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Giornata della memoria: Anna Frank

Creato il 27 gennaio 2012 da Sulromanzo

Anna FrankAnna Maria Ortese: il diario di Anna Frank rimane un libro aperto

Correva l’anno 1954, e in marzo la casa editrice Einaudi pubblica nella collana Saggi (il valore documentale quindi è immediatamente riconosciuto superiore a quello narrativo) la traduzione italiana di un libro che resterà fondamentale per generazioni e generazioni, soprattutto di studenti: Il diario di Anna Frank.

Lo presenta, però, solamente, nel suo Notiziario mensile di settembre come “La lettura del mese”, avvalendosi di una recensione di tutto riguardo: quella di Anna Maria Ortese, dal titolo Un libro che rimane aperto (ora leggibile in A.M. Ortese, Da Moby Dick all’Orsa Bianca, Adelphi,Milano 2011).

Allora giornalista per necessità, nomade in varie terre italiane e straniere, lontana dalla sua cara città d’adozione, Napoli, ma sempre più addentro ai misteri della sua dolente visionarietà che le fanno scorgere in alcune creature “angelisui generis, la Ortese si accosta alla figura della tredicenne Anna con lo stupore riservato a quegli esseri speciali.

Anna possiamo figurarcela guardando le sue fotografie e soprattutto pensando alle ragazzine di tutti i tempi e i Paesi, su quell’età: non più bambine né ancora donne, esseri di mezzo, franchi, spiritosi, dispettosi, gentili, sensibili, pieni di energia e di disperazione, di curiosità e di smanie, avidi di apprendere, di essere, di capire, perennemente disgustati e divertiti, disorientati e incantati, attratti e respinti da mille cose: il cielo, la gente, i libri, papà e mamma, quei piccoli uomini che sono i compagni, quei grandi ragazzi che sono gli adulti. Insieme alla natura, alla gente, alle cose, stupore per la propria persona: il corpo che cresce come un albero, gli occhi, le mani, i pensieri.

Ma la ragazza ebrea non è soltanto questo per la Ortese: “È l’adolescenza, e anche il genio dell’adolescenza. Dietro la piccola faccia arguta, tenera, amabile, misteriosa come l’innocenza stessa, brilla, alimentata da un vento più forte della sciagura che imperversa sul mondo, la luce della coscienza, e questa coscienza si fa continuamente e perfettamente espressione, si traduce in un diario esemplare... La sua dignità e la sua bellezza sono in questo: che non vi è nulla che essa non voglia e non possa esprimere. Neppure la nausea.

Nausea di trovarsi in promiscuità, e di essere costretta “come un passero nello stretto spazio di una gabbia sempre meno pulita, priva di spazio e di luce.

Nelle pagine del diario di Anna c’è un mondo che dura due anni, nondimeno è eterno: un mondo minore, deforme, che a ognuno di noi parrebbe insopportabile, ma che invece ha “una misura, un sorriso, un nome.

Sorprende a una prima lettura – osserva Anna Maria Ortese – come in quelle pagine i nazisti sembrino quasi non esistere: non hanno nome né volto né sguardo, sono il male anonimo, “la condizione dell’oscurità mentale: un assurdo.

Il diario è, a loro riguardo, privo di un vero odio: “Non si possono odiare gli anormali, si possono aborrire. E Anna non odia.

Ma il meraviglioso di questo libro, che non si svela subito – continua Ortese – è che “attraverso un andare e venire di sentimenti, di affanni, di angosce, di improvvise allegrie; un ribollire di desideri, d’immaginazioni, di slanci, di rivelazioni, di smarrimenti e di felicità giovanili si delinea sempre più chiara un’esigenza di verità, di resistenza al male, dovunque esso sia, fuori e dentro l’alloggiosegreto, fra i tedeschi o nel giovane cuore di Anna.

Ciò consente di dire che la ragazza olandese, attraverso questa esperienza, supera l’età adolescenziale e diventa donna ma, prima ancora, creatura umana, matura e responsabile, in lotta senza tregua contro il male in tutte le sue forme, che minaccia l’equilibrio del mondo.

Pertanto, afferma Ortese, anche se morì a Bergen Belsen nel marzo del 1945, due mesi prima della liberazione del campo, Anna è “viva definitivamente”: essa è

tutte le ragazze e le donne, in quanto hanno di meglio: il desiderio di capire, amare, proteggere la cara realtà del mondo, vestendo di grazia la forza, di dolcezza il coraggio, di pietà l’indignazione; partecipando attivamente, senza farlo pesare, alla lotta per la liberazione dell’uomo dai suoi mali più cupi. Lotta che non può cominciare se non partendo da se stessi.

Vi sono libri – conclude la scrittrice – che si chiudono, ed altri che rimangono aperti; libri dai quali, come da una finestra, non si scorge che un muro…; e libri che guardano l’orizzonte.

Il Diario di Anna Frank appartiene a questi ultimi: è un libro privato di una ragazzina, ma contiene pagine dal valore universale.

In tempi di ansia come questi, e in qualche modo anche di vergogna, il diario della ragazza olandese, reclusa nel retrobottega, non è soltanto un documento ma si fa lezione di vita: ha in sé la forza della purezza e della consolazione, “non ci lascia un senso di pena, ma di speranza”. Per questo il nostro auspicio è che, oggi come nel futuro, tutti i ragazzi del mondo possano averlo tra le mani e farne tesoro prezioso.

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