“In principio fu la luce… E con essa il giorno e la notte”.
“Nostro Padre creò la luce?”
“Sì… e fece dopo assai più”.
“Cos’altro?”
“Il giorno seguente accese il firmamento di mille stelle”.
“Ne fu capace?”
“Com’è vero che ti sono innanzi”.
Raramente un incipit riesce a essere così rappresentativo del romanzo che seguirà, ma questo è il caso.
Quindi, se queste sette righe vi ispirano, smettete di leggere questa recensione e procuratevelo.
Scegliete un album di musica classica, quello che più sappia essere, alle vostre orecchie, grave come un macigno e leggero come una piuma, sbarazzino e fatale, carnale ed etereo, spensierato e tragico; e che sia tutte queste cose assieme senza che si annullino a vicenda, così come era prima che Adamo ed Eva scoprissero Bene e Male. Così come è Eden di Alessandro Cortese (ARPANet, 2010). E così sia anche il vino con cui ne accompagnerete la lettura.
Se invece volete altre impressioni, continuate a leggere. Non farò spoiler, non potrei neanche volendo: chi non conosce la storia di come Lucifero divenne Satana?
La storia è la stessa eppure non è esattamente la stessa.
Cortese ha giocato con il mito, l’ha riplasmato, dando una diversa spiegazione del perché accadde quel che accadde.
Intendetemi: la sua non è semplicemente una dimostrazione d’ingegno, né un abuso di un mito più che noto al fine di creare un setting esteticamente gradevole. Certo, Cortese ha anche questa capacità: di scolpire immagini con la parola anziché con lo scalpello. Ma quello che ha fatto con Eden va oltre la masturbazione concettual-estetica. Cortese usa una piccola storia per raccontarne una più grande: quella che narra l’origine del Male, e quindi del suo posto nel mondo – e in Dio.
I personaggi sono gli stessi eppure non sono esattamente gli stessi.
C’è Jehova, c’è Lucifero, c’è Michele e ci sono Adamo ed Eva. Li riconoscerete tutti. C’è Eden, anche, e al momento giusto riconoscerete anche quello, mentre vi aggirate nelle strade di una città che, benché appaia sovrannaturale, è profondamente umana.
Profondamente umani sono i protagonisti alati della vicenda. Godete delle loro descrizioni, dei loro sembianti imponenti e delicati al contempo, delle bellezze celate da maschere bianche, ma non fatevi ingannare: più che simboli, più che rappresentazioni antropomorfe di concetti puri, gli angeli di Cortese sono esseri umani archetipici.
Anziché come in grande così in piccolo, l’autore procede all’inverso: come in piccolo così in grande, dall’umano al sovrumano, e per quanto belli e potenti possano essere i suoi angeli, in loro battono inesorabili pulsioni e necessità umane. Sospetto, paura, desiderio, rabbia, ma soprattutto due bisogni ben noti alla storia dei mortali: quello di essere liberi e quello di avere potere.
Persino Dio, nell’opera di Cortese, conosce queste pulsioni. Soprattutto Dio. Ed è proprio questo il dramma.
Eden è il secondo romanzo di Cortese che leggo, e ho tutta l’intenzione di divorare quelli che mi mancano come ho divorato i primi due. È uno di quegli autori di cui direi che, per scrivere qualcosa di brutto, devono impegnarsi. I gusti sono gusti e non devono, giustamente, tenere in conto altri parametri, ma ci sono fattori, più o meno obiettivi, chiaramente visibili da tutti i punti d’osservazione: quelli dei lettori occasionali, che guardano il prodotto nel suo insieme; quello degli esperti, che cercano prove di abilità tecnica e talento (qualunque cosa sia) nei dettagli.
Cortese sa scrivere come uno scultore cresciuto in bottega come garzone sa scolpire la pietra. La scelta delle parole, del loro ordine, la loro ripetizione e il loro richiamarsi, sono tutte cose che Cortese fa (apparentemente, almeno) con la fluidità e noncuranza di chi ha mani esperte. Di chi scrive come parla e sa parlare bene. Di chi usa il verbo in molteplici modi: per comunicare quel che vuole, quando e come vuole; per affrescare descrizioni; per evocare stati d’animo; per sedurre, indignare, far riflettere.
La sua abilità non è presente solo nel piccolo (le singole frasi), ma via via andando verso la macrostruttura del romanzo: sa come suddividere la trama, come cadenzare con flashbacks, come e quando usare dialoghi e come caricarli al punto di non necessitare più di un contorno. Conosce i ritmi della parola scritta e li usa. Sa essere evocativo con linguaggi aulici tanto quanto sa esserlo – anche se non è Eden il caso – con linguaggi iper-contemporanei.
Che cosa non sa fare, allora?
Quando l’ho conosciuto (per mia volontà: per potermi confrontare con l’autore che stavo leggendo), Cortese mi ha provocata: mi ha parlato del suo ultimo romanzo (ancora inedito, a differenza di Eden) in termini tali da alzare incredibilmente le mie aspettative. Gli ho allora chiesto di smettere di farlo: non perdono facilmente chi mi fa promesse che poi non mantiene, e sarebbe stato uno spreco – perché già avevo assaggiato stralci dei suoi romanzi, e mi piacevano. Questo gli ho detto. E lui ha smesso. E abbiamo finalmente cominciato a parlare veramente.
Alzare le aspettative del pubblico è come mettersi nudi in pubblica piazza: se il corpo non è abbastanza coriaceo, e se il pubblico decide di lanciare pietre anziché fiori, è la fine. E Cortese lo sa. E proprio per questo provoca: perché sa trasformare le critiche in aiuti e perché punta alla perfezione, e per raggiungerla necessita di critiche, in una contorta forma di palestra che ho etichettato – a torto o ragione – “narcisismo”.
Il fatto è che Cortese scrive bene. Molto bene. Trovare difetti in Eden sarebbe certamente possibile (quando non lo è?), ma sarebbe ridicolo: è il cercare il pelo nell’uovo, i puntini mancanti sulle i, un aggettivo lievemente più evocativo di quello scelto. Andare a criticare, anziché la forma, un intento soggiacente che che non si è ben amalgamato con tutti gli altri ingredienti, e sbuca nudo tra le righe, tra le pagine – e lascerò a voi il gusto di trovarlo, sempre che vi sia, che non sia un’impressione squisitamente soggettiva. Si potrebbe, insomma, dissezionare Eden per smontarlo un po’, ma non lo farò: non è il genere di gioco che mi piace.
Preferisco lanciare a voi la palla, lasciarvi una recensione che non ha scomodato modestia per procura nel presentarvi Eden. Metterlo in pubblica piazza nudo e bello come gli angeli che compongono il romanzo, e poi chiedervi:
Che cosa non sa fare, Cortese?
Alessandro Cortese è nato a Messina nel 1980 e vive a Montesilvano. Lavora a Pescara come insegnante di Matematica e Scienze per scuole medie e superiori.
Nel Dicembre del 2007 ha pubblicato il racconto storico: “Vita e ricordo di Mary Ann Nichols. Prostituta” sull’antologico Concept – Storia di Arpanet. Con il medesimo editore ha pubblicato, nel Luglio del 2010, il suo primo romanzo fantastico: Eden e, nel Febbraio 2011, il racconto: “A Mani Strette” sull’antologico “Fedeltà&Tradimento”. Ancora con Arpanet ha pubblicato, nel Dicembre 2012, Ad Lucem, seguito del fortunato romanzo d’esordio. Nel Dicembre 2013, pubblica la storia di vita: “Ore 1: Barcellona P.G.” sull’antologico E tutti lavorammo a stento di Arpanet. Nel Marzo 2014, con Edizioni Saecula, ha pubblicato Polimnia. Di 300 Spartani, una Grecia e dei Persiani di Serse, il suo primo romanzo storico.
Written by Serena Bertogliatti
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