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Eccezionale: Thoreau inedito e la scoperta italiana di Stefano Paolucci

Creato il 10 luglio 2014 da Ilbicchierediverso

Eccezionale: Thoreau inedito e la scoperta italiana di Stefano Paolucci

Pubblichiamo sulle nostre pagine un eccezionale opera letteraria, rimasta fino a poco tempo fa inedita in Italia e ora non più, grazie all’attenzione della Piano B Edizioni di Prato.
Le Tentazioni del paradiso di H. Thoreau, curato da Stefano Paolucci, non è soltanto un libro di grande pregio ma un moto continuo di ispirazione per l’uomo, rappresentando anche una vera e propria vittoria italiana nel mondo letterario internazionale.

Infatti, Paolucci (come leggerete a piè di pagina) è stato protagonista di una straordinaria scoperta che ha generato moltissimo clamore oltreoceano e nei circoli letterari internazionali dedicati a Thoreau; un clamore che noi italiani teniamo, al solito,  sempre molto sotto la cenere a scapito dell’orgoglio che tali eventi dovrebbero suscitare in noi.

Vi lasciamo quindi all’introduzione al brano, al brano stesso e alla scoperta del nostro connazionale, cui vorremmo porre qualche domanda al più presto possibile, e a cui offriamo nel frattempo –riconoscenti-i nostri più sentiti complimenti.

Buona scelta
IBD

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John Adolphus Etzler (1791-1846?), ingegnere, inventore e scrittore tedesco, fu seguace e promotore delle dottrine socialiste di Fourier. Il suo libro, pubblicato nel 1833, The Paradise Within the Reach of All Men, Without Labor, by Powers of Nature and Machinery. An Address to All Intelligent Men. In Two Parts , venne letto da Thoreau, che ne propose una recensione al «Democratic Review». Il suo articolo uscì in forma anonima nel Novembre del 1843 con il titolo Paradise (To Be) Regained.

Etzler promuoveva nel suo libro grandiosi progetti per trasformare il mondo in un Nuovo Eden tecnocratico, dove l’uomo sarebbe stato finalmente liberato dalla falsa maledizione biblica del lavoro, della fatica, del sudore della fronte, e in cui ciascuno avrebbe potuto soddisfare ogni bisogno e desiderio, gratis e senza sforzo, «ruotando semplicemente una manovella» – premendo un bottone, come diremmo oggi.

Così come sosteneva Fourier, anche secondo Etzler l’umanità poteva essere migliorata, nel suo complesso, solo mediante cambiamenti operati in ambito economico e sociale, riformando cioè le condizioni materiali dell’uomo. Il suo originale contributo consisteva nell’enfasi che egli poneva sulle potenzialità della tecnologia, applicata in armonia con la natura, quale mezzo per affrancare l’uomo dal giogo della fatica e del lavoro e in tal modo garantirgli una vita sana, lunga e felice.

Ma quale significato poteva avere il miglioramento delle condizioni materiali dell’uomo se non aveva alcun riguardo per l’integrità morale dell’uomo? E quale rilevanza poteva avere una riforma collettiva se non era «animata» dalla fede individuale? Erano queste le perplessità dei trascendentalisti come Thoreau ed Emerson, ed erano queste le domande che osarono porre a coloro che credevano, sul serio o per posa, che avanzamento economico e materiale equivalesse a progresso sociale e morale.

Per Thoreau, come per gli Stoici, distinguersi dalla massa non significava ricercare e seguire modi di vita eccentrici o contrari alla norma; una tale condotta, anzi, poteva più facilmente portare a «confondersi». Ciò che lui era interessato a trovare e seguire era non tanto una via contraria a quella seguita della massa, quanto una via migliore di quella seguita dalla massa. Era quella, semmai, la vera «distinzione» che poteva fare la differenza.

Per Emerson, Thoreau e i trascendentalisti la riforma era sì il compito primario di ogni individuo, ma essa significava coltivazione della mente, coltivazione del cuore, della coscienza, dell’empatia e della spiritualità, quali componenti essenziali per un’esistenza saggia, onesta e realmente progressiva. Oltretutto, senza una preliminare riforma individuale non si poteva sperare in un più ampio benessere condiviso: «Per poter godere insieme dei nostri successi, dobbiamo prima riuscire da soli».

In attesa di una ragionevole risposta che non sarebbe mai arrivata, la ragionata sintesi di Thoreau – semplice e potente, e valida ieri come oggi – tuonava alta la sua dolce sentenza: «È la fede l’intera riforma di cui vi è bisogno», perché «è essa stessa una riforma».

