Magazine Cinema

Father and son

Creato il 12 maggio 2014 da Lamacchinadeisogni

FATHER_AND_SONTITOLO: FATHER AND SON

GENERE: DRAMMATICO

RATING:  * * + +

TRAMA:

I coniugi Nonomya ed il loro figlio Keità sono una tipica famiglia benestante giapponese. Ryota è infatti un ambizioso architetto in carriera dedito al lavoro, e nel pochissimo tempo libero che rimane si cura della famiglia secondo le rigide e formali regole patriarcali giapponesi; Midori invece è una moglie premurosa, gentile, sottomessa ed una madre affettuosa. Ma un giorno quell’ordine perfetto come un’ikebana viene sconvolto da una telefonata dell’ospedale dove sei anni prima era nato il piccolo Keità: i due sono stati vittima di uno scambio di neonati, il bambino in realtà non è loro figlio biologico poiché al momento della nascita il piccolo è stato scambiato nella culla con il figlio dei coniugi Sailki, una famiglia modesta che vive con altri due bambini in condizioni economiche disagiate.
Ryota si troverà di fronte ad una scelta terribile: riprendersi il figlio del suo sangue o continuare ad allevare il bambino che ha cresciuto ed amato sino ad allora?

(Regia: Hirokazu Kore-eda – anno 2014)

COMMENTO:

Pensavo che il focus del film fosse il dilemma lacerante “scegliere il figlio biologico o mantenere quello adottivo che si è cresciuto ed amato per anni? Si può davvero amare un figlio che non è il tuo? Cosa fa di un uomo un padre, il DNA o il tempo dedicato a crescere il proprio figlio?”, ed invece il tema centrale è la storia della crescita personale di un uomo, Ryota Nonomiya.

Ryota dovrà affrontare degli enormi blocchi emotivi e culturali in una titanica lotta interiore, a conferma che la vita non è altro che una grande ed unica lezione magistrale; tutto ciò che ci accade non è casuale ma è finalizzato al raggiungimento di un bene superiore: la nostra evoluzione.

Il film ci ricorda quanto ciò che siamo sia il risultato della nostra storia familiare, esperienze e contesto sociale. Un fardello che ha separato Ryota dai propri sentimenti costruendogli intorno a un recinto dal quale dovrà emanciparsi. Un muro fatto di aspettative schiaccianti, impegno, sacrificio, efficienza e competizione: i miti del sistema educativo tradizionale nipponico che tante soddisfazioni sta dando a quel paese in termini di suicidi! Persino il contatto fisico è un problema e nelle relazioni sociali è ridotto all’essenziale. Impressionante come in quel formalismo tradizionale ci si possa tranquillamente mandare a quel paese o compiere azioni dalle conseguenze più drammatiche sempre tra sorrisi, modi gentili ed inchini deferenti. Un insieme di consuetudini cerimoniose, senso del decoro, regole sociali talmente prevalenti da rendere impossibile capire cosa si celi sotto le apparenze.

La rigidità patriarcale che attanaglia il popolo giapponese è efficacemente riassunta nella postura del corpo della famiglia Nonomya quando, nell’inquadratura iniziale, si presenta al colloquio per l’ammissione del piccolo Keità in una prestigiosa scuola privata: padre e figlio seduti con schiena dritta come un fuso e pugni stretti posati sulle ginocchia di gambe ben piantate a terra, madre con sguardo leggermente rivolto verso il basso e mani congiunte a coprire le parti intime in atteggiamento remissivo e sottomesso; una foto di famiglia agghiacciante!

Sono tanti i dettagli apparentemente insignificanti che Hirokazu Kore-eda usa come indizi per interpretare la storia: l’inquadratura delle cannucce masticate del piccolo Ryusei e di Yudai Saiki, suo padre putativo; l’incontro apparentemente casuale tra il padre super efficiente e l’ex architetto edile pentito, che convertitosi alla progettazione di habitat naturali, istilla nella mente di Ryota l’intuizione di una grande verità: non si può piantare una ghianda oggi e sedersi domani all’ombra di una quercia, servono tempo, amore e cure. Tracce che nel loro insieme compongono il racconto di quella trasformazione interiore come le tessere di un mosaico.

Anche lo stile di vita della famiglia Saiki è continua occasione  di riflessione per il presuntuoso e rigido Ryota: il formalismo delle regole non può che soccombere di fronte alla forza travolgente dell’amore e della spontaneità.

Apprezzabile il fatto che il regista non sia mai scaduto nel melodramma e nel pietismo nonostante l’argomento trattato si prestasse, mantenendo un tono sobrio, centrato sulla presa di consapevolezza di Ryota e sulla critica ad un modello culturale che mostra tutti i suoi limiti. Una cultura che ha sterilizzato le relazioni umane al punto da evitare ogni contatto fisico. Un popolo che finalmente si rende conto di un sistema educativo tradizionale mutilante dal punto di vista emotivo e castrante dal punto di vista delle propensioni e dei talenti naturali.

(Attenzione Spoiler) Il momento a mio avviso più toccante è quello in cui Ryota si libera delle catene mentali e rivolgendosi al piccolo keytà profondamente ferito, nel disperato tentativo di riallacciare un contatto, usando il loro codice personale ed intimo gli dice: “La missione è finita!”. Una frase liberatoria ed emblematica che pone fine alla tensione respirata durante tutto il film e risponde al dilemma iniziale posto a Ryota da sua moglie Midori: “Saresti disposto a sceglier il legame di sangue al posto dei sei anni vissuti con Keità? ”. No, ciò che conta non è il sangue ma l’amore di chi ti ha cresciuto (fine Spoiler).

Da non sottovalutare le altre grandi riflessioni che la storia ci regala: l’incarnarsi di un’anima in una famiglia piuttosto che un’altra comporta la scelta di un destino, e l’importanza che diamo ai nostri cari è distorta dall’ego. E’ l’interesse del sangue, l’investimento emotivo e di risorse che abbiamo riposto su qualcuno a farci credere che l’oggetto del nostro amore sia più importante di altri, ma la verità che il film disvela è che i figli degli altri hanno la stessa identica importanza dei nostri, come il venire a conoscenza dell’accidentale scambio di neonati ha messo in luce. La separazione è apparente, poiché siamo espressione di una realtà spirituale unica, una verità nascosta dietro il DNA di un corpo fisico diverso.

Lo stesso concetto trova una perfetta sponda anche nelle scoperte della fisica quantistica che ci svela che è l’osservatore a modificare la realtà; il cambio di punto di vista dei genitori ha infatti modificato il significato del bambino di un’altra famiglia che sino a quel momento non aveva alcuna importanza.

Dal punto di vista cinematografico le emozioni non sono eclatanti, la sceneggiatura è essenziale, il ritmo lento, la realizzazione visiva è semplice ed equilibrata in perfetto stile giapponese. Il racconto non è neppure originale, visto il film franco-israeliano Il figlio dell’altra uscito nel 2012, ma l’importanza dei contenuti e delle riflessioni ne fanno comunque un film interessante.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Dossier Paperblog

Magazines