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Gruppo “conversazione” nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Caltagirone

Creato il 24 giugno 2012 da Raffaelebarone

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Raffaele Barone (psichiatra-psicoterapeuta)

Oriana Moschella (psicologa tirocinante psicoterapeuta)

Da qualche anno nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura di Caltagirone si tiene un incontro di gruppo a cui partecipano i pazienti ricoverati,  gli operatori interessati ed è aperto ai  familiari. Il gruppo si è tenuto soprattutto nei periodi di frequenza nel reparto di tirocinanti prevalentemente psicologi e psicoterapeuti in formazione. La presenza del tirocinante in questa esperienza è stata importante in quanto l’arrivo di una presenza esterna e con un vissuto più distaccato dal clima di reparto favorisce l’ uscire dalla difficoltà di avere un pensiero costante al livello psicologico della vita di reparto e alla ricerca di senso sia delle dinamiche di reparto che del vissuto dei pazienti ricoverati. Per un lungo periodo si è svolto una volta la settimana. Nei periodi in cui è stata assente la figura del tirocinante il gruppo non ha mantenuto la costanza delle sedute.

Il passaggio nei locali nuovi, la presenza di una tirocinante gruppo analista, le minori resistenze degli operatori, anzi sempre più interessati e la maggiore convinzione del conduttore ( psichiatra, gruppo analista) adesso a tempo pieno strutturato nel reparto, ha permesso di strutturare le sedute e dare una maggiore continuità al gruppo.

Il  reparto psichiatrico di diagnosi e cura è localizzato  in un edificio nuovo della struttura ospedaliera di  Caltagirone, uno spazio più ampio, confortevole, decoroso  e meno fatiscente del precedente, con una stanza per le attività ed una dotata di cucina. Alle finestre ci sono delle sbarre, simbolo della paura che l’istituzione nutre nei confronti della malattia mentale, del suo bisogno di detenzione ed isolamento di ciò che risulta essere bizzarro e perturbante. A tal riguardo è in corso una raccolta di firme per eliminarle.

Il luogo in cui si svolgono gli incontri di gruppo  è la stanza dove lo psichiatria di turno riceve utenti e familiari, tale stanza è ubicata dietro una grande e pesante porta che  separa il reparto SPDC da tutto ciò che sta fuori.

Tale stanza è uno spazio  di ascolto e dialogo, che sta al limite, al confine tra il dentro e il fuori, un fuori di cui i pazienti hanno molta paura. E’ possibile associare il luogo, dove si svolgono gli incontri di gruppo, ad uno “spazio senza” protetto,dove potere guardare la propria sofferenza , il suo significato soprattutto tramite gli occhi e il contributo  degli altri partecipanti all’incontro.

Uno “spazio  transizionale”  dove dare voce al proprio mondo interno, alle proprie bizzarrie, contraddizioni, il cui attraversamento potrebbe condurre ad una maggiore autonomia,alla consapevolezza di alcune parti di sé, ad una maggiore assertività  nei confronti della propria malattia e cura, della propria vita in genere.

Il gruppo vuole essere uno spazio dove le emozioni invasive, distruttive, incapaci di essere assimilate e contenute trovano un luogo e un contenitore che le accoglie. Esso fornisce un riparo ma anche la possibilità di riflettere su se stessi, di ritrovare la capacità di rimettersi in cammino.

Ogni incontro di gruppo ha una vita a sé, tutto si svolge in 1 ora ( un incontro che potrà anche essere l’unico per quel paziente), un “abbozzo di disegno” che è già un quadro fatto di colori, ombre e frammenti di storie da raccontare, macchie difficili a volte da ricondurre ad una forma, ad un senso da condividere.

Bisogna attendere la fine dell’incontro per potere riconoscere una gestalt, dare una restituzione completa al gruppo; una restituzione che è di fondamentale importanza per contenere la frammentazione e la mancanza di senso che galleggia in quello spazio, difficile a volte da abitare, una restituzione non solo gruppale ma anche individuale, importante per chiudere e contenere le trame  psicologiche e relazionali soggettive aperte in ciascuno dei partecipanti.

