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Enter the void

Creato il 07 dicembre 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Anno: 2009

Distribuzione: Bim Distribuzione

Durata: 143′

Genere: Drammatico

Nazionalità: Francia

Regia: Gaspar Noè

Tokio. Atmosfere plumbee e rarefatte, suoni, colori, riverberi di una notte infinita che allucina lo sguardo assetato di luce, andirivieni inconsistenti di un movimento continuo, desideri incestuosi, pulsioni fusionali: si eccede nell’ultimo film di Gaspar Noè, Enter the void, mosso dall’intento evidente di estenuare lo spettatore, per sottoporlo alla passione di una visione funambolica che oscilla freneticamente tra il dritto e il rovescio, il liscio e lo striato, innescando una staffetta vorticosa tra la rappresentazione spaziale del tempo e una durata che sequestra la vista, ingabbiandola in una soggettiva ridondante, alternata, a tratti, a un discorso libero indiretto.

Un volo a bassa quota di un angelo sfiora le vette dei grattacieli della metropoli, un’immagine liberata dalla zavorra del corpo fluttua nel tempo, rivelandone le due facce, una indivisibile e compatta, l’altra parcellizzata in un arcipelago di istanti immersi nel mare di una mobilità inarrestabile.

Non è poco. Forse, l’unico rimprovero che si può muovere all’ultimo film di Noè è di non essere andato fino in fondo, di aver ceduto, in parte, all’esigenza di fornire alcuni riferimenti utili alla ricomposizione di un racconto che prende corpo nei flash back, anche se è sempre possibile ipotizzare che la rievocazione del passato dei protagonisti non sia il frutto di un’indagine storica delle loro vite (un’emersione dei traumi prodotta da un approccio psicanalitico classico), ma la creazione di una narrazione alternativa che libera una nuova origine (è lecito sperarlo).

Oscar (Nathaniel Brown), dopa la propria dipartita, svolazza, attraversa pertugi per accedere altrove, diviene esso stesso gli oggetti che trapassa, liberando una gioiosa indiscernibilità in cui non è dato marcare la differenza tra interno e esterno: non è più possibile distinguerlo dal mondo in cui si muove. Il desiderio che lo anima non è, come si potrebbe immediatamente pensare, attivato dall’attrazione erotica per la sorella (con tutta la cinematografia annessa, dallo Scarface di Hawks  al remake di De Palma), ma da quella per la madre, oggetto interdetto par excellence, la Cosa dalla quale non si può che mantenere una debita distanza.

Tutta la solfa sulla reincarnazione è legittima solo nella misura in cui diviene metafora di una trasfigurazione dell’esistente, mentre è da rigettare laddove alludesse a una ricomposizione, intesa come riterritorializzazione che ripristina la temporalità ordinaria.

Certo, di difetti  in Enter the void ce ne sono: la riproposizione di una certa iconografia cinematografica ormai consunta, gli insopportabili dialoghi a mezza bocca infarciti con tutto il gergo più becero……

Ma, insomma, sempre meglio una rivoluzione mancata….. di una riuscita.

Luca Biscontini


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