Magazine Cinema
Russia, 2006
71 minuti
L'incontro tra un uomo e una donna in un villaggio isolato dal mondo. Un amore imprevisto e folle li travolge; un sentimento talmente ardente da convincere la donna ad abbandonare per sempre quelle terre in rovina, lasciando il marito e la figlioletta per seguire il suo sogno. Forse, il sogno atteso da una vita...Ivan Vyrypaev è considerato tra i più importanti drammaturghi al mondo, proviene dal teatro e lo si nota, in questo suo esordio alla regia cinematografica. Ma vale la pena di sorvolare su alcune ingenuità registiche (nelle dissolvenze al nero, nel reparto musicale, forse eccessivo) perchè dall'altro canto, Euphoria (presentato alla 63a Mostra del Cinema di Venezia) onora egregiamente la miglior tradizione del cinema russo più estatico, grazie ad una paesaggistica e ad una fotografia esemplari, che riportano immediatamente alla memoria le scenografie del suo maestro per eccellenza, Andrei Tarkovskij. L'ambientazione quindi, rappresenta il vero centro vitale di questo piccolo gioiellino; un film che tra il Kornél Muncruczó di Delta (2008) e il cinema più rurale di Reha Erdem, si estende in sconfinati spazi idilliaci divisi tra acqua e terra (girato sulle sponde del fiume Don), elementi naturali che potrebbero conciliare esemplarmente con l'attuale stato emotivo vissuto dai protagonisti. Euphoria è una "tragedia greca"; una storia d'amore surreale. E' un'arteria di sentimenti; impetosi ed euforici (appunto) come l'amour fou che travolge Vera e Pasha (legati inscindibilmente all'acqua), invasi da un'attrazione folle ed improvvisa, precipitati come due novelli Adamo ed Eva in un nuovo Paradiso dell'Eden e inglobati in una natura selvaggia dove l'uomo può solamente riconquistare la sua primordialità, sentendosi finalmente libero di amare (e di essere amato) senza limitazioni. Ma ci sono sentimenti aridi come la steppa che invade gli spazi, come il rancore e la vendetta che colpiscono il (al) cuore di Valery, il marito di lei, ferito nell'orgoglio e deciso a spingersi oltre, questa volta, ad abbattere il muro dell'irrazionale pur di non lasciarla fuggire.
In entrambi i casi, sentimenti talmente tumultuosi che sono destinati a naufragare (letteralmente) o rimanere ancorati per sempre in quella landa desolata che la macchina da presa esplora continuamente, sorvolando sopra le insenature arenose che confluiscono tra loro assumendo l'aspetto di una geografia rupestre per poi planare, sui corpi al sole. E nel frattempo, il fuoco divampa (ancora Tarkovskij - Sacrificio) lasciando detriti fumanti; nei campi, nella natura circostante ma soprattutto, nell'animo di chi non ha più nulla da perdere. Il cielo si addensa di nubi, e la pioggia lava anche gli ultimi rimpianti, le ultime reminescenze di una condizione esistenziale dalla quale mai, Vera, avrebbe immaginato di poter svincolarsi. Ed infine eccoli, nuovamente abbracciati nel loro fluire acquatico, Vera e Pasha; i corpi ancora uniti, avvolti ellitticamente mentre solcano per l'ultima volta le acque del Don fino alla sponda, dove quel sogno, s'inabisserà per sempre.
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