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Fondazione Arena: sciopero della fame

Creato il 18 gennaio 2016 da Nonzittitelarte

Fondazione Arena: sciopero della fame

Lettera Aperta del Segretario SLc Cgil PAOLO SEGHI che inizia uno Sciopero della Fame a favore della causa dei Lavoratori della Fondazione Arena

In data 15 gennaio 2015 ci è pervenuta questa lettera aperta del Segretario CGIL Paolo Seghi.

Di seguito il testo:

LETTERA  APERTA

La situazione in Fondazione Arena si sta rivelando sempre più una potente metafora dei nostri tempi.

E’ l’insieme del mondo del lavoro, da quello manifatturiero a quello dei servizi, che soffre oggi degli stessi mali: mancanza di visione, svalutazione dei contenuti e della professionalità, precarizzazione dei lavoratori, dispersione di un patrimonio materiale e immateriale.

In Fondazione si aggiunge inoltre  quella svalutazione  della espressione artistica come bene comune per la fruibilità e la crescita della  comunità, veicolo di coesione sociale, costruzione di un sentire comune, espressione di una storia mutilata una narrazione che viene interrotta.

Ma la vicenda della Fondazione rappresenta anche un punto fondamentale della storia e della identità di una città, oltre che una parte consistente della sua economia, a fronte della cui crisi si evidenzia il rischio di una ennesima sacca di degrado e di incuria.

Oggi la vertenza per la salvezza della integrità della Fondazione, così come sostenuta dai lavoratori e dalle Organizzazioni sindacali,  si è avvitata su sé stessa: chi è stato “parte del problema”  si autoassolve delle proprie responsabilità scaricando colpe ed errori su chi ha costruito questo teatro e questa storia, umiliando professionalità, ragioni di vita e orgoglio di quanti ne sono stati protagonisti.

Ne emerge il volto di un “potere” che segna i nostri tempi, che si nasconde dietro l’immagine dei tecnici decisionisti, degli “uomini per tutte le stagioni”, di una politica  che crede di poter affrontare l’oggi  senza una visione di prospettiva, che detta senza ascoltare.

Nel caso della Fondazione si perde ogni idea di rilancio, di qualità, di attenzione a un pubblico che non scema per “declino del gusto”, semmai per la diminuzione dell’offerta, della qualità, della carenza di una promozione lungimirante capace di farne vivere al territorio occasione e opportunità. Così come altri teatri d’Italia e d’Europa dimostrano.

Chi opera in questo modo accorcia ancora di più la propria visione di futuro, rinunciando penosamente alla propria responsabilità e dignità.

Abbiamo, da parte nostra, insistito su un’idea di integrità del teatro che dia ad orchestra, coro, corpo di ballo, allestimenti scenici, tecnici e amministrativi il ruolo che compente loro e ne faccia esprimere la potenzialità più alta.

Abbiamo evidenziato il  ruolo artistico e professionale degli “aggiunti” e della loro fondamentale importanza nella qualità della prestazione artistica. Su di loro, “soggetto debole”, si stanno scaricando già da oggi le scelte unilaterali della Fondazione peraltro di dubbia legittimità.

Abbiamo chiesto anche un rinnovamento del repertorio e della capacità di proposta di nuovi titoli ed allestimenti al pubblico italiano ed europeo.

Abbiamo dimostrato, anche avvalendoci di contributi qualificati e in termini comparativi con altre realtà italiane ed europee, quanto un rilancio sia possibile e sostenibile incrementando qualità e offerta in un percorso inclusivo di tutti i settori, dal ballo agli storici laboratori degli allestimenti scenici: è investendo che si esce dalle crisi, è tagliando che se ne viene travolti.

Abbiamo rivendicato discontinuità con una conduzione del passato che ha prodotto distorsioni alla identità e sperpero di risorse pubbliche senza poter diventare attrattiva per investimenti privati pur incoraggiati dal sistema normativo nazionale.

Abbiamo chiesto più volte e a tutti i livelli l’apertura di un tavolo qualificato volto al rilancio, mettendo a disposizione energie e competenze per trovare delle soluzioni.

Abbiamo usato per questo tutti gli strumenti della storia e della tradizione del mondo del lavoro e del fare sindacato, costruendo inoltre con la città di Verona, anche attraverso l’offerta di momenti di incontro e di spettacolo, un rapporto di interesse e solidarietà.

Stavamo rivedendo e ridiscutendo il famoso “integrativo” quando unilateralmente Fondazione lo ha disdettato.

Oggi il conflitto non è più “solamente” sindacale, ma etico e valoriale e chiama in causa il rapporto stesso tra lavoro e direzione, tra prospettiva e declino.

A fronte della cecità della direzione politica, amministrativa e artistica, sento il dovere di continuare  ad esprimere ancora di più e con tutta la forza che mi è possibile, la partecipazione con quanti abbiamo lottato e lotteremo per questo riconoscimento di dignità e di futuro e con quanti abbia personalmente avuto il privilegio della conoscenza e della condivisione di ansie e passioni.

Inizio per questo da oggi, anche se in forma inusuale nel mondo sindacale, uno sciopero della fame affinché uno spazio di confronto aperto e qualificato sia aperto. 

Me ne assumo a livello personale responsabilità e conseguenze.

Auspico che il “potere locale”, quanti si definiscono asetticamente “tecnici”, consiglieri e consulenti, quanti ancora una volta mortificano la propria stessa dignità in nome della “obbedienza dovuta” al ruolo e alla politica, forse anche del tornaconto personale, possano interrogarsi sui propri errori e sul proprio compito.

Vorrei che questo contributo – che si affianca a quello di quanti con l’assemblea permanente da oltre 50 giorni sono a presidio giorno e notte del proprio futuro negli uffici della Fondazione,di quanti hanno offerto la propria arte e sensibilità alla città, di chi ha sofferto la decisione di scioperare per i propri diritti  – venisse considerato come un gesto di servizio e di sostegno al dover aprire una discussione e una trattativa vera e positiva sulla integrità del teatro. Così come un gesto di stima e sostegno a quanto come organizzazioni sindacali e rappresentanti abbiamo, pur con fatica, condotto unitariamente.

Vorrei che la “finta modernità” di chi agisce con la forza e l’arroganza appoggiandosi a interessi politici di varia natura lasciasse spazio a un confronto aperto con i protagonisti di questa avventura umana, artistica, sociale e professionale.

Vorrei che l’ unità tra i lavoratori si consolidasse, che la difesa di diritti e legittimi interessi si arricchisse ancora di più con quel desiderio di rinnovamento, anche interno, che ci ha animati e che può rappresentare una leva potente se  capace di resistere a tentazioni individualiste  e corporative.

Il “tavolo” del confronto sarà d’obbligo se le norme di legge lo imporranno, ma non sarà mai la stessa cosa di un percorso di confronto e negoziazione che abbia al centro una idea alta di bene comune , di sviluppo, di valorizzazione delle risorse e delle competenze.

Se questo percorso riuscirà ad esprimersi con la potenza simbolica che solo il più grande teatro all’aperto di Europa può rappresentare, potrà accadere che  la vicenda dei lavoratori e lavoratrici dell’ Arena possa venire letta un domani come un contributo al territorio e al suo rinnovamento.

Paolo Seghi

Slc Cgil

FONTE: blog dei lavoratori Fondazione Arena

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