«Il signor Etzler non fa parte di quegli illuministi pragmatici, di quei pionieri del concreto, che si muovono col passo lento e ponderato della scienza, conservatori del mondo; che realizzano i sogni del secolo scorso, pur non avendone di propri; e tuttavia egli tratta con la materia assai grezza ma ben solida di tutte le invenzioni. Egli possiede un’indole più pragmatica di quanto solitamente appartenga a un progettista così audace, a un sognatore così risoluto. Tuttavia il suo successo si esplica sul piano teorico e non su quello pratico, ed egli nutre la nostra fede piuttosto che appagare il nostro intelletto. Il suo libro manca di ordine, di serenità, di dignità, di tutto – ma non manca però di trasmettere ciò che di veramente importante solo l’uomo può trasmettere all’uomo: la propria fede. È vero, i suoi sogni non sono né così esaltanti né così brillanti, ed egli finisce di sognare là dove comincia chi sogna appena prima che spunti l’alba. I suoi castelli in aria crollano a terra, perché non sono costruiti sufficientemente in alto: avrebbe dovuto fissarli alla volta del Cielo[1]. D’altro canto, le teorie e le speculazioni degli uomini ci interessano di più della loro gracile realizzazione. È con una certa freddezza e un certo languore che noi ci soffermiamo sulle cose concrete e cosiddette pratiche. Le più straordinarie invenzioni dei tempi moderni ci trattengono ben poco. Insultano la natura. Ogni macchina, ogni particolare applicazione ha l’aria di essere un piccolo oltraggio alle leggi universali. Quante splendide invenzioni esistono che non servano solo a ingombrare spazio? Noi siamo inclini a pensare che siano valide ed efficaci solo quelle che provvedano ai nostri bisogni materiali e animali, che servano a cuocere o miscelare, a lavare o riscaldare, o cose simili. Ma non hanno proprio alcuna importanza le invenzioni che sono brevettate dall’estro e dall’immaginazione, e che nei nostri sogni si rivelano così ammirevolmente efficaci da tonificare i nostri pensieri persino da svegli? La natura, a chi da lei si lascia servire, offre già, a un grado assai più elevato ed esteso, tutti quegli usi che la scienza ne deriva a poco a poco. Quando i raggi del sole cadono sul sentiero del poeta, egli gode di tutti quei puri benefici e piaceri che le tecniche dispensano lentamente e parzialmente nel corso dei secoli. Le brezze che rinfrescano il suo viso gli portano sulle ali del vento la somma di quel beneficio e di quella felicità che i suoi marchingegni termici non gli procurano che arrancando.

Il difetto principale di questo libro è che mira semplicemente ad assicurare agli uomini il più alto grado di mero comfort e piacere materiale. Descrive un paradiso islamico, e stranamente s’arresta di colpo quando crediamo che si stia avvicinando nei pressi di quello cristiano – e nel dire questo riteniamo di non aver fatto una distinzione che non faccia una differenza. Se noi riformassimo veramente e profondamente[1] questa vita esteriore, di sicuro non troveremmo omesso alcun dovere di quella interiore. Impiegherebbe la nostra intera natura; e domandarsi che cosa faremmo dopo, sarebbe altrettanto vano quanto chiedere a un uccello cosa farà una volta che avrà finito di costruire il nido e di allevare la sua prole. Invece deve prima aver luogo una riforma morale, e allora la necessità di quell’altra riforma diverrà superflua, e noi solcheremo il mare e la terra spinti dalla sua sola forza. Esiste un modo più rapido di quanto il Sistema meccanico possa mostrare per bonificare le paludi, coprire il boato delle onde, domare le iene, preservare un ambiente gradevole, diversificare il paesaggio e rinfrescarlo con «ruscelletti d’acqua dolce», ed è per mezzo della forza della rettitudine e del retto comportamento. A quanto pare è solo per poco tempo, solo occasionalmente, che noi sentiamo il bisogno di un giardino. Di certo un uomo onesto non ha bisogno di mettersi a spianare una collina per poter godere di un panorama, né di coltivare frutti e fiori e costruire isole galleggianti per poter vivere in un paradiso. Le visioni di cui gode superano qualsiasi panorama che possa celarsi dietro una collina. Se lo percorre un angelo, ogni luogo sarà un paradiso, ma se lo percorre Satana, sarà marna rovente e cenere. Cosa dice Vishnu Sharma[2]? «Colui il cui animo è sereno possiede ogni ricchezza. Non è forse lo stesso per chi abbia il piede avvolto in una calzatura, come se l’intera superficie della terra fosse rivestita di pelle?»[3]

Chi ha familiarità con le potenze supreme non venera queste inferiori divinità del vento, delle onde, delle maree e del sole. Tuttavia non vogliamo svilire l’importanza dei calcoli che abbiamo fin qui descritto. Essi sono delle verità nel campo della fisica, perché sono veri in campo etico[4]. Nessuno si permetterebbe di calcolare le potenze morali. Supponiamo di poter comparare la forza morale con quella fisica, e dire, per esempio, a quanti cavalli-vapore equivarrebbe la forza dell’amore che soffiasse su ciascun piede quadrato dell’anima di un uomo. Siamo senz’altro ben consapevoli di questa forza, e le cifre non aumenterebbero il nostro rispetto per essa: lo splendore del sole non equivale che a un singolo raggio del suo calore. La luce del sole non è che l’ombra dell’amore. «Le anime degli uomini che amano e temono Dio», dice Raleigh, «ricevono un diretto influsso da quel lume divino, a petto del quale il chiarore del sole e degli astri, come dice Platone[5], non è che un’ombra. Lumen est umbra Dei, Deus est Lumen Luminis. La luce è l’ombra dello splendore di Dio, il quale è la luce della luce»[6], e, potremmo aggiungere, il calore del calore. L’amore è il vento, la marea, le onde, il sole. La sua potenza è incalcolabile: sviluppa ingenti cavalli-vapore. Non cessa mai, non si rilassa mai: può sollevare il mondo senza un punto d’appoggio, può riscaldare senza fuoco, può nutrire senza cibo, può vestire senza abiti, può riparare senza un tetto, e può creare un paradiso interiore che renderà superfluo un paradiso esteriore. Ma benché i più saggi fra gli uomini, in tutte le epoche, si siano dati pena di render pubblica questa forza, e benché ogni cuore umano, o prima o poi, e chi più chi meno, sia atto a percepirla, tuttavia quanto poco viene effettivamente applicata a scopi sociali! È vero, essa è la forza motrice di ogni meccanismo sociale che funzioni bene; tuttavia, come in fisica ci siamo serviti degli elementi per far loro compiere tutt’al più qualche lavoretto faticoso per noi – il vapore al posto di qualche cavallo, il vento al posto di qualche remo, l’acqua al posto di qualche manovella e macinino –, e come le forze meccaniche non sono state ancora generosamente e largamente applicate per far sì che il mondo fisico risponda a quello ideale, così la potenza dell’amore è stata finora applicata solo in modo misero e limitato. Le sole macchine che ha brevettato sono gli ospizi di carità, gli ospedali e la Società Biblica[7], mentre il suo vento infinito sta ancora soffiando e, di tanto in tanto, persino abbattendo quelle strutture lì. Ancor meno noi stiamo accumulando la sua energia e preparandoci ad agire con maggior forza in futuro. E allora, non vogliamo versare il nostro contributo a questa impresa?»


Note
[1] È interessante notare come Thoreau riformulerà questa idea nel capitolo conclusivo di Walden, riscrivendola in una forma destinata a divenire celebre e largamente citata: «Se avete costruito castelli in aria, il vostro lavoro non deve andare perduto; è quello il luogo in cui devono stare. Ora costruite le fondamenta di quei castelli» (Thoreau, Walden cit., p. 344). Ma ancor più interessante – e inaspettato – è stato scoprire l’originaria fonte letteraria a cui si era ispirato Thoreau per quella frase: a tale riguardo, rinvio il lettore al capitolo «Nessuno» del mio saggio in postfazione.

[1] Ironico gioco di parole autoreferenziale: thoroughly(completamente, accuratamente, profondamente) in americano suona come Thoreau-ly, cioè «thoreauvianamente», «alla maniera di Thoreau». Altri esempi di questo tipo di pun si possono trovare anche in altri saggi di Thoreau, per esempio in Vita senza princìpi.

[2] Vishnu Sharma, erudito indiano al quale è attribuita la raccolta di fiabe Panchatantra, che si ritiene sia stata composta tra il 1200 a.C. e il 300 d.C.

[3] Extracts from the Heetopades of Veeshnoo Sarma, «The Dial», vol. iii, n. 1, July 1842, p. 84.

[4] Una chiara reminescenza di Natura (1836), il manifesto del trascendentalismo americano scritto da Emerson: «Le leggi della natura morale corrispondono a quelle della materia… Gli assiomi della fisica traducono le leggi dell’etica» (R. W. Emerson, Natura, trad. e cura di Igina Tattoni, Donzelli, Roma 2010, p. 39).

