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Freaks – Tod Browning, 1932

Creato il 14 novembre 2012 da Paolo_ottomano @cinemastino

Freaks – Tod Browning, 1932

Dimentichiamo per un attimo – o per molto più tempo, se preferite – che Freaks! è anche il titolo di una serie web italiana, molto seguita e dibattuta tanto da meritarsi una lezione integralmente dedicata all’università IULM di Milano. Freaks, e non c’è solo un punto esclamativo di differenza, è un piccolo capolavoro di Tod Browning uscito nel 1932, uno di quei cult movie che finché non l’hai ancora visto ti vergogni e speri che la tua conversazione con un altro cinefilo non verta mai su quell’argomento; quando però l’hai visto, da una parte speri che l’altro cinefilo l’abbia visto anche lui per discuterne, mentre da un’altra speri che non lo conosca ancora per poterti fare bello e colto ai suoi occhi. Meglio se si tratta di una ragazza molto carina.

Freaks parla di un gruppo di persone che lavorano in un circo e che hanno ben poco da condividere con un individuo ordinario. Sono puri, ingenui, buoni, storpi, ma non se ne curano e tentano anzi di trarre vantaggio e strappare qualche risata dalla propria condizione. È proprio come cantava Fabrizio De Andrè, che se sei un nano devi avere per forza il cuore troppo vicino al buco del culo, e quei pochi ad essere esteticamente conformi ai bisogni di un certo tipo di normalità sono in realtà quelli più marci. Quando Hans, un nano fidanzato con Frida (anch’ella nana) s’innamora e poi sposa Cleopatra, la vera natura di questa donna viene fuori: mira ai suoi soldi e a scappare con Hercules, in forzuto del circo. I freaks, allora, fanno squadra per impedirlo. Anche loro, però, sono umani, e non sono immuni dalla crudeltà che può nascere quando c’è un motivo a fomentarla.

Freaks subì una censura feroce sia negli Stati Uniti che in Europa, sembra che anche la Germania nazista e l’Italia fascista ne abbiano vietato la circolazione. Comprensibile. La cosa che però più sorprende del film, nonostante l’attuale versione di poco più di un’ora sarebbe stata mutilata di altri 30 minuti, è la sua longevità, la sua modernità. Il bianco e nero, un ritmo che non è scandito come quello di un film americano classico impreziosiscono la narrazione, lungo flashback in cui un’anonimo cantastorie ci introduce all’inizio del film. Per la fine, ci riserva una sorpresa inattesa ma inevitabile.



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