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Facciamo epoche'!

Creato il 24 ottobre 2013 da Giuseppeg

FACCIAMO EPOCHE'!

'Husserl mentre fa epoché su una tazza di caffè':
è una vignetta umoristica, ma rende bene l'idea...

Avete mai provato a considerare un oggetto per quello che è, solamente in quanto oggetto e senza alcuna implicazione con la nostra vita? Abbiamo mai provato a restituire alle cose una loro dignità oggettiva, assoluta, che sia a prescindere da ogni nostro interesse contemplativo o strumentale? Ci siamo mai messi in relazione con il mondo senza tornare continuamente a noi stessi, in un rapporto boomerang di feedback con il quale calibrare il nostro intervento diretto e snaturante sulle cose? No? Allora è il momento di fare epoché.
L’epoché nella filosofia scettica era il dubbio, assoluto e non metodico, e significava tecnicamente ‘sospensione del giudizio’. Per gli scettici però, come si sa, il dubbio era il punto di inizio e al tempo stesso di arrivo di tutta la loro filosofia: si dubitava di tutto, non si era sicuri di nulla. Il mondo intero era messo permanentemente tra parentesi. Il filosofo Edmund Husserl, in pieno Novecento, ha recuperato questo concetto e lo ha riadattato alla sua filosofia, conosciuta con il nome di Fenomenologia. Di che si tratta? E cosa c’entra l’epoché? Husserl si trovava a metà strada tra Platone e Kant, in questo senso: credeva nell’esistenza delle idee, schemi assoluti e perfetti da cui derivano le singole cose, le cose effettive. Le idee, cioè, non sarebbero semplici concetti, ma esisterebbero realmente, oggettivamente.

FACCIAMO EPOCHE'!

Se guardate questa figura, vi accorgerete che le
vostre istanze soggettive ne influenzano la comprensione:
la figura che fugge sembra infatti più piccola di  quella
che insegue; al tempo stesso, la sua espressione sembra
di puro terrore, mentre l'altra è più aggressiva. Si tratta
ovviamente di un errore, perché le immagini sono uguali

Allo stesso tempo, però, non considerava le idee come facenti parte di un mondo esterno alla nostra mente - come in Platone appunto -, ma le fissava in una sorta di ‘intelligenza assoluta’ che appartiene a tutti gli uomini, l’intelletto in quanto tale, universale in quanto umano, trascendentale e non trascendente. Per arrivare a queste idee, però, cioè all’essenza delle cose stesse, bisogna partire dalle loro qualità sensoriali, individuali, contingenti. Dire che una cosa è, trovare cioè la sua essenza significa scoprire quell’elemento, quella caratteristica, quella qualità per cui una cosa è questa e non un’altra, senza il quale elemento la cosa stessa cessa di essere quello che è. Si tratta allora, si badi bene, di trovare un qualche cosa più oggettivo della scienza, più assoluto. E questo perché? Perché la scienza non tiene conto del soggetto, ma solo dell’oggetto esaminato. La Fenomenologia invece no: ciò che le interessa è l’oggetto nell’unico modo in cui può essere tale, sarebbe a dire nel suo incontro col soggetto conoscente, cioè noi che lo osserviamo: il mondo infatti non esiste se non c’è chi lo comprende. Giusto?

FACCIAMO EPOCHE'!

Picasso, Il bue, 1946. In molti lavori
di Picasso si intravede la ricerca
dell'essenza
di un oggetto, attraverso la
sua riduzione a un'immagine-limite, come
in questo caso o nell'altro

Facciamo così. Prendiamo una tazza, una qualsiasi. Guardiamo bene questa tazza, e pensiamo: in base a che cosa posso dire che è una tazza? Cosa ci metto di mio, del mio vissuto, dei miei ricordi e delle mie aspettative nel pensare che è una ‘tazza’? Avrò infatti nella mente una specie di modello, come una ‘tazza ideale’ a cui raffronto tutte le altre e in base al quale la riconosco come tale. Bene. E se togliamo il manico, sarà ancora una tazza? Sì, perché avrà sempre la sua funzione - solamente che mi brucio un po’ le mani. Errore: bisogna togliere anche l’idea di funzione, lasciare l’oggetto per quello che è, abbandonarlo a se stesso. Cosa rimane, ora? Una ciotola? Una scodella? Le cose come vediamo si complicano…

FACCIAMO EPOCHE'!

Uccelli bianchi di Picasso, 1958.
Stesso discorso di prima...


L’operazione messa in atto da Husserl viene detta riduzione eidetica, che significa appunto 'riduzione all’idea'. Si tratta di 'disossare' l’oggetto dalle sue parti superflue, fino a ridurlo all’essenziale; fino al punto, cioè, che se lo si cambia ancora cessa di essere quello che è. Quello che resta della tazza, allora - ritornando al nostro esempio -, quel residuo essenziale modificando il quale non avremo più una tazza, sarà l’idea stessa di tazza, ed è valida per tutti e in ogni tempo; è la sua essenza.
Che cosa resta di certo dopo questa operazione? Alcune cose e, per la verità, tutte molto importanti. Innanzitutto la coscienza. Perché se escludo tutto il resto, non posso escludere comunque la mia coscienza che esclude: ergo - un po’ come diceva Cartesio - la mia coscienza è indubitabile, è assoluta. Andando avanti, mi resta insieme anche l’oggetto. Ma l’oggetto non sarà l’oggetto in sé - come invece aveva dimostrato Cartesio passando dall’esistenza di Dio -: sarà ciò che percepisco dell’oggetto, la sua ombra, il suo fenomeno insomma - da lì il nome di 'Fenomenologia'. Al contrario di Kant, però, non ci interessa la 'cosa in sé' che sta dietro al fenomeno: l’interesse della scienza - filosofica, stavolta -, il suo valore oggettivante e assoluto sarà quello del fenomeno, appunto, che assurge così a una sua dignità epistemologica.

FACCIAMO EPOCHE'!

La pittura di Morandi è stata tutta incentrata sul recupero dell'autenticità dell'oggetto: l'oggetto è infatti 'svuotato' delle sue qualità accidentali, sviscerato in ogni suo significato e ridotto all'essenza, in un connubio tra soggetto e oggetto di forte spessore  emotivo ed artistico


Attenti a non esagerare, però: se vi mettete a fare epoché su delle strisce pedonali, ad esempio, ci sarà un rischio molto forte di andare a colludere contro un 'fenomeno' molto oggettivo e concreto, nella sua specificità scientifica: l'automobilista di passaggio.

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