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Elezioni El Salvador e Costa Rica: per il presidente si andrà al ballottaggio

Creato il 03 febbraio 2014 da Eldorado

Coincidenza rara, ieri si sono tenute in Centroamerica due elezioni nello stesso giorno. El Salvador e Costa Rica sono andate alle urne per eleggere il nuovo presidente ed in entrambi i casi il responso è stato lo stesso: bisognerà andare al ballottaggio.

In Costa Rica, dove il suffragio è diretto dal 1913, si è vissuta per la prima volta una forte suddivisione del voto. Abituato al bipartitismo che data 1948 e che nelle ultime due legislature ha premiato il centrista Partido Liberación Nacional, il sistema politico locale si è trovato questa volta a fare i conti con almeno quattro candidati in grado di competere per la presidenza. Alla fine, a contendersi la poltrona presidenziale nel ballottaggio del 6 aprile saranno l’aspirante del PLN Johnny Araya e quello de PAC, Partido de Acción Ciudadana, Luis Guillermo Solís. Stesso verdetto insomma delle ultime due elezioni, solo che questa volta la decisione finale spetterà al ballottaggio.

La svolta a sinistra, che molti indicavano sul modello chavista, rappresentata dal Frente Amplio di José Villalta, non c’è stata. L’elettore medio costaricano, nonostante la simpatia dimostrata verso Villalta, un avvocato ambientalista di 36 anni, ha preferito mantenere il suo profilo conformista e conservatore. Se cambio dovrà essere e cambio a sinistra, sarà quindi quello meno radicale rappresentato da Solís, politologo e storico, capace di raccogliere, grazie ad una politica di piccoli passi ispirata da un contatto continuo tra la gente, migliaia di voti nelle ultime settimane, rovesciando così ogni sondaggio della vigilia. Per Johnny Araya, nipote di presidente (Luis Alberto Monge), sindaco per quindici anni della capitale San José, cinque matrimoni nel suo curriculum, si profila un testa a testa che si deciderà probabilmente in un duello all’ultimo voto. Le premesse ci sono tutte: Solís è al 30,29%, Araya al 29,60%.

In generale sono state elezioni tranquille –unico neo un’aggressione all’equipe della AFP-, che hanno confermato la tradizione democratica del paese, dove la giornata di voto è considerata una festa. Venditori ambulanti, bancarelle, cortei di sostenitori dei differenti partiti hanno accompagnato gli elettori fin sulla soglia dei seggi. Unico neo l’astensionismo, che ha fatto registrare quest’anno un record storico, raggiungendo il 32%, dato su cui ci sarà da riflettere a lungo.

La Costa Rica saluterà senza troppa nostalgia i quattro anni di Laura Chinchilla, primo presidente donna del paese, giudicata inadatta al ruolo dai cittadini (ha ricevuto il più basso consenso continentale, con un misero 9% di approvazione), dai giornali (El Mundo, non proprio un foglio estremista, l’ha reputata semplicemente incapace di governare) e dall’opposizione, che periodicamente ha portato alla luce differenti scandali della sua gestione. Araya o Solís si troveranno a guidare quello che viene considerato il paese più felice del mondo (o quasi, consultare l’Happy Planet Index), con la grossa responsabilità di non togliere il sorriso ai costaricani.

Con un ex presidente, nonché responsabile della campagna elettorale del conservatore Arena profugo della giustizia (Francisco Flores, ricercato per appropriazione indebita), il voto a El Salvador ha premiato l’FMLN, il Frente Farabundo Martí, partito a cui appartiene l’attuale presidente Mauricio Funes. Anche in questo paese, nonostante una campagna marcata da forti accuse tra i candidati, si è assistito ad una tornata elettorale tranquilla. Salvador Sánchez Cerén ha sfiorato il 50% necessario per evitare il ballottaggio, fermandosi al 48,93%. Il 9 marzo, quindi, si troverà di fronte l’avversario di sempre, l’alleanza di destra Arena, che con il suo candidato Norman Quijano ha raccolto il 38,99% dei voti.


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