[5] Cfr. Platone, La Repubblica, libro vii.

[6] Citazione da The History of the World (i, i, xi) di Sir Walter Raleigh (1552 o 1554-1618). A sua volta, la frase «Lumen est umbra Dei, Deus est Lumen Luminis» è una citazione dalle Epistole (tomo i, lettera ii) di Marsilio Ficino (1433-1499). L’8 febbraio 1843, Thoreau aveva tenuto una lunga conferenza su Raleigh, un autore che egli amava molto: «Andrebbe ben studiato», scriverà nel capitolo «Sunday» di A Week on the Concord and Merrimack Rivers (1849).

[7] L’American Bible Society, fondata a New York nel 1816, si proponeva di diffondere la Parola di Dio in tutto il mondo attraverso le traduzioni della Bibbia.

-LA SCOPERTA DI STEFANO PAOLUCCI-

Nel saggio Paradise (To Be) Regained (uscito in Italia per la prima volta, con il titolo Le tentazioni del paradiso), Thoreau scrive una frase, verso la fine, che dice così: “I suoi castelli in aria crollano a terra, perché non sono costruiti sufficientemente in alto: avrebbe dovuto fissarli alla volta del Cielo”. Thoreau si riferisce alle visioni utopistiche di Etzler, l’autore del libro che ha appunto recensito (e siamo nel 1843). È una frase senz’altro interessante: controintuitiva, per così dire. Soprattutto, però, è una frase che suona decisamente familiare a un orecchio thoreauviano. Infatti, nel capitolo conclusivo di Walden (siamo ora nel 1854), Thoreau, ispirandosi a quella frase scritta dieci anni prima, scrive: “Se avete costruito castelli in aria, il vostro lavoro non deve andare perduto; è lì che devono stare. Ora metteteci sotto delle fondamenta”. Questa frase, nel tempo, è divenuta piuttosto celebre e largamente citata. Ora, la somiglianza con la frase scritta dieci anni prima in Paradise è evidente, e difatti questo loro “legame” è ben noto a tutti gli studiosi di Thoreau. Quello che invece è sfuggito a tutti, ma proprio a tutti, da un secolo e mezzo a questa parte, è il fatto che Thoreau, originariamente, cioè ai tempi della stesura di Paradise, in realtà si era a sua volta ispirato a una frase che aveva letto in un libro! Una frase di un altro scrittore!

L’originaria fonte di ispirazione di Thoreau — cioè lo spunto iniziale da cui nacque la frase che si legge in Paradise e che successivamente verrà riformulata in Walden e diverrà celebre — è un breve scritto di Sir Thomas Browne (1605-1682) intitolato A Letter to a Friend, inedito in Italia, in cui a un certo punto si legge: “Non costruiscono castelli in aria coloro che desiderano edificare Chiese sulla terra; e anche se non lasceranno alcun edificio quaggiù, avranno comunque gettato delle buone fondamenta in Cielo”. Troppo simile per essere una pura coincidenza. Oltretutto, sappiamo per certo che Thoreau “bazzicava” gli scritti di Browne fin dal 1840, cioè tre anni prima di scrivere Paradise, e soprattutto — e questa per il curatore era la prova delle prove — che Thoreau, proprio in Paradise, in un punto cita proprio da A Letter to a Friend. Ma in ogni caso, per essere sicuro al cento per cento che la sua scoperta fosse veramente tale, Paolucci si è consultato con Joel Myerson e Jeffrey S. Cramer, forse i due maggiori esperti al mondo di Thoreau & Co. e con i quali è in contatto da tempo. A tutti e due, comunque, ha spiegato che stava curando l’edizione italiana di Paradise e che, durante il suo lavoro, si era appunto imbattuto in quella frase di Browne, per cui gli ha domandato se a loro risultava che qualcuno si fosse mai accorto o avesse mai dato conto di quel possibile “legame” tra la frase di Thoreau e quella di Browne. Il primo a rispondere è stato Joel, che  ha dato il suo placet — e la sua benedizione — invitandolo a scrivere subito un articolo per il “Thoreau Society Bulletin”. Anche Cramer- autore della più accreditata edizione “fully annotated” di Walden e di una altrettanto “fully annotated” antologia di saggi di Thoreau, tra cui proprio Paradise – ha risposto, ammettendo che in effetti quella “allusione” a Browne gli era sfuggita e si è congratulato con Paolucci, offrendosi di aiutarlo per qualsiasi cosa potesse servirgli per il suo lavoro. E così ha fatto, infatti. Due veri gentiluomini.


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