Magazine Diario personale

Estate a Fortaleza dei Marmi #3

Da Peolaborghese @mesosbrodleto
Estate a Fortaleza dei Marmi #3

Busway to hell

Archiviata la questione alloggio, ci si può cominciare a beare: davanti a noi c’è un mese di Brasile. Beati noi, un mese di lavoro nel paraiso do mundo. L’università è dall’altra parte della città, prendiamo l’autobus dopo aver cercato di capire quale linea prendere. Alle fermate non c’è scritto nulla, c’è solo un palo con scritto “onibus”.  Il significato della parola è molto di più del semplice “bus” letterale. Nella realtà vuol dire: “qui prima o poi passerà qualche autobus“. A seconda delle situazioni, il significato può essere ancora più ricco. Ad esempio si possono aggiungere, a piacere, altre affermazioni, quali ad esempio:

  • se ne passa più di uno, se ne ferma solo uno
  • solo alla fine saprai se si ferma
  • se non lo chiami non si ferma, per chiamarlo devi farti vedere, se ti fai vedere troppo ti acciacca

Una volta riusciti a capire quale è la linea, tramite un’applicazione web creata da uno studente e non certo dal sito internet degli autobus di Fortaleza, cominciamo l’avventura. Linea 71, arriva alla fermata come se all’autista stesse andando a fuoco casa. Inchioda. Facciamo appena in tempo a salire e parte a tutto gas, l’ultimo della truppa viene sbattuto sul fondo dell’autobus. Paghiamo i due reais al bigliettaio, come si faceva nell’Italia degli anni ’70 e ci accomodiamo. All’autista l’incendio a casa non si è ancora spento, anzi, pare stia bruciando più forte, coinvolgendo la famiglia. Ai semafori rossi inchioda. Ai verdi non impenna solo perché il motore non ha abbastanza potenza. Nelle curve sfiora marciapiedi e terrazze, cambia corsia schivando auto, buche, carretti e motorette varie. Il viaggio dura un’ora, dopo la quale, tritati come il ghiaccio di una caipirinha, arriviamo a destinazione. Universidad federal do Cearà.

Estate a Fortaleza dei Marmi #3

Gatti, somari e pensiline

Il campus è grande quanto mezza pisa, ma molto meno denso di costruzioni. Ci sono palazzine qua e là, un laghetto e  il dipartimento di ingegneria della pesca. Arriviamo al Departimento do computaçao usando l’autobus interno, questo guidato in modo più tranquillo. Il fatato mondo accademico, dove chi è dentro non sa cosa succede fuori. In giro per l’università è pieno di gatti, stesi a dormire in giro per i corridoi, alla fermata del bus troviamo pure qualche asino. Di studenti poco o niente, è in corso uno sciopero dei docenti e del personale che dura da oltre due mesi. Ci presentiamo ai colleghi verdeoro e prendiamo posto nel nostro laboratorio, una stanza tutta bianca, porta con la guardina e inferriate alla finestra. La sensazione, tra lo scenario esterno e quello interno, è che prima o poi Zorro verrà a salvarci dalla prigione in cui c’ha sbattuto quel simpaticone del sergente Garcia. La temperatura interna è di 18 gradi, perché i brasiliani sono fissati con l’aria condizionata. Non hanno l’inverno, perciò lo ricreano dentro l’ufficio.

Si comincia a lavorare, pianificare, schedulare. Il laboratorio è nuovo di zecca, non ha neanche un anno. Chiediamo un computer per lavorare e ci danno un macbook pro al volo, come fosse un nintendo qualsiasi. A pranzo non si va alla mensa in mezzo agli altri studenti, paria, ma al centro commerciale. Spendiamo più che alla mensa del Cnr, anche se si mangia molto meglio. Solo che dovremmo spiegare ai brasiliani che ora i ricchi sono loro, e non noi. Dieci euro per un pranzo è una cifra che l’università italiana non si può permettere, solo che ci vergogniamo a dirlo, perciò rompiamo il salvadanaio e mascheriamo tutto con brividi di freddo, accusando l’aria condizionata. Ci sarebbe la mensa universitaria, ma i professori brasiliani fingono di non conoscerla. La sua esistenza è un mistero, la vediamo tutte le mattine ma forse è un miraggio.

Si ritorna a casa poco prima di notte, per la paura di venire assaltati nell’autobus. Alle 18 è già buio, dopo un’ora di rally  siamo già a casa. Il primo giorno di lavoro è passato, l’appartamento è pieno di piccoli scarafaggi. Il versiliese li uccide tutti, mentre sconsolato pensa ai tordelli di sua zia.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :