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Giornata Internazionale Diritti Infanzia e Adolescenza - "Il bambino cattivo" di Pupi Avati in prima assoluta stasera su Rai 1

Creato il 20 novembre 2013 da Nicoladki @NicolaRaiano
In occasione della Giornata internazionale per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, che ricorre il 20 novembre, la Rai presenta un tv movie che dà voce a ciò che può vivere un bambino quando viene abbandonato dalla sua famiglia; quando, con quel peso psicologico, si trova ad attraversare il percorso protettivo predisposto dalle Istituzioni; quando incontra, dopo paura e diffidenza, genitori adottivi che possono amarlo come nessuno aveva fatto prima.
“Il bambino cattivo”, un film per la regia di Pupi Avati, una produzione Rai Fiction, prodotta da Duea Film, in onda su Rai 1 mercoledì 20 novembre, in prima serata. Scritto da Pupi Avati, Tommaso Avati, Claudio Piersanti, con la consulenza scientifica di Luigi Cancrini e Francesca Romana De Gregorio. Le musiche, composte e dirette da Stefano Arnaldi e Lucio Gregoretti, sono eseguite dall’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai.
Il film di Avati racconta la storia di Brando (Leonardo Della Bianca), un bambino di 11 anni e di una famiglia che sta per disgregarsi. I genitori, entrambi professori universitari, sono in conflitto da anni e lui sta nel mezzo: strumentalizzato come testimone di ciò che accade, tirato ora da una parte ora dall’altra; coinvolto nei litigi e nelle recriminazioni senza che abbia la forza per difendersi. Fino a essere definito “cattivo” da chi l’ha messo al mondo. “Cattivo” perché non parteggia, perché non sta al loro gioco.
La madre, Flora (Donatella Finocchiaro), soffre di ricorrenti e gravi crisi depressive. Il padre, Michele (Luigi Lo Cascio), è affettivamente un uomo immaturo e assente. La situazione precipita quando Michele stringe una relazione con Lilletta (Eleonora Sergio), ragazza di cui era innamorato ai tempi della scuola. A Brando viene chiesto di capire, di essere complice, anche se non ha gli strumenti per accettare e gestire quel tradimento. Flora, scoperto tutto, tenta il suicidio, dal quale non si riprenderà più.
Per Brando comincia così il periodo più difficile. All’inizio sta con la nonna paterna (Erica Blanc), molto affezionata al bambino ma non in grado di occuparsene. Poi il contatto con i nonni materni, che quasi non conoscono il nipote né hanno intenzione di farlo, anzi, lo usano soltanto come fonte per acquisire notizie contro Michele e la sua amante.
Si arriva alla separazione dei genitori e per Brando si preannuncia un nuovo trauma: la dichiarazione d’abbandono e il conseguente trasferimento in una Casa Famiglia. Il Giudice dei minori constata, infatti, che la madre non può prendersi cura del bambino perché ricoverata in clinica, con danni irreversibili, e che il padre ha rinunciato alla paternità perché succube di Lilletta. Lei, d'altro canto, non vuole avere nulla a che fare con Brando.
Michele prende questa decisione anche per evitare che suo figlio venga affidato ai nonni materni, che vivono in un'altra città e che quindi porterebbero il bambino lontano da lui, ma per ottenere la loro rinuncia è costretto a presentare rinuncia a sua volta.
Per Brando l’arrivo nella Casa Famiglia è scioccante perché privato di ogni punto di riferimento affettivo. L’unica difesa che trova è rifugiarsi negli amati eroi del calcio e del wrestling, sue passioni. Ma non è sufficiente a reggere il cambiamento drastico della sua vita. Fugge di notte per andare in clinica dalla madre e una volta arrivato è lei a mandarlo via: lo considera complice del padre. Brando è un “bambino cattivo”. Il ragazzino capisce che sua madre non guarirà più e suo padre, preso dalla relazione con Lilletta e da un nuovo figlio in arrivo, si è praticamente dimenticato di lui.
