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Fra legalita' ed impresa: frammenti di emergenza nazionale?
Creato il 28 dicembre 2012 da Alessandro @AleTrasforiniCosa poter dire o scrivere di fronte alle notizie sempre più evidenti secondo cui beni ed aziende confiscate alle mafie non sembrano fruttare e produrre guadagni in moltissimi luoghi d'Italia? Sono chiare, a questo proposito, le parole pronunciate da Don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera:
"[...]Così vincono loro, non vinciamo noi. [...] I numeri parlano molto chiaro: sono soltanto pochissime imprese quelle che resistono e tutte le altre prima o poi muoiono. Questa è una situazione che grida vendetta. [...]"
Frammenti di un'intervista che denunciano quelli che sono, purtroppo, dati senza quartiere e senza possibilità di molteplici interpretazioni: 12670 beni confiscati (11007 immobili, 1663 aziende). Quante fra le realtà aziendali hanno i conti e le economie a posto? Guardando alle realtà imprenditoriali, solo 35 di queste. sembrano funzionare: in altre parole, facendo affidamento ai dati diffusi dall'Agenzia del demanio e riportati su un odierno articolo de La Repubblica, solamente il 2% delle aziende confiscate godono di bilanci in attivo. Cosa poter pensare del rimanente 98% morente (o quasi)? Quali ragioni potrebbero nascondersi dietro a quello che rischia di trasformarsi in un fallimento totale? L'articolo de La Repubblicarisponde precisamente a domande simili:
"[...]Troppa burocrazia. Troppa indolenza. Troppo disinteresse. E troppo il tempo che passa dal sequestro di un bene alla confisca, dalla sua destinazione all'assegnazione definitiva. Cinque ani, sette, anche nove anni. Terreni che sono ormai abbandonati. Aziende finite inesorabilmente fuori mercato. Dipendenti a spasso. Con banche che revocano i fidi, assicurazioni che non assicurano più, foprnitori che chiedono il rientro immediato dei loro creditori.[...]"
Possono davvero questi tratti dipingere un impietoso fallimento per la vera lotta alla mafia? L'articolo risponde con un'affermazione che, in uno Stato degno di essere considerato tale, non può essere minimamente accettabile:
"[...]Tutto funziona perfettamente se è nelle mani dei boss, tutto va in rovina se non ci sono loro.[...]"
La distribuzione geografica delle realtà industriali confiscate sembra essere diffusamente maggioritaria per le Regioni meridionali: Sicilia (37% del totale), Campania (20%), Puglia (8% circa) e Calabria (8% circa). Potrebbe questa voce costituire un ulteriore volano di rilancio per cercare di riabilitare la questione meridionale? Quali provvedimenti sarebbe possibile mettere in campo per proteggere e far guadagnare nuovamente i beni che un tempo erano dei clan? Quali sono i colpevoli di questa silenziosa 'strage'? Può essere tutta colpa dello Stato? L'opinione di Don Ciotti sembra essere, a questo proposito, articolata ed obiettiva:
"[...]Dentro lo Stato ci sono stati anche uomini che si sono spesi e a volte anche strutture che hanno funzionato. Sono mancati gli strumenti giusti, è mancata in generale un'aggressione mirata alla questione dei beni confiscati. E poi ci sono state reti di complicità, [...] ritardi, [...] silenzi. [...]"
Quali le alternative da mettere in campo, anche se purtroppo in elevato ritardo?
"[...]Si sarebbe dovuto seguire il modello delle cooperative che sono nate sui terreni confiscati con bando pubblico e con il coinvolgimento dei giovani del territorio. In questi casi è sempre stato riconsegnato il maltolto, i beni sottratti alle mafie sono stati restituiti all'uso sociale e alla collettività grazie alle reti economiche che si sono messe in gioco. [...] Abbiamo bisogno di cose concrete, abbiamo bisogno di speranza.[...]"
Servono cose concrete e speranze, oltre qualunque provvedimento possibile: sarà questo un compito fondamentale a cui dovrà provvedere un prossimo Governo? Gli interventi necessari da mettere urgentemente 'in campo' vengono descritti da Franco La Torre, Presidente di "Flare" (Rete Europea di Associazioni contro il crimine organizzato) e figlio di Pio La Torre:
"[...]La prima: la presenza di amministratori giudiziari competenti che siano in grado di fare il loro mestiere fino in fondo e di programmare piani a medio e lungo termine per le aziende confiscate. La seconda: sostenere la legge d'iniziativa popolare [...] per la tutela di tutti i dipendenti delle aziende sotto confisca e per garantire loro gli stessi diritti di tutti gli altri lavoratori dei settori in crisi. La terza: utilizzare il contante sequestrato e reinvestirlo nelle attività dove si registrano le sofferenze.[...]"
Esistono alternative a queste proposte? Sarà possibile, forse, ribaltare e riabilitare molte delle situazioni sopra descritte? "Abbiamo disogno di cose concrete, abbiamo bisogno di speranza."
Per saperne di più: "Il crac delle aziende confiscate, così il tesoro delle mafie diventa un buco nero per lo Stato.", A.Bolzoni, La Repubblica "Ritardi, omissioni e pochi strumenti - questa situazione grida vendetta.", intervista a Don Luigi Ciotti, La Repubblica
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