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Expo 58, di Jonathan Coe

Creato il 05 maggio 2015 da Diletti Riletti @DilettieRiletti

Anche nel 1958, all’Esposizione Universale di Bruxelles, è già domani : tredici anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, in tutto il mondo si respira ottimismo ed ogni Paese intende mostrare di non essere tra gli ultimi nella corsa verso un meraviglioso futuro.

Luogo, utopia e simbolo delle magnifiche sorti e progressive è l’Atomium di Bruxelles, dove viene spedito Thomas Foley, incolore funzionario al Central Office of Information di Londra, a sorvegliare la realizzazione ed il buon funzionamento del pub nel padiglione appunto della Gran Bretagna per far sì che la struttura incarni la cultura britannica agli occhi del mondo intero. Compassato e attraente quanto banale, quasi soffocato dal matrimonio con una donna graziosa quanto scipita, Thomas ha il vantaggio di essere di madre belga e figlio del proprietario di un pub: possiede quindi i migliori requisiti per rappresentare in Belgio una società ancora molto legata al passato e quasi restia ad affacciarsi sul nuovo mondo che l’Expo 58 promette.

In realtà, nonostante le promesse di pace e benessere mondiali, la manifestazione è percorsa da tensioni e brividi di Guerra fredda. Sotto il simbolo ingrandito dell’atomo del ferro, i padiglioni dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti si fronteggiano esibendo le proprie meraviglie: l’alta tecnologia dello Sputnik contro i prodotti del raffinato consumismo americano testimoniano l’apparente riuscita di due società agli antipodi che hanno appena iniziato a guardarsi in cagnesco.

Nei sei mesi che trascorre nella terra natale della madre, di cui non sa un bel nulla, Thomas affronta un processo di “svezzamento” accelerato, grazie all’incontro con un ambiguo giornalista russo, una bella americana sfrontata, una coppia di funzionari britannici che sembrano usciti dai fumetti di Hergé, personaggi che lo trascinano quasi di peso in un vortice di birra e flirt, biciclette e omicidi, sesso e spionaggio: nel mondo dell’Expo, artificiale ed effimero, tutto scorre ad alta velocità sotto gli sguardi attenti e disponibili delle hostess vestite di rosso e blu, veri simboli dell’Expo belga, e della nuova donna, libera senza rinunciare al sentimento. Sarà Anneke, una di queste deliziose hostess, a diventare il Virgilio di questo Dante naïf e a rapirne il cuore un po’ surgelato, portandolo alla scoperta delle sue radici, oltre che alle delizie del sesso “leggero”.

Dopo aver dipinto l’Inghilterra thatcheriana con La famiglia Winshaw e gli anni di Blair in Circolo chiuso, Jonathan Coe tratteggia attraverso il protagonista il ritratto tutto britannico di un paese alla fine degli anni ’50, sospeso fra attrazione per il futuro ed attaccamento alle tradizioni. Ed è qui che ho finalmente ritrovato la forza ironicamente descrittiva di Coe, nei dettagli della vita ordinaria di un uomo ordinario che si trova suo malgrado catapultato in avvenimenti di importanza mondiale: l’ingenuità che rasenta la cecità di Thomas mi ha spesso irritata, ho avuto più volte l’impulso di svegliarlo, di trattenerlo o gridargli nelle orecchie di non fidarsi di personaggi le cui falsità e falle paiono evidenti leggendo.

Di certo non è questo il suo miglior romanzo, ma non posso non ammirare anche qui, nella narrazione breve di un’atmosfera caduta nell’oblio e delle infantili speranze di un mondo rinato a fatica, la maestria di Coe nel modellare una storia banale fino a portarla nell’epicentro della Storia.

Come accade per i padiglioni, destinati ad esser smontati, il tempo sa ricoprire con un velo di polvere ogni clamore su avvenimenti effimeri, ma giudicati dai contemporanei di grande rilevanza: al di là della piacevole, pur se non particolarmente avvincente o originale, trama giallistica, la valenza di un romanzo come Expo 58 forse è proprio nella malinconica, amara constatazione che anche oggi -come è già stato e forse sarà nel 2150- è già domani.


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