Magazine Cinema
Durata: 86'
La trama (con parole mie): la ventisettenne Frances, ballerina e stralunata esploratrice della vita, raccontata nelle sue peregrinazioni da un appartamento all'altro e da un'amicizia all'altra nell'arco di un paio d'anni della sua storia di formazione. Dalla quotidianità a New York ai genitori a Sacramento passando per una velocissima puntata a Parigi, osserviamo una ragazza come tutte le altre nella sua unicità di espressione, sogni e linguaggio.Una ricerca di se stessi e del proprio futuro che passa anche - e soprattutto - dall'identità che regala avere una propria casa, un nido, un rifugio, una base che sia il punto di partenza per il domani ed un luogo al quale tornare anche nelle peggiori serate medicate da una qualche sbronza di costosa vodka recuperata a spese di qualcuno che non ci piace poi così tanto.
Quella della propria identità - sia essa sociale o sentimentale - è una delle ricerche più impegnative e complicate nelle quali imbarcarsi nel corso della vita: c'è chi finisce per mollare, chi per non farci troppo caso - accontentandosi, di fatto, di quello che quotidianamente si rischia ci sia imposto -, chi per inseguire un Godot che non arriverà mai, chi per sedersi sulla riva del fiume aspettando il passaggio dell'ormai noto cadavere del proprio nemico.
Le sfumature sono infinite, in tutte le tonalità del grigio, e per quanto bianco e nero ne siano l'origine, non esiste nulla o nessuno che possa incarnare alla perfezione l'uno o l'altro: in questo senso è scritto con grande profondità e girato con leggerezza quasi primaverile Frances Ha, ultima fatica di Noah Baumbach, uno dei registi e sceneggiatori più radical chic della scena indie a stelle e strisce che, tuttavia, nonostante un piglio decisamente più vicino ai gusti del Cannibale che ai miei non sono mai riuscito a non apprezzare fin dai tempi della sua collaborazione con Wes Anderson, passando attraverso chicche come Il calamaro e la balena e Il matrimonio di mia sorella, giunti quasi sotto silenzio qui in Italia eppure entrambi gioiellini da vedere e rivedere.
Da un indirizzo all'altro assistiamo dunque al percorso di Frances, uno tra i personaggi più scombinati e disequilibrati della Storia recente del grande schermo, assillante quanto irresistibile, splendida eppure "undatable", come non esita a definirsi lei stessa, sull'onda del gioco iniziato dall'amico e coinquilino - almeno per un pò - Ben: e in bilico su questa corda molto sottile si rimane sbigottiti e divertiti, incerti tra l'idea di abbracciarla stretta o scappare a gambe levate, da lei e dai suoi più o meno importanti amici spesso e volentieri dediti ad un approccio artistoide e pseudo-intellettuale d'alto bordo - e dal portafoglio pieno -.
Frances, però, non è della stessa pasta, e passo dopo passo è costretta a costruire con le proprie forze anche su errori commessi per leggerezza - la carta di credito usata per il viaggio a Parigi - o, come la direbbe Warren Zevon, "bad karma" - le telefonate giunte fuori tempo massimo prima della sua partenza ed appena dopo il rientro negli USA dalla Francia -.
Onestamente, però, al contrario del mio antagonista, non mi sogno neppure per sbaglio di dichiarare il mio amore alla protagonista di questo film, che ha dovuto guadagnarsi almeno quanto la pellicola il mio favore dal primo all'ultimo minuto: preferirei averla come amica, farci un giro, sbronzarsi in compagnia, ridere e scherzare e, all'occorrenza o di fronte ad un'eccessiva pesantezza, mandarla dove si conviene senza temere ripercussioni che producano tra i vari effetti un'astinenza imposta.
Un plauso dunque a questo sorprendente charachter delineato con un piglio quasi da poesia da Baumbach e portata sullo schermo in modo esemplare dalla bravissima Greta Gerwig, che ha il merito di non aver mai mollato, appartamento dopo appartamento, finendo per trascinare gli occupanti di casa Ford nel suo strambo mondo fatto di coreografie e bottiglie di vodka, sorrisi stralunati e traumi superati cercando di ritrovare se stessa senza avere paura di rimanere sola, di essere "undatable": in fondo, la ricerca della propria identità passa attraverso la solitudine così come la vicinanza delle persone che amiamo o crediamo di amare, quelle che pensiamo ci saranno accanto per sempre e quelle che, fin dalla prima occhiata, sappiamo bene riprenderanno il viaggio che porterà inevitabilmente lontano da dove siamo noi.
Ed un bel giorno, non senza cicatrici celate oppure ben in vista, impacchetteremo la nostra roba, e voltando lo sguardo scopriremo di essere nella nostra casa, il rifugio, il nido, il punto di partenza per un altro viaggio: e ci saremo guadagnati ogni centimetro di quello spazio, ordinato o caotico che sia, e quel nome troppo grande per un semplice citofono.
Ma sarà facile, a quel punto, stringersi un pò per farcelo stare.
MrFord
"Ci sono io
testa in giù
appeso al filo del telefono
ma suonano, chi sarà?
Sul citofono c'è un omonimo
che non mi assomiglierà
Sul citofono c'è un omonimo
ma non mi assomiglierà
Non portarmi via il nome
il nome no
che qualcuno lo vuole
non te lo do..."Samuele Bersani - "Non portarmi via il nome" -
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