillantini. Disegno con la mente vestiti da mille e una notte, artisticamente considerando come l’opulenza qui bene si accordi con uno sfondo sempre neutro. Mi vedo già celebrata come un vero talento della moda italiana e penso che diventerei ricca, e subito me ne andrei da qua. Ma non senza un profumo, una piccola ampolla ricoperta di fili d’oro e dal contenuto ambrato. Sguscerei via con la pelle intrisa d’ombra, lasciando una breve scia dolce a chi l’avesse voluta sentire. DubaiAll’aeroporto una volta tanto giro tutti i duty free, perché qui c’è un’atmosfera antica, quella del consumismo. In questo paese è ancora permesso spendere e sfoggiare. Non è permesso divorziare. Da noi spendere è diventata una vergogna, come una volta lo era essere dei divorziati. Si può anche fumare, al ristorante chic, dove tutti sussurrano e i camerieri si muovono come pantere, servendo ciotoline di humus, dolmades, pane e olive. Al terzo bicchiere di vino questa grande astronave piena di rolex lungo i corridoi, col suo prezioso giardino artificiale e le opere architettoniche lisce e lucenti mi ricorda di nuovo il deserto e le genti che lo attraversano. Ecco cos’è: un miraggio. Sto guardando un miraggio. E i miraggi, a quanto pare si assomigliano tutti: 

“Meravigliosa è la forza dei deserti d’oriente fatti di pietre di sabbia e di sole, dove anche l’uomo più gretto capisce la propria pochezza di fronte alla vastità del creato e degli abissi dell’eternità, ma ancora più potente è il deserto della città fatto di moltitudini, di strepiti, di ruote d’asfalto, di luci elettriche e di orologi che vanno tutti insieme e pronunciano tutti nello stesso istante la medesima condanna." Dino Buzzati, l’Umiltà.


© Loredana de Michelis
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