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Gilberto Severini – Backstage

Creato il 09 settembre 2013 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

Gilberto Severini – BackstageRecensione di Emanuela D’Alessio

Philip Roth a settantanove anni ha dichiarato di non volere più scrivere, «chi ha bisogno di leggere un altro libro mediocre?». Alice Munro lo ha annunciato a ottantuno anni, «perché alla  mia età non vuoi più essere sola come uno scrittore deve essere».
Di celebri addii alla scrittura ne possiamo ricordare altri: J.D. Salinger smise di pubblicare nel 1965, a “soli” sessantaquattro anni, il premio Nobel magiaro Imre Kertész lo ha fatto a ottantadue anni.
Gilberto Severini, l’autore marchigiano candidato allo Strega 2011 con il suo A cosa servono gli amori infelici (qui la nostra recensione), si pone il problema a settantuno anni, scrivendo una lettera al suo editore Andrea Bergamini (Playground) per spiegare perché non sia riuscito a produrre il suo nuovo romanzo. Una lettera che diventa essa stessa un libro, Backstage, «frammenti di memoria rielaborati o inventati. A volte riflessioni suggerite da idee di autori citate con molta gratitudine», certamente non un addio alla scrittura.
La prima riflessione riguarda proprio l’età massima per scrivere romanzi: settantatré anni secondo Pietro Citati, smentito però da Carlo Fruttero che nel 2006 (di anni ne aveva ottanta) pubblicò il romanzo giallo Donne informate sui fatti e quattro anni dopo l’ironica autobiografia Mutandine di chiffon. Severini non sembra aver trovato una risposta, sarà per questo che si affida ancora una volta alla formula epistolare «perché si scrivono lettere aspettando risposte», ripercorrendo tutte le domande che hanno attraversato la sua esistenza.
Backstage è un’autobiografia ma diventa nuovo e raffinato pretesto per continuare, sempre con eleganza essenziale, quella ricerca di senso e di una spiegazione definitiva al mistero del vivere, per arrendersi comunque all’evidenza che «si deve vivere per tutto il tempo che si è vivi qualunque cosa succeda».
Un percorso costellato da incursioni nel passato e riflessioni sul presente, popolato da personaggi noti e sconosciuti, occasione per ricordare e capire, per porsi domande, prima fra tutte il perché dello scrivere. Si scrive perché si ha qualcosa da dire, affermava Francis Scott Fitzgerald e anche Severini ha qualcosa da dire sebbene con Backstage voglia dimostrare il contrario. Solo appunti, lo definisce, niente di più, il dietro le quinte di uno spettacolo che non va in scena. Un fallimento, dopo aver deciso a tavolino con l’editore un testo sulla condizione di orfani. Ma il tema Severini lo svolge ugualmente, al di fuori degli schemi e dei condizionamenti nei quali si tende a confinare il concetto di letteratura. La condizione di orfano diventa, nelle parole dell’autore marchigiano, uno status esistenziale, si è orfani quando i genitori sono morti, ma si è orfani anche con i genitori in vita, «quando si vive senza genitori consistenti in famiglia e senza equivalenti genitoriali nelle comunità sociali». Si è orfani perché non si incontra o si perde la fede, perché si assiste al fallimento delle ideologie, perché si perdono gli amici più cari, quelli che aiutano a ricordare la fortuna di essere vivi. La mancanza è una forma di conoscenza diversa dal possesso, rivela in un istante l’importanza di tutto quello di cui si è stati privati. Severini è un orfano totale, possiamo dire, perché non ha mai conosciuto il padre, «morto in una guerra sbagliata», perché è cresciuto come figlio unico di madre vedova, perché il suo intimo amico e poeta anconetano Franco Scataglini si è suicidato a quarantatré anni, lasciandogli un vuoto incolmabile e la sua poesia come rivelazione, quella, forse la più importante, sul senso dello scrivere.
Se il vero scrittore è colui che scrive senza progetti, che non rispetta schemi e indicazioni convenzionali, allora Severini è un vero scrittore che non fa mistero dei suoi turbamenti e delle sue sconfitte, dei suoi dolori e delle sue mancanze, che affronta con disincanto e ironia il fallimento di tutti gli uomini, accettandone senza infingimenti l’inevitabilità e provando, come fanno gli artisti, a consolarsi cercando di creare qualcosa di bello. Perché se si riuscirà a liberare i sentimenti dalle convenzioni con cui si esprimono o si celano, a raccontarli solo con la nuda verità, diventeranno i sentimenti di tutti e l’emozione di chi legge.
Backstage non è un fallimento, è un altro prezioso frammento di letteratura che ci aiuta a proseguire nella dolorosa ricerca di significato. Una possibile via di scampo è quella indicata da Ennio Flaiano, in un’intervista rilasciata due settimane prima di morire di infarto.
«L’amore che comincia da sé e va verso gli altri, che comprende i giorni, comprende il tempo che abbiamo vissuto, comprende gli amici che ci hanno abbandonato, che sono morti, comprende le persone che abbiamo conosciuto, comprende anche le persone che non conosciamo». 

Qui la nostra doppia recensione di Congedo ordinario

Nota sull’autore
Gilberto Severini, marchigiano di Osimo, settantenne, schivo e appartato, non è uno scrittore di trame e intrecci, perché «nei libri conta quello che accade dentro le persone più che quello che succede fuori». Oltre alle classiche letture, è rimasto folgorato dal primo Arbasino, quello di Fratelli d’Italia. Ama ricordare l’intensa amicizia con Pier Vittorio Tondelli, «un uomo d’incredibile generosità, come è estremamente raro trovare». E di lui Tondelli diceva: «La novità della sua scrittura è proprio l’estrema capacità di tenuta e soffocazione delle punte estreme d’emotività. È come se l’autore, abilmente, volesse giungere al massimo solo per contrazione, creare tensione per non usarla, creare emozione per svaporarla, preferendo a tutto ciò un gioco di sentimenti malinconici e sfumature: come se, per lui, la più grande deflagrazione dell’intensità intima fosse l’espressione di un silenzio assoluto appena spezzato da un lontano e improbabile singhiozzo».
Severini può vantare una nutrita produzione letteraria, tra racconti, romanzi e poesie. Ha esordito nel 1988 con i tre romanzi brevi della trilogia Partners per Transeuropa. Nel 1996 il romanzo Congedo ordinario (peQuod) diventa un caso letterario e nel 2012 è tornato in libreria con Playground. Sempre con peQuod, tra il 2002 e il 2005, sono usciti Ospite in soffitta e Ragazzo prodigio. Nel 2009 esce Il praticante e nel 2010 A cosa servono gli amori infelici (finalista allo Strega 2011), entrambi pubblicati da Playground.

Backstage di Gilberto Severini
Playground, 2013
pp. 138, € 13,00

Recensione su D - la Repubblica
Recensione di Nadia Terranova


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