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“E scrisse O come Orlando”. Virginia Woolf al Teatro Verdi

Creato il 22 maggio 2014 da Temperamente

e scrisse oE scrisse O come Orlando è lo spettacolo tratto e ispirato dal noto testo di Virginia Woolf in scena fino al 1 giugno al Teatro Verdi. Teatro di figura è la forma che questo romanzo prende sotto la guida registica di Jolanda Cappi e nella riscrittura drammaturgica di Roberto D’Onghia. Per chi non lo sapesse, il teatro di figura è un teatro in cui il nero regna sovrano: attori, oggetti e ambiente interagiscono su un palco buio, su cui volteggiano maschere e marionette. Un teatro fatto di immagini e di suoni, perché la musica non è una componente secondaria, ma una chiave personificata per entrare nello spirito della rappresentazione.

Visto che questo spettacolo si muove per quadri, con scene lunghe, prive di veri dialoghi, questa recensione sarà scritta per parole chiave, quelle che a mio parere servono per interpretare e capire lo spettacolo.

SPECCHIO: onnipresente, uno, due, tre, specchi, simbolo di femminilità e di bellezza, ma anche consigliere prediletto per la ricerca dell’identità e della verità. Con uno specchio in mano la regina scopre il tradimento di Orlando, con uno specchio in mano Orlando si bea della sua improvvisa beltà femminile. E quale mezzo migliore per simboleggiare l’identità e il suo doppio – vero cuore del dramma di Orlando? In uno specchio riflettiamo la nostra immagine, rimiriamo o critichiamo la nostra figura, guardiamo quello che siamo: ma quanto la forma esteriore esprime  il contenuto interno? Quale delle vite, quale delle tante immagini che lo specchio riflette, di Orlando è la più veritiera? Appassionato amatore, sognante giovane uomo, viveur, raffinata fanciulla o poet(ess)a? E cosa c’entra, effettivamente, la forma col contenuto? L’estetica è ontologica? La superficialità non coincide con la verità, perciò Orlando domanda, inascoltato, «Cosa c’entra la poesia con la lode e la celebrità? La poesia non è soltanto una transizione temporanea, non è una voce che risponde ad un’altra voce?»

GABBIA: le gonne sono mezzi con cui le donne danno forma al proprio corpo e si abbelliscono; ma sono in realtà gabbie di legno entro cui mortificano la loro anima, schiave di un diktat misogino cui devono aderire. Anche le parole sono gabbie, da cui Orlando cerca di sfuggire: per non ricadere nella prigionia di un’unica identità, per lasciar librare il suo essere aldilà di ogni definizione, per poter vivere liberamente la sua vita, senza esser ogni volta rinchiuso in uno schema.

LIBRO: e non perché, scontatamente, questo spettacolo è tratto da. Orlando legge libri su libri, saranno loro a salvarlo dopo un lungo sonno o morte apparente. E poi scrive: scrive le sue avventure e i suoi poemi, e non viene preso(a) sul serio. I libri sono un ulteriore mezzo espressivo, attraverso cui codificare non la propria immagine identitaria – quella è solo vuota apparenza – ma il proprio messaggio, le proprie riflessioni e sensazioni, la propria poesia. L’unica parte del sè destinata a restare anche dopo, ad avere vita eterna, nella forma di un libro, la cui identità dell’autore (tema che ritorna) può essere anche sconosciuta e decisamente risultare poco importante se maschile o femminile – ah, fosse questo sempre vero!

Le altre parole regine di questo spettacolo sono musica e costumi, entrambe così connaturate al teatro stesso che mi sembra pleonastico inserirle in questo brevissimo vademecum interpretativo. Ma non posso omettere che le musiche originali composte da Roberto Andreoni sono un personaggio a sé, che si pronuncia non come un semplice contraltare, ma agisce da co-protagonista, che entra in scena e dice le sue battute, dotato di una caratteristica predominante (il tema in stile rinascimentale che ripercorre tutte le scene) e riconoscibile, pur declinato nelle epoche e nei territori in cui Orlando si sposta.
Così come non si può che lodare il lavoro fatto sui costumi, spesso impalpabili eppure così vitali, che gli attori tolgono e mettono con incredibile maestria tra i vari cambi di scena; vesti sempre adatte al periodo storico e alla funzione simbolica che ricoprono. E maschere e marionette – tra cui un piccolo, delicatissimo teatrino – che pur compaiono in E scrisse O come Orlando sono una prova evidente della lunga tradizione del Teatro Verdi (ex Teatro del Buratto) in questo genere di produzione teatrale.

Chi conosce il romanzo di Virginia Woolf forse avrà da obiettare alcune delle scelte e dei tagli operati al testo originale, che ne esce ridotto e modificato. Perciò non aspettatevi una trasposizione del romanzo Woolfiano, ma un’opera con una sua vita, in cui immagini, suoni, danza e parole si fondono in modo altamente simbolico. Non è certamente un tipo di teatro adatto a tutti, ma a tutti quelli che vogliono lasciarsi incantare e sanno vedere oltre le sterotipie e il velo dell’apparenza mi sento di consigliarlo, vivamente.

Ultima parola che consegno a chi vuole vedere lo spettacolo infatti è MAGIA. Quella del teatro.


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