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Frammenti Milanesi/3 - Questione di colonne

Creato il 19 maggio 2010 da Mapo
Frammenti Milanesi/3 - Questione di colonneIl colonnato si staglia a qualche metro dalla facciata della Basilica di S. Lorenzo. In mezzo, la piazza e una statua di un qualche eroe della Roma imperiale, di cui ignoro l'identità. L'altezza raggiunta dai capitelli non è ancora sufficiente a farmi ombra dagli ultimi raggi tiepidi del sole. Intorno è un viavai di pendolari che tornano a passo svelto verso casa nei loro completi eleganti da ufficio, giovani vestiti come fossero in vetrina che bevono Corona in bottiglia, turisti con la digitale a portata di mano e signore che si concedono un gelato da Grom. Casino, si. Ma fino ad un certo punto. Il rumore di Milano è incessante e continuo. Aspettare che smetta non serve a nulla, conviene anestetizzarlo con una buona playlist o fare finta che non esista. La seconda opzione è quella che più mi si confà, a costo di non sentire la solita macchina nervosa che ti strombazza dietro mentre pedali tranquillo verso il tramonto.Le colonne, dicevo. Da un paio di giorni, una volta superati tutti i trabocchetti che l'ATM mi prepara dall'uscita dell'ospedale in poi, vengo qui a godermi gli ultimi istanti di luce, leggendo qualcosa, svaccato come tanti sui gradoni della chiesa. Immagino sia un modo come un altro di sentirmi giovane nonostante il "lavoro". Di non prendersi troppo sul serio, forse.Tra le mani ho l'opera prima di un tale Francesco Gallone, giovane autore meneghino che ambienta un poliziesco a tratti surreale e un po' noir tra le strade della sua città. Non so ancora dire se è un bel libro o meno. Di certo le pagine scorrono veloci mentre sbadiglio sulla metro gialla, una mattina dopo l'altra o, come in questo momento, negli ultimi frammenti del pomeriggio.
Milano è un'arma puntata alla mia testa.
Milano è un'arma conficcata nel mio cuore. Ho visto ragazze e ragazzi scappare da questa città, illudendosi che felicità e risposte stessero altrove. Io posso impadronirmi di Milano per tenere sotto mira la mia vita. Posso impugnare Milano e infilamela in bocca, e perdermi per sempre tra la Stazione Centrale e il Giambellino, tra le catacombe del metrò e Quarto Oggiaro. Oppure posso disinnescare Milano e provare a viverla, rendendo innocua l'immensa stanza in cui mi sveglio e mi addormento per sognare un Futuro.
Milanoè come la spada di un samurai: puoi riporla nel fodero, innocua e inutile. Non ti darà più niente, non ti costerà niente, arrugginirà. Puoi tenerla sempre sguainata, procurarti mille nemici, trasformala in un pretesto di morte, una sciocca ossessione, comportarti come se fosse l'unico motivo di esistere, come se dovessi imporla come tu vuoi. O conservarla con cura, pulirla, affilarla, pronta al momento in cui un uomo e la sua città diverranno tutt'uno. Non per sopravvivere. Per vivere.
Mi interrogo qualche minuto su che significato dare a queste parole. Concludo, deluso, che non lo so e non voglio accontentarmi di un'interpretazione forzata, ma ho come l'impressione che per qualcuno possano significare più che qualche frase ben assemblata sul finire di un libro.
Il sole comincia a scomparire dietro le facciate dei palazzi di fronte e una brezza leggera mi ricorda che non è ancora estate. I funzionari del comune, con le loro pettorine gialle fosforescenti, mi confermano che mi sto trattenendo troppo. Appoggiano le transenne grigie ai lati del colonnato, per proteggerlo da un fantomatico popolo della notte, un miscuglio eterogeneo di volti e storie che ne ha fatto una seconda casa. Dai senzatetto che fanno l'elemosina per comprarsi un cartone di Tavernello e un panino di McDonald ai bocconiani che si bevono una birretta all'aria aperta. Tutti qui, a ricordarsi a vicenda che Milano non è solo uffici e smog.Le chiamano "le transenne della Moratti". Lo sento origliando qua e là. Impediscono alla gente di sedersi su questi antichi mattoni che furono romani. Per me sono il campanello che mi sveglia dai miei pensieri e mi fa inforcare la bici. Verso casa.
Milano, nel bene e nel male, è anche questo.

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