Sono “incontri” di storie diverse, di personalità diverse, accomunante non solo dal loro malessere e dal loro essere in questo reparto. Un reparto che viene vissuto non solo dai “malati”ma anche da altri “i sani”, psichiatri, infermieri, operatori osa, volontari, tirocinanti, familiari questi altri è necessario che si incontrino tra di loro e con i loro pazienti al fine di costruire un senso di comunità importante nel processo di cura dei beneficiari.

Gli incontri di gruppo hanno una frequenza bisettimanale, si svolgono il lunedì e il giovedì per circa 1 ora, con pazienti ed infermieri aperto ai familiari, che mostrano la voglia di mettersi in gioco e di avviare un qualche cambiamento.   Sono gruppi aperti con uno o più pazienti nuovi per ogni seduta, eterogenei in termini di sintomatologia, diagnosi, livello sociale, economico e culturale, motivazionale nell’accettare il trattamento.

Si cerca di mantenere stabili alcuni parametri come il luogo in cui si svolgono gli incontri di gruppo, il numero e la durata delle sedute. Il gruppo è astorico, quindi non esisteva in precedenza  e non sopravvive in quanto tale al termine della seduta. In verità una storia si costruisce,  quella ( del reparto) della cui memoria diventano depositari coloro che abitano tale reparto quotidianamente, o anche chi si ritrova ad attraversarlo nella propria vita percependone  subito la sua identità, che si auspica rimandare la capacità di ascolto e riconoscimento dell’altro.

Finalità degli incontri di gruppo in SPDC.

  • Osservazione diagnostica in un contesto gruppale, al fine di avere una visione più complessa del paziente .
  • Intervento psicologico sulla crisi.
  • Diminuire l’isolamento dei pazienti del reparto, ma anche degli operatori.
  • Creare un clima di maggiore dialogo in reparto.
  • Stimolare il paziente ad avviare un processo di empowerment  anche nel proprio processo di cura.
  • Favorire l’insorgenze di fenomeni tipici gruppali (appartenenza, risonanza,empatia, rispecchiamento, condivisione emotiva e cognitiva dell’esperienza, processi di identificazione)
  • Creare un spazio dove esprimere i propri problemi e riconoscerli, con la possibilità di una presa di coscienza.
  • Restituzione  e scoperta di significati che accomunano i partecipanti al gruppo ed individuali.

La conduzione è facilitante il dialogo e finalizzata a promuovere coesione come fattore terapeutico, di garantire a ciascuno uno spazio di parola e ascolto, si favorisce lo scambio relazionale  tra i  suoi membri, incoraggiando a parlare affinché tutti siano inclusi.

Questo tipo di conduzione, connotata da diverse specificità relative al contesto istituzionale e alla tipologia di utenza,  sembra svolgere all’interno del gruppo la funzione di facilitatore della comunicazione attraverso lo svolgere la funzione di revery  di cui parla Bion.  Si tratta di recepire le comunicazioni del paziente, di comprenderle e di restituirle al gruppo in modo metabolizzato, digerito e quindi più facilmente pensabile per ciascun membro.

All’inizio del gruppo il conduttore comunica quattro regole base dell’incontro: il segreto professionale, parlare senza giudicare, ascoltare ed accogliere. Dopo ogni partecipante fa una breve presentazione di se, dopo si può parlare di qualsiasi cosa ogni componente del gruppo pensa e decide di comunicare. La presentazione è importante in quanto il paziente che arriva in reparto spesso è disorientato. Pensa che tranne lui tutti gli altri pazienti sono “pazzi” e invece scopre e conosce persone che come lui condividono un momento difficile della propria vicenda umana.  Il conduttore nel favorire la libera comunicazione  aiuta il gruppo alla ricerca di un senso di ciò che si dice e di ciò va succedendo nel qui e ora.

Il gruppo da la possibilità di sperimentare una crescita, di iniziare a pensare ad una possibilità  di cambiamento che si rende possibile  in un luogo – contenitore-  sufficientemente buono e accogliente.

Importante risulta essere, nella specificità di tale conduzione , evidenziare anche nell’intervento più distruttivo e dissociato un significato positivo e utile, in modo da far sentire il paziente importante per il gruppo nell’aver donato una parte significativa di sé. Cos’ì come

sollecitare la partecipazione e le relazioni tra i partecipanti all’incontro di gruppo, avendo cura di riconoscere, far circolare i segnali affettivi che si presentano nello spazio relazionale.

Il gruppo risulta essere funzionale ad una diagnosi che sappia riconoscere ed integrare, nell’identificazione della patologia di cui un soggetto è affetto, le parti sane, le risorse ed i suoi bisogni ma nello stesso tempo,cosa più importante, ricondurre il paziente dall’altrove in cui si trova bloccato al qui ed ora. Alla fine del gruppo il conduttore aiuta il gruppo a rintracciare un senso sia del contenuto delle comunicazioni e/o di ciò che è accaduto. Nello stesso tempo lavora alla chiusura e restituzione di senso di vissuti, contenuti ed emozioni “forti” emerse. Una sorta di medicazione e chiusura di ferite aperte durante l’incontro.

Alcune riflessioni sulla esperienza fino ad adesso:

-   I temi generali sono di forte intensità emotiva con una significativa risonanza nel vissuto degli operatori.

-   – La vita nelle sue forme più estreme (abusi, maltrattamenti, profonde incomprensione,  desideri delusi ma anche speranza , spiritualità voglia di guarigione, bisogno di ascolto empatico..

-   La morte (lutti non elaborati, tentativi di suicidio, auto distruttività, aggressività, violenza distruttiva).

-La follia ( sensi di colpa, i deliri, il diavolo, i persecutori ,le allucinazioni ,la difficoltà di dare senso a vicende della propria vita, la difficoltà o impossibilità di vivere una vita che vale la pena vivere ma anche la ricerca di senso, la possibilità di raccontarsi, di condividere il dolore e la sofferenza, dare senso ai TSO comprenderne le ragioni o sfogarsi quanto ritenuti ingiusti o incomprensibili).

La estraneità e l’alterità. Si scopre l’altro da se ci si confronta spesso per la prima volta su temi e vissuti che hanno segnato la vita personale. L’altro diventa  specchio per comprendere la propria personale vicenda dolorosa. Spesso gli stranieri si fidano di più degli altri pazienti ritenuti solidali e nella stessa barca.

-La crisi. Questo forse è l’aspetto più importante delle fase del ricovero. Come sempre la crisi rappresenta un pericolo e anche una possibilità. Un pericolo in quanto può essere una esperienza che può fare sprofondare la persona ricoverata nella malattia senza speranza in un futuro migliore o ancora peggio confermare che essendo “pazzo” merita questo ed altri ricoveri. Invece può rappresentare una occasione di cambiamento e l’inizio di un percorso di guarigione recuperando il senso profondo del ricovero dando un significato e senso a questa fase  della vita del paziente recuperando una possibilità evolutatia.

- La formazione degli operatori. Dopo l’incontro avviene uno scambio di opinioni e vissuti fra gli operatori nel cosiddetto post-gruppo. Gli operatori scoprono l’umanità sofferente dei pazienti, sono in grado di capire meglio la diagnosi, il senso della cura e soprattutto il senso della sofferenza per quella persona specifica. Questo tipo di esperienza a contribuito non poco a creare un clima emotivo più tolleranze e più pieno di ascolto empatico e un atteggiamento meno difensivo verso la malattia mentale in genere e più comprensivo per quella persona specifica. Gli infermieri, dopo una prima fase di resistenza hanno iniziato ad essere più partecipi e più propositivi con contributi di idee e pensieri utili ai pazienti. Ciò è divenuto più evidente dopo il riconoscimento formale del responsabile del reparto che ha istituito un registro di tale attività rinforzalo e  legittimandola sul piano istituzionale. Nel frattempo lo stesso medico ha avviato un gruppo giornale con lettura e  discussione su temi riportate dalla stampa e scelti dai pazienti.

- Le famiglie. Negli ultimi tempi il gruppo si è aperto alla partecipazione dei familiari che vengono invitati liberamente a partecipare. La presenza dei familiare si è dimostrata molto utile in quanto come teorizzato da G; Badaracco in gruppo multifamiