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[Film Zone] Lo Hobbit – Una recensione inaspettata

Creato il 08 gennaio 2013 da Queenseptienna @queenseptienna

[Film Zone] Lo Hobbit – Una recensione inaspettataTitolo: Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato

Regia: Peter Jackson

Anno: 2012

Durata: 170 minuti

Paese: Nuova Zelanda, Regno Unito, U.S.A.

Genere: Fantasy

   Attori: Martin Freeman, Ian Mckellen, Richard Armitage, Andy Serkis, Hugo Weaving, Cate Blanchett, Christopher Lee, Elijah Wood

Voto:

[Film Zone] Lo Hobbit – Una recensione inaspettata

 

Trama:

La storia incomincia nel modo più tranquillo possibile: Bilbo sta tranquillamente fumando la sua erba pipa sull’uscio di casa, quando arriva Gandalf, un famoso stregone, che gli propone di prendere parte ad un’avventura. Lo hobbit esita in un primo momento di fronte alla proposta dello stregone dicendo che gli hobbit sono gente tranquilla, non avvezza alle avventure, da lui definite “Brutte fastidiose scomode cose”. Tuttavia il giorno dopo fa la conoscenza di un gruppo di nani cappeggiato da Thorin Scudodiquercia e 12 suoi congiunti ed amici: Balin, Dwalin, Kili, Fili, Dori, Nori, Ori, Oin, Gloin, Bifur, Bofur e Bombur. La faccenda prende una brutta piega per Bilbo che si ritrova tutti questi ospiti in casa: durante il banchetto preparato dallo hobbit si scoprirà che lo scopo di quest’avventura è quello di recuperare un immenso tesoro posto nel cuore della Montagna Solitaria sorvegliato dal vecchio e feroce drago Smaug che in passato ha sottratto queste ricchezze ai nani che dimoravano sotto la montagna.

Recensione

Amici di Scrittevolmente bentrovati ancora una volta fra queste pagine, oggi per voi l’inaspettata recensione dell’ultima fatica cinematografica di Peter Jackson, il tanto acclamato (?!?) adattamento cinematografico de “Lo Hobbit”, fiaba del 1937 di J. R. R. Tolkien. Si, nel caso vi fosse sfuggita l’evidenza precedente, Lo Hobbit nacque all’inizio come fiaba, anche se con gli anni e decine di traduzioni un po’ di magia s’è persa, purtroppo.

Se avete letto il libro comunque lo sapete, nonostante pessime o buone traduzioni, dal tono e da come l’autore si rivolge al lettore, si capisce che sebbene sia un’opera per tutte le età, trova le sue radici in qualcosa di ben più leggero.

Ma passiamo al film, poiché questo è l’argomento in questione. Tenete comunque a mente quanto detto prima, perché fidatevi, è importante e ne riparleremo, prima iniziamo con l’aspetto tecnico.

Il film l’ho visto in 2D, rigoroso, per ben due volte. Del 3D a 48 fps non me ne frega una beneamata fava, se voglio vedere uno spettacolo 3D vado a teatro, ecco. Tornando alle due dimensioni, il film è tecnicamente magico. Mi è piaciuto, l’ho amato, tornare di nuovo nella Terra di Mezzo dopo quasi nove anni (si, Il ritorno del re è un film del 2004, siete quasi vecchi) è sempre fantastico. La Weta digital ci sa fare, non ci sono questioni, chi dice che a 48 fps il film sembra finto ha solo da pagare un biglietto normale e vedersi un film come si deve senza occhiali spastici anni 70.

Nonostante si faccia largo uso del digitale, il regista non manca di impiegare modellini e diorami, tutti spettacolari, così come di ricreare a scala naturale parte delle strutture che si vedono nel film (ad esempio Hobbiville o parti di Gran Burrone), ma in tutto questo però ci sono delle falle (forse viste da me, Tolkienfag pignolo) noiose. Alcuni set e fondali, specialmente quelli all’interno delle montagne, paiono bellamente riciclati da quelli di Moria del primo capitolo del Signore degli Anelli.

Non parlo solo di riadattamento con spolveratina e cambio luci, alcune zone sono identiche, solo messe in un differente contesto. Magari tutto ciò e dovuto al fatto che il Jackson sia rimasto fedele al suo precedente stile, non ne ho idea, però l’ho trovato un po’ stupido.  Il resto della critica alla tecnica è generalmente positivo, niente che già non si fosse visto nel signore degli anelli, con quel tocco in più che possono dare le nuove macchine da presa. La regia di Jackson si vede, non è cambiata in modo radicale dal 2004 e questo è un fattore positivo. Fortunatamente il resto degli effetti funziona, non c’è del penelunghismo, nessuna voglia di strafare per rendere epico in modo pacchiano un’opera simile; la Nuova Zelanda di per se è il set perfetto per la terra di mezzo, l’ho sempre detto.

Chiudiamo però il comparto tecnico e passiamo alla parte cruciale, il nocciolo di tutti i “problemi” che secondo me affliggono questa pellicola: adattamento e personaggi.

Perché Peter, perché? Perché hai di nuovo voluto fare una saga, dimmelo? Ammetto di essere rimasto basito quando ho saputo che da due episodi sarebbero diventati tre, di nuovo da quasi 3 ore ciascuno, chiedendomi vivamente il perché.

Lo Hobbit è un libro di nemmeno 500 pagine, semplice e lineare, perfettamente rappresentabile con due film da un paio d’ore, se vogliamo stare larghi. Il vero problema del film, oltre alla recitazione chiaramente lo troviamo nella lentezza. Troppe aggiunte non necessarie e nemmeno utili ai fini della trama che spalmano l’azione nella seconda metà della pellicola, rendendola inizialmente troppo lenta e poco piacevole.

Riallacciandoci alla prima parte, bisogna tener conto di come il libro originale sia stato pensato come fiaba, con un tono e una narrazione differenti rispetto al Signore degli Anelli, più leggero, ironico e scanzonato se vogliamo. Quello che Jackson ha fatto è stato darci un film perfettamente riadattato, perché comunque la prima parte c’è tutta  (si conclude quando la compagnia viene salvata dalle aquile dopo lo scontro sugli alberi, perché poi non si faccia mai nemmeno menzione a nessuno dei signori dei venti o le aquile non abbiano il dono della parola proprio non lo so, ma comunque è più che accettabile), ma con i canoni del SdA, quindi tutto epico, serioso e decisamente troppo impostato.

Quello che stona sono i tagli inutili e le aggiunte totalmente necessarie, come rappresentare la battaglia delle miniere di moria in modo erroneo facendo morire Thror, il quale invece era già stato ucciso e fatto a pezzi da Azog, eliminato poi da Dain Piediferro (notare quindi come il personaggio di Azog è decisamente fuori luogo).

Thorin stesso in quella occasione non trovò semplicemente un ramo di quercia a caso mentre guardava a terra, ma nella furia della battaglia lo tagliò lui stesso dalla pianta per usarlo come scudo. Era così difficile rappresentare una scena simile? Non capirò mai le decisioni dietro ad un adattamento cinematografico, ma non mi pareva una gran difficoltà prendere l’attore e fargli tagliare un ramo, anziché farglielo trovare già pronto a terra.

Nel complesso l’adattamento è apprezzabile, lento e pieno di dettagli difettosi (vogliamo parlare del Grande Orco delle montagne? Un trippone lardoso con la pappagorgia sino ai piedi e doppiato da uno che sembra uscito dal buco per la mano del pupazzo Uan?) che per un amateur o i non avvezzi possono non sembrare nulla, ma che agli occhi di chi ha le opere di Tolkien nel cuore fanno male.

In ultimo parte gli attori, gli attori! Qui veramente ho visto i sorci verdi, ho dovuto vederli, per non concentrarmi troppo sull’assenza di tutto quello che ne Lo Hobbit rappresentano i personaggi. Sullo schermo e sulla carta abbiamo tredici nani, tutti con personalità diverse e caratteristiche uniche, come Dwalin e il suo odio/diffidenza verso tutto ciò che non è nanico o la capacità di Oin e Gloin di accendere fuochi sempre e ovunque.

Nel film se togliamo Thorin, ben rappresentato in quanto a scontrosità e odio verso il mondo intero, ma recitato (a mio avviso) con un ascia su-per-il-foro-per-la-mano-del-pupazzo-uan, degli altri nani non si sa nulla di nulla, se non che son nani, ovvio. Niente personalità, nessun racconto, nessuna peculiarità, non si fa nemmeno cenno al fatto che praticamente tutti sanno suonare uno strumento musicale cosa che avviene all’inizio a casa di Bilbo, fra le altre cose. L’unica cosa che appare sono nani vagamente gay che propongono camomilla e vino, nani troppo alti o che sembrano usciti da Beverly Hills tanto sono puliti e giovani.

Solo Martin Freeman (fra i “nuovi”) è riuscito a darmi quello che cercavo, che avrei voluto vedere, un Bilbo timoroso, spaventato e fuori dal suo ambiente, una molla pronta a scattare e agire senza pensare, poiché mai si è trovato in una situazione simile. Degli altri non saprei nemmeno che dire, Ian McKellen non ha nemmeno bisogno di parole, men che meno il suo doppiaggio italiano, affidato a un capace Gigi Proietti, il quale ha saputo rendere bene l’eredità di una voce che ha accompagnato tutti per la trilogia del SdA.

 Ci sarebbe da continuare per molto su tutta una serie di altre imperfezioni, differenze e quant’altro che fanno perdere voti a questo film, ma preferisco fermarmi qui, convinto delle mie parole dopo averlo visto ben due volte. Nel complesso non è da sdegnare, merita guardarlo si, ma con la consapevolezza di avere davanti agli occhi qualcosa di diverso, qualcosa di troppo epico e poco guascone, ma siamo solo al (sigh) primo capitolo, chissà che negli altri qualcosa possa migliorare, farmi aprire gli occhi e tirare un sospiro di sollievo.

Ah dimenticavo, per chi non avesse letto il libro, alla fine Thorin muore. Anche Fili e Kili.

 


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