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Eugenio Rosi, Viticultore Artigiano

Da Marco1965_98 @foodstoriestwit

E’ una felice casualità quella per cui Eugenio Rosi, trentino di Volano, è diventato enologo. Ma, casualmente, proprio quella era la sua vera anima, dell’agricoltore, ereditata grazie alle prime “escursioni” nei campi sul trattore paterno. Se dunque per lui passare dalle vigne del padre, all’Istituto Agrario di San Michele all’Adige e alla specializzazione in agraria era quasi ovvio, così non parve all’inizio all’Istituto medesimo, perché c’era il numero chiuso, e Eugenio non era figlio di un coltivatore per così dire “professionista”. Grazie all’intercessione di un suo insegnante si è dovuto “accontentare” dell’indirizzo in enologia, sei anni duri che prevedono numerosi stage in cantina.

E’ così che Rosi è diventato anche un enologo di razza, benedetto da un carattere volitivo che gli ha impedito, nonostante gli undici anni di professione presso le cantine sociali della zona, dove ha imparato ad amare e trattare il Marzemino gentile, l’autoctono per eccellenza di questa zona molto piccola, di uniformarsi ai gusti e alle mode che richiedevano vini morbidi al palato, facili e senza punte al naso o in bocca, facilmente commerciabili. Rosi ha ben compreso che il punto di partenza doveva essere esaltare le caratteristiche di un’uva, non correggerne le mancanze rendendola uguale a qualsiasi altra, che la bravura in cantina non era fare, ma attendere creando le condizioni ottimali per uno sviluppo naturale del prodotto. Era dunque certo che dal Marzemino si potesse ottenere qualcosa di originale, occorreva però il tempo e infinite prove. Lui ha buttato via l’orologio e anche la carriera in cantina sociale per dedicarsi ai “suoi” vigneti, alle “sue” uve, al “suo” progetto di vinificazione. Palazzo Demartin, splendida residenza quattrocentesca a Calliano a pochi chilometri da Volano, accoglie la sua cantina di affinamento in locali con soffitti a volte, affreschi secenteschi che illustrano l’antico corso dell’Adige e le terre del Marzemino, e cosa più importante per Eugenio, pareti in pietra e calce, che respirando costituiscono lo scrigno ideale per le sue uve e le sue botti.

"Poiema", il suo Marzemino, stupisce perché è un vino floreale, così complesso da far sentire un’ampia gamma di sfumature in bocca, con una lunga persistenza e sapore di mandorla. Una struttura tale da rendere il risultato così organoletticamente diverso dagli standard da mettere in forse, per un momento, l’attribuizione della denominazione Marzemino.

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Il merito di tanta diversità sta in un 30% di uva passita per trenta/quaranta giorni in cassette che viene poi rifermentata con l’uva fresca affinché si leghino. La tecnica di passitura deriva dall’esperienza con questa uva delicata che in caso di piogge va vendemmiata subito, anche se acerba, e va maturata successivamente per evitare sapori amari. Il marzemino viene poi messo in botti da 750 litri ideali nel rapporto legno/vino e perché questo vino ha bisogno di molto ossigeno: sono di rovere e di ciliegio, che oltre a traspirare moltissimo è uno descrittori, insieme alla viola, di questo vino complesso.

Un risultato che conforta in primis chi ama la sintonia con i ritmi della natura, perché questo enologo poco interventista è in realtà un alchimista che crea e ricrea le condizioni ottimali per la pianta. Non usa concimi, ma pianta una leguminosa che arricchisce naturalmente di azoto il terreno argilloso che di per sé trattiene i minerali. Ha modificato la classica pergola, per dare una migliore esposizione dei grappoli al sole. Ha ridotto le rese. Sta usando antiche tecniche di piegatura e legatura dei tralci invece di cimarli con un intervento meno invasivo per la pianta. Esegue queste operazioni quando effettivamente necessitano e non in date prestabilite, perché ogni stagione è diversa dall’altra e non esiste una regola fissa. Sperimenta seguendo le fasi lunari, sia nella manutenzione delle piante sia in cantina, secondo tecniche biodinamiche.

“Esegesi” è un uvaggio di Cabernet e Merlot, anche se non vuole sentire parlare di “taglio bordolese” perché si tratta di vitigni che sono comunque sempre cresciuti in questa zona e risentono  delle sue caratteristiche alpine. E’ frutto di macerazioni molto lunghe, più naturali, perché la vinaccia dà complessità ed eleganza al vino, alcune pigiate direttamente in botte e fermentate in botte aperta, senza lieviti, con un procedimento più difficile da controllare, ma che da risultati unici, crea un prodotto più complesso, con migliori sviluppi nel tempo.

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“Dòron”, in greco il dono è un Marzemino passito. Dal passato Rosi ha appreso che un tempo il Marzemino si faceva anche dolce. Quindi lo vinifica come un recioto con uve pigiate fra dicembre e gennaio. Dono , questo vino lo è davvero, così fiorito e con un delicato ma intenso profumo di rosa.

“Anisos” disuguale, come l’essenza del territorio e delle sue uve, è un vino bianco ottenuto da una vinificazione in rosso. Le uve Pinot Bianco, Chardonnay e Nosiola vengono accudite e maturano racchiudendo in loro la freschezza e la ricchezza delle montagne dove nascono. La fermentazione spontanea avviene a contatto con le bucce e il vino viene poi imbottigliato senza essere filtrato.

Rispettoso e senza fretta, infatti, Eugenio Rosi difende la pianta, il prodotto e le piccole quantità, che consentono di agire (o non agire) per il meglio dall’inizio alla fine di questa interazione fra uomo e natura. Procedimento che partendo da vecchie e nuove conoscenze non è mai uguale e non deve mai dare lo stesso risultato. “Viticoltore artigiano” è la definizione che meglio lo connota.

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inserito da Elena Bianco

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