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Giuseppe Conti, Firenze – La notte di Ceppo – 2

Da Paolorossi

Firenze - Santa CroceFirenze – Santa Croce

Nei tempi più prossimi a noi, cioè sotto il Granducato di Ferdinando III e di Leopoldo II, la notte di Ceppo non era che la festa dei buontemponi, e di coloro che non volevan rinunziare ad un divertimento notturno, fosse pur quello di una messa cantata.

Prima di tutto, per la vigilia di Ceppo si cominciavano a veder per le strade di Firenze i fattori dei conventi delle monache col grembiule davanti per non dare scandalo, andare a portare i dolci preparati dalle medesime per i benefattori del monastero, i quali sapevan purtroppo che esse « danno un aghetto per avere un galletto ! » come corre il dettato.

Si cominciava pure a vedere un insolito movimento per il continuo arrivo di contadini e di procacci, che portavano ogni sorta di regali spediti dai parenti o dagli’ amici lontani. Per la maggior parte eran capponi, agnelli, caccia, fiaschi di vin santo o d’aleatico, la ghiottoneria del giorno di Ceppo d’allora, e che oggi non si usa più, e non è squisito come quello.

La mattina, sempre della vigilia, intorno alla colonna di Mercàto si vedevano un’ infinità di venditori, che non facevan che urlare e vociare: « Un bè  paio di capponi ! »

Pareva addirittura una fiera, tant’ era assordante il frastuono che aumentava a causa dei soliti ragazzi di strada i quali si divertivan di nascosto a strappar le penne della coda ai capponi, che strillavano come dannati. E siccome quegli strilli avvertivano i contadini e i trucconi della bricconata dei ragazzi, quando ne potevano aggaiantar uno eran pedate, pugni e scapaccioni da levar loro la voglia per sempre di provarsi un’ altra volta.

Tale baldoria durava fino al giorno dopo desinare; ma per tutta la mattina, dalla Colonna, non si poteva passare altro che a furia di spinte, tanta era la gente che andava lì per comprare il cappone da regalarsi alla maestra dei figliuoli o al medico di casa, come allora usava, guardando però che non fossero tanto grossi e più magri che fosse possibile, per spender meno, poiché a molti dava noia un’usanza che urtava tanto la tasca!

La sera la gente andava in Mercato per veder la mostra delle botteghe, rimanendo estatica dinanzi a quelle che, a mal agguagliare, parevan tante gallerie.

Quando poi alle dieci cominciavano a suonar le campane delle chiese per la messa di notte, le strade si ripopolavano per andare al Duomo, a Santa Maria Novella, a Santa Croce, a San Lorenzo, a Santo Spirito e alla Santissima Annunziata, nella quale accorreva più gente che altrove, perchè lì la messa era in musica e pareva un teatro invece di una chiesa.

Finite le messe, la maggior parte di quei devoti di nuovo genere, invadeva tutte le botteghe dei bozzolari, in Via dei Calzaioli, e dal Melini in Lungarno, dal Ponte Vecchio, per mangiar la stìacciat’ unta calda che in quella sera era d’obbligo.

Il concorso per la città durava fin dopo le due come se fosse di giorno ; e più qua e più là, si trovavan comitivedi egregi ubriachi, che cantavano a squarciagola, senza però molestar nessuno.

Il giorno di Ceppo c’era il servizio di chiesa in Duomo, col Granduca e la Granduchessa che andavano alla messa solenne con le carrozze di gala e le guardie nobili ; tutte lefamiglie e i parenti si riunivano a tavola per mangiare il cappone tradizionale. La sera molti rimanevano in casa a far la tombola, o divertendosi immensamente all’onesto giuoco dell’ Oca, che pareva un omaggio reso al Sovrano!

( Giuseppe Conti, tratto da “Firenze vecchia – Storia, cronaca anedottica, costumi (1799-1859)” , 1899 )


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