Ora è veramente solo. Ha perso la sua famiglia d'origine. Nel corso degli anni ne troverà un’altra e proverà ad essere di nuovo un bambino felice.
NOTE DI REGIA (di Pupi Avati)Fra le tante storie che originano i miei film questa è di certo la più realistica, la meno inventata. Una vicenda della quale sapevo già così tanto da esimermi dall’arricchirla con fantasiose digressioni, svolazzi.Ogni mio apporto avrebbe pregiudicato la verosimiglianza degli eventi.Ho detto più volte quanto a una persona anziana (e io posso considerarmi tale) sia facile sintonizzarsi con il remoto mondo psicologico dell’infanzia. Ciò che sintonizza due mondi anagraficamente così lontani, ciò che fa sì che questi due mondi sappiano comunicare a un livello profondo è la vulnerabilità, una condizione fisica e mentale che è prerogativa dei vecchi e dei bambini.Mi sono trovato quindi a buttare giù, quasi di getto, il flusso di coscienza dell’undicenne Ildebrando Ducci, soprannominato Brando, dal momento in cui il matrimonio dei suoi genitori precipita verso un baratro senza fine. Mi sono identificato in questo bambino che assiste alla disgregazione del suo intero contesto familiare, immedesimandomi in lui in modo profondissimo, arrivando a condividere il suo pianto nei momenti in cui mi trovavo a descrivere il suo strazio.Luigi Cancrini che di infanzie infelici sa più o meno tutto, ha letto questo mio primo “sfogo”, approvandolo da subito e intervenendo soprattutto con indicazioni di carattere scientifico procedurale. La sua approvazione ci è stata di grande stimolo.Ritengo “Il bambino cattivo” un film necessario che fissa in modo impietoso il bersaglio che ha davanti. Un film che non ha incertezze nel denunciare, come sempre più di frequente, che la vittima più esposta nella disgregazione delle unioni matrimoniali sia proprio lui, quel figlio che non certo per sua responsabilità è condannato ad assistere da spettatore totalmente “passivizzato” allo sballottamento affettivo/istituzionale, al quale sarà sottoposto nell’autoassolversi dall’intero contesto che nel “relativismo morale” in cui viviamo si pone la sua felicità, la sua salute mentale, come ultimo dei problemi.
NOTE DI PRODUZIONE (di Francesco Nardella, Capo Struttura Rai Fiction)I bambini abitano spesso le stanze dei racconti televisivi, cinematografici, pubblicitari. Non è certo una novità metterli in scena. Nel vapore di cinismo che avvolge a volte le riunioni di sceneggiatura, si materializzano spesso come strumenti di commedia, di commozione, di melodramma. Inteneriscono, fanno ridere, ci commuovono. I bambini diventano quindi, a volte, una facile uscita da un'impasse creativa. Ma, per esercitare questa utilità narrativa deve risultare chiaro il loro posto: essere oggetti di storie. Oggetti rassicuranti. Anche quando raccontano una sofferenza, perché ci rassicurano sul nostro status di adulti sensibili e positivi.Ne “Il bambino cattivo” la creatività e la sensibilità di un autore come Pupi Avati hanno permesso di spostare il punto di vista, di far diventare il bambino soggetto della narrazione. Un movimento semplice, una rotazione dello sguardo del racconto ed ecco che il bambino riesce a parlarci davvero. Ci racconta di come lui vede la realtà, di come sente la sofferenza, di come elabora i desideri. Di come vede noi adulti.“Il bambino cattivo” ci incastra nella secca e sobria struttura del racconto. Nel suo punto di vista che svela la nostra sordità di adulti, il nostro egoismo. Il nostro narcisismo. E così ci fa ridere e ci commuove e ci inquieta al tempo stesso. Perché due occhi innocenti e teneri inquadrano noi adulti, improvvisamente, con uno sguardo inedito e impietoso.

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