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Gesta e Opinioni del Dottor Faustroll patafisico III

Creato il 17 settembre 2012 da Marvigar4

Jarry Vignolo

Libro Secondo: Elementi di Patafisica

A Thadée Natanson [4]

VIII
DEFINIZIONE

   Un epifenomeno è ciò che si sovrappone a un fenomeno. La patafisica la cui etimologia deve scriversi ἔπι (μετὰ τὰ φυσικά) e l’ortografia reale ’patafisica, preceduta da un apostrofo, al fine d’evitare un facile calembour, è la scienza di ciò che si sovrappone alla metafisica, sia in sé, sia altro da sé, estendendosi così lontano al di là di questa quanto questa al di là della fisica. Es.: essendo l’epifenomeno sovente l’accidente, la patafisica sarà soprattutto la scienza del particolare, quantunque si dica che non v’è scienza se non del generale. Essa studierà le leggi che reggono le eccezioni e esplicherà l’universo supplementare a questo; o meno ambiziosamente descriverà un universo che si può vedere e che forse si deve vedere al posto del tradizionale, le leggi che si è ritenuto di scoprire dell’universo tradizionale essendo anche delle correlazioni di eccezioni, sebbene più frequenti, in ogni caso fatti accidentali che, riducendosi a delle eccezioni poco eccezionali, non hanno neppure l’attrattiva della singolarità.

   DEFINIZIONE: La patafisica è la scienza delle soluzioni immaginarie, che accorda simbolicamente ai lineamenti le proprietà degli oggetti descritti per la loro virtualità.
   La scienza attuale si fonda sul principio dell’induzione: la maggioranza degli uomini ha visto per lo più tale fenomeno precedere o seguire tal altro, e ne deduce che sarà sempre così. Anzitutto questo non è esatto che per lo più, dipende da un punto di vista, e è codificato secondo la comodità, e ancora! Anziché enunciare la legge della caduta dei corpi verso un centro, perché non si preferisce quella dell’ascensione del vuoto verso una periferia, essendo il vuoto preso per unità di non densità, ipoteso assai meno arbitraria che la scelta dell’unità concreta di densità positiva acqua?
   Poiché anche questo corpo è un postulato e un punto di vista dei sensi della folla, e perché se non la sua natura almeno le sue qualità non varino troppo, è necessario postulare che la statura degli uomini resterà sempre sensibilmente costante e scambievolmente eguale. Il consenso universale è già un pregiudizio molto miracoloso e incomprensibile. Perché ognuno afferma che la forma di un orologio è rotonda, cosa che è manifestamente falsa, dato che si vede di profilo una figura rettangolare stretta, ellittica per tre quarti, e perché diavolo s’è notata la sua forma solo al momento in cui si guarda l’ora? Forse sotto il pretesto dell’utile. Ma lo stesso bambino, che disegna l’orologio rotondo, disegna anche la casa quadrata, secondo la facciata, e questo evidentemente senza alcuna ragione; perché è raro, se non in campagna, che si veda un edificio isolato, e anche in una strada le facciate appaiono alla stregua di trapezi assai obliqui.
   Dunque bisogna ammettere molto necessariamente che la folla (contando i bambini piccoli e le donne) è troppo rozza per comprendere le figure ellittiche, e che i suoi membri s’accordano nel consenso detto universale poiché non percepiscono che le curve con un solo fuoco, essendo più facile coincidere in un solo punto che in due. Essi comunicano e si equilibrano tramite il bordo del loro ventre tangenzialmente. Ora perfino la folla ha appreso che l’universo vero è fatto di ellissi, e i borghesi stessi conservano il loro vino in botti e non in cilindri.
   Per non rinunciare affatto digredendo al nostro esempio usuale dell’acqua, meditiamo a tal proposito ciò che con questa frase l’anima della folla dice con irriverenza degli adepti della scienza patafisica:

IX
FAUSTROLL PIÙ PICCOLO CHE FAUSTROLL

A William Crookes [5]

   Il dottor Faustroll (se ci è permesso di parlare di esperienza personale) un giorno si  volle più piccolo di se stesso, e risolse d’andare a esplorare uno degli elementi, al fine d’esaminare quali perturbazioni questa differenza di grandezza avrebbe apportato ai loro reciproci rapporti.
   Egli scelse quel corpo ordinariamente liquido, incolore, incomprimibile e orizzontale in piccola quantità; di superficie curva, di profondità azzurra e dai bordi animati da un movimento di va e vieni quando esso è esteso; che Aristotele definisce, come la terra, di natura grave; nemico del fuoco e rinascente da lui, quando è decomposto, con esplosione; che si vaporizza a cento gradi, che determina, e solidificato galleggia su se stesso, l’acqua, e che! E essendosi ridotto come paradigma di piccolezza, alla taglia classica dell’acaro, viaggiò lungo la foglia d’un cavolo, svagato nei riguardi dei colleghi acari e degli aspetti ingranditi di tutto, fino a che incontrò l’Acqua.
   E fu una bolla due volte quanto lui, attraverso la cui trasparenza le pareti dell’universo gli parvero divenute gigantesche e la sua propria immagine, oscuramente riflessa dalla foglia di stagno delle foglie, aumentata della statura ch’egli aveva lasciato. Urtò la sfera con un colpo leggero, come si bussa a una porta: l’occhio fuori dall’orbita di vetro malleabile “s’accomodò” come un occhio vivente, divenne presbite, si allungò secondo il suo diametro orizzontale fino all’ovoide miopia, respinse con questa elastica inerzia Faustroll e ridivenne sfera.
   Il dottore rotolò a piccoli passi, non senza fatica, il globo di cristallo fino a un globo vicino, scivolando sulle rotaie delle nervature del cavolo: accostate, le due sfere si aspirarono reciprocamente fino a affilarsi, e il nuovo globo, di volume doppio, si librò placidamente davanti a Faustroll.
   Con la punta del suo stivaletto, il dottore aumentò l’aspetto inatteso dell’elemento: una esplosione, formidabile per scoppi e suono, rimbombò, dopo la proiezione nel giro di nuove e minuscole sfere, dalla durezza secca di diamante, che rotolarono qua e là lungo la verde arena, ognuna trascinando sotto di sé l’immagine del punto tangente dell’universo che essa deformava secondo la proiezione della sfera e di cui essa ingrandiva il favoloso centro.
   Al di sotto di tutto, la clorofilla, come un banco di pesci verdi, seguiva le sue note correnti nei canali sotterranei del cavolo.

X
DELLA GRANDE SCIMMIA CINOCEFALA BOSSE-DE-NAGE LA CUI UNICA PAROLA UMANA CHE SAPEVA ERA: “HA HA”

A Christian Beck [6]

   Tu, vedi, disse gravemente Giromom; tu, io prenderò il tuo abito come velaccio: le tue gambe come alberi; le tue braccia come pennoni; il tuo corpo come carcassa, e io ti f… in acqua con sei pollici di lama nella trippa a guisa di zavorra E siccome quando tu sarai naviglio è il tuo testone che servirà da polena allora io ti battezzerò: il Mascalzone B

Eugène Sue, La Salamandre

(le pichon joueic deis diables).

   Bosse-de-Nage [7] era una scimmia cino-cefala, meno cino che idrocefala, e meno intelligente, per questa tara dei suoi simili. La callosità rossa e blu che questi inalberano sulle natiche. Faustroll aveva saputo, grazie a una curiosa medicazione, dislocargliela sulle guance, azzurrina sull’una, scarlatta sull’altra, in modo da rendere tricolore la sua faccia appiattita.
   Non pago di ciò, il buon dottore volle insegnargli a parlare; e, nonostante Bosse-de-Nage (così chiamato a causa della parte doppia delle guance descritte sopra) non sapesse completamente la lingua francese, pronunciava alquanto correttamente qualche parola belga, chiamando la cintura di salvataggio appesa a poppavia dell’asse di Faustroll “vescica natatoria con iscrizione sopra”, ma più spesso lui preferiva un monosillabo tautologico:
   “Ha Ha” diceva in francese; e non aggiungeva niente di più.
   Questo personaggio sarà molto utile nel corso di questo libro, a mo’ di sosta tra gli intervalli dei discorsi troppo lunghi: come en use Victor Hugo (Les Burgraves, parte I, sc. II) :
   È tutto?

- No, ascoltate ancora:

   E Platone, in più passi :

— Ἀληθῆ λέγεις, ἔφη.
— Ἀληθῆ.
— Ἀληθέστατα.
— Δῆλα γάρ, ἔφη, καὶ τυφλῷ.
— Δῆλα δή.
— Δῆλον δή.
— Δίκαιον γοῦν.
— Εἰκός.
— Ἕμοιγε.
— Ἔοικε γάρ.
— Ἔστιν, ἔφη.
— Καὶ γὰρ ἐγω.
— Καὶ μάλʹ, ἔφη.
— Κάλλιστα λέγεις.
— Καλῶς.
— Κομιδῇ μὲν οὖν.
— Μέμνημαι.
— Ναί.
— Ξυμβαίνει γὰρ οὕτως.
— Οἶμαι μέν, καὶ πολύ.
— Ὁμολογῶ.
— Ὀρθότατα.
— Ὀρθῶς γʹ, ἔφη.
— Ὀρθῶς ἔφη.
— Ὀρθῶς μοι δοκεῖς λέγειν.
— Οὐκοῦν χρή.
— Παντάπασι.
— Παντάπασι μὲν οὖν.
— Πάντων μάλιστα.
— Πάνυ μὲν οὖν.
— Πεισόμεθα μὲν οὖν.
— Πολλὴ ἀνάγκη.
— Πολύ γε.
— Πολὺ μὲν οὖν μάλιστα.
— Πρέπει γάρ.
— Πῶς γὰρ ἄν.
— Πῶς γὰρ οὔ.
— Πῶς δʹ οὔ.
— Τὶ δαί.
— Τὶ μὴν.
— Τοῦτο μὲν ἀληθὲς λέγεις.
— Ὣς δοκεῖ.

Fa seguito la relazione di René-Isidore Panmuphle.

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[4] Thadée Natanson (1868-1951) era il direttore de La Revue Blanche quando Jarry vi collaborò dal 1896 al 1903.

[5] William Crookes (1832-1919), chimico e fisico inglese

[6] Christian Beck (1879-1919), poeta belga che servì a Jarry come modello per il personaggio della scimmia Bosse-de-Nage.

[7] Bosse-de-Nage, termine usato in marina, letteralmente «bozza di voga», dovrebbe rappresentare la legatura provvisoria che trattiene il remo, ma in questo caso Jarry gioca sul significato della parola Nage, che in francese antico indicava le natiche.



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