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Forbidden: I Sei Palazzi dell'Ovest

Creato il 14 aprile 2012 da Alessandro Manzetti @amanzetti
Forbidden: I Sei Palazzi dell'Ovest
Si conclude la prima tappa del viaggio nel colore bianco, che ritroveremo più avanti. Questa volta mi confronto con il bianco e la sua purezza, la verginità femminile e il foglio bianco dell'esperienza. Parlo del viaggio verso l'isolamento di tante giovani donne costrette a vivere la propria esistenza, se così può definirsi, all'interno dei Xiliugong, i sei Palazzi dell'Ovest, la residenza dell'Imperatrice, delle vedove, degli inservienti e delle concubine nella Città Proibità di Bejing.
Migliaia di giovani vergini,  consegnate spontaneamente dalla proprie famiglie ai solerti funzionati imperiali, sorvegliate continuamente da un numero ancora maggiore di eunuchi, costrette a vivere all'interno di mura alte, spesse, inviolabili. Donne isolate dal resto del mondo,  preziose per la propria purezza, da consegnare nelle mani del'imperatore, oppure, come più spesso accadeva, lasciata ad ammuffire, per tutta la vita, insieme ai sogni già abbandonati nell'adolescenza. Una vita spesso integralmente bianca, senza alcuna possibilità di lasciar respirare la propria personalità, senza conoscerla nemmeno. Purezza e prigione, un contrasto davvero stridente. Un destino bianco e freddo come la neve.
Forbidden: I Sei Palazzi dell'Ovest
Gli unici colori dei questa vita bianca potevano essere accesi dalle opportunità di accrescere il proprio grado, all'interno dell'harem dell'imperatore, e poter così concedere a se stesse, ma anche alla proprie famiglie, molti privilegi. Oppure concretizzare l'unico sogno possibile per  una concubina imperiale, riuscire a donare un figlio all'imperatore, emergere dall'anonimato delle migliaia di anime bianche, sparse come insetti sui tappeti variopinti o attaccate alle giganti colonne di legno ricoperte di tinte rosse, alberi una volta liberi proprio come le bianche fanciulle, trascinati a palazzo per migliaia di chilometri dalle correnti di interminabili fiumi e reti idriche. Tutto si dirigeva e correva verso la città proibita, nulla però tornava indietro. Alla morte dell'imperatore, il cosiddetto figlio del cielo, le concubine avevano la scelta di andare in convento oppure, più onorevolmente, suicidarsi per poter continuare a servire il proprio padrone per le esigenze dell'aldilà. Restare per sempre tra i tentacoli di quel mondo assurdo, proprio come i grandi alberi, le colonne della città proibita, che ancora oggi tengono sulla schiena antiche tegole, travi e mattoni, insieme alle nuove effigi di Mao Zedong e le scritte della propaganda.
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Ma per diventare concubina imperiale era necessario superare una selezione, poi si iniziava con il possedere il quinto rango, che rappresentava l'inizio della possibile carriera della concubina nella corte imperiale, che coincideva con il suo addestramento a varie arti, tra cui ovviamente anche quelle amatorie e sessuali. Poi si poteva crescere nella considerazione dell'imperatore, vedersi concedere il quarto rango e poi il terzo, ma per assicurarsi il secondo rango era necessario partorire un erede. Ci sono casi di concubine diventate imperatrici, che hanno avuto una profonda influenza sulla politica cinese, come la nota Tzu Hsi che come ultimo atto prima della morte dispose che la reggenza dell'impero non potesse più passare a una donna. Ma il bianco è dominante nella vita dei Palazzi dell'Ovest, tra i cortocircuiti e l'inconsapevolezza della cultura cinese dell'epoca. Purezza e prigione, bianco e nero
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Gli imperatori della dinastia Ming avevano la loro stanza da letto nella zona est della Città Proibita, la Sala della Purezza Celeste (Qianqinggong). Era proprio quello il luogo dove alcune  fortunate concubine erano portate, dove poteva iniziare una importante carriera. Stride anche in questo caso il ritorno del termine Purezza. Ufficialmente un imperatore poteva avere 3 mogli, 6 favorite e 72 concubine, ma alcuni di essi arrivarono a possedere fino a 3.000 concubine. Li Yuqin, il cui nome significa Liuto di Giada, nota come l’ultima concubina imperiale è stata la quarta moglie dell'imperatore Puyi : aveva 15 anni, quando, nel 1943,  fu scelta come concubina. Nel 1924, quando la corte imperiale venne cacciata da palazzo, fu scoperta l’esistenza di tre vecchie signore che erano state mogli secondarie di un imperatore e che vivevano da anni dimenticate, in completa reclusione. Le concubine imperiali in realtà, nella stragrande maggioranza dei casi, erano a servizio della regina madre, e vivevano una esistenza pressochè monacale.
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Tornando a questa particolare tappa del viaggio nel colore bianco, si affiancano inesorabilmente la purezza dell'adolescenza, nella verginità fisica e dei sogni. Le storie e le vite di tante ragazze rinchiuse nella città proibita rimarranno pagine bianche, sconosciute, persino per le loro famiglie. Un bianco che dimostra di poter essere un colore assai più oscuro del nero, più profondo delle tenebre. Probabilmente è il senso di vuoto del bianco a mostrare i denti più affilati, in alcuni momenti della nostra esistenza. Nessuna traccia, nessun amore, una maschera colorata che nasconde la realtà e disegna un sorriso, come per le concubine imperiali, che hanno guardato chissà quante volte, attraverso le finestre oscurate del palazzo, la vita galoppare freneticamente, riuscendo perfino a immaginare il fluire del sangue nei muscoli, l'odore del sudore, dalla loro povera stanza profumata  dalla pareti di oro bianco. La cassaforte eterna della inutile purezza.
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Ma a distanza di molti anni la musica di Puccini è riuscita a risvegliare la città proibita, ormai un museo ricco di turisti ma vuoto perfino del suo spaventoso nulla, portandovi una donna del tutto diversa dalle adolescenti impaurite di qualche secolo prima. Questa donna è Turandot, opera che è stata rappresentata nel 1998 all'interno della città proibita, sotto la direzione di Lorin Mazhel, con Giovanna Casolla and Sergej Larin. Turandot è una donna che domina gli eventi e le vite di principi, insieme alla sorte delle loro povere teste. Chissà cosa avrebbero pensato le concubine imperiali se avessero potuto osservare di nascosto, dalle scure finestre dei Palazzi dell'Ovest, le scene e le musiche di Turandot, una donna con ai suoi piedi uomini provenienti da tutto il mondo, pronti a rischiare la vita. Sono certo che qualche fantasma di quelle ragazze, imprigionato nel palazzo dentro bianche vesti di seta, sia riuscita a sentire, in fondo alla gola, il sapore della vendetta. Lo scenario e l'atmosfera, come potete vedere dal video che ho riportato sotto, lo lasciano sospettare.
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