Ho letto le ultime, o penultime, dichiarazioni di Bossi riportate da tutti o quasi i giornali e i siti in rete.
Smettendo per un attimo, forse, gli abiti del malato gabbato dalle persone di cui si fidava, familiari compresi, ha ripreso di nuovo quelli del leghista celodurista e dice, o urla, o biascica:
“Soldi nostri, non è reato”.
“Un partito può benissimo buttare i soldi dalla finestra”.
Leggo anche Michele Serra ne L’amaca su Repubblica di ieri, che in un impeto garantista o semplicemente per distinguersi dal coro, scrive:
“Che un partito politico (la Lega) paghi al suo capogruppo (Calderoli) l’affitto di un appartamento a Roma, non è uno scandalo. Specie se raffrontato ai tanti scandali veri, e disgustosi, venuti alla luce a proposito dell’uso dei fondi pubblici destinati ai partiti”.
Quindi se ci sono scandali più eclatanti quelli minori non devono destare riprovazione. Ma lasciamo perdere e torniamo alle affermazioni di Bossi.
Sarebbe ora di finirla con questi giochini delle tre carte, con questa manipolazione della realtà, con queste frittate rivoltate.
Andiamo a leggere la famigerata legge 10 dicembre 1993, n. 515, Disciplina delle campagne elettorali per l’elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, quella promulgata a pochi mesi, era l’aprile precedente, dal referendum che aveva abrogato il finanziamento pubblico dei partiti. Quello che ci interessa qui è l’articolo 11 sulla tipologia delle spese elettorali. Perché se noi dobbiamo “contribuire” alle spese elettorali è giusto che venga indicato cosa deve essere compreso tra queste.
E l’articolo recita:
1. Per spese relative alla campagna elettorale si intendono quelle relative:
a) alla produzione, all’acquisto o all’affitto di materiali e di mezzi per la propaganda;
b) alla distribuzione e diffusione dei materiali e dei mezzi di cui alla lettera a), compresa l’acquisizione di spazi sugli organi di informazione, sulle radio e televisioni private, nei cinema e nei teatri;
c) all’organizzazione di manifestazioni di propaganda, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, anche di carattere sociale, culturale e sportivo;
d) alla stampa, distribuzione e raccolta dei moduli, all’autenticazione delle firme e all’espletamento di ogni altra operazione richiesta dalla legge per la presentazione delle liste
elettorali;
e) al personale utilizzato e ad ogni prestazione o servizio inerente alla campagna elettorale.
2. Le spese relative ai locali per le sedi elettorali, quelle di viaggio e soggiorno, telefoniche e postali, nonché gli oneri passivi, sono calcolati in misura forfettaria, in percentuale fissa
del 30 per cento dell’ammontare complessivo delle spese ammissibili e documentate.
La casa al Gianicolo di Calderoli rientra nelle spese che possono essere rimborsate? NO. Come non vi rientrano lingotti e diamanti e profumi e balocchi. O Audi e multe pagate.
Non credo si debba aggiungere altro.
E modestamente riteniamo di non rientrare tra quelle voci che Serra definisce poco più avanti “isteriche e violente, già disposte, in cuor loro, a sputare sull’incatenato e ad applaudire il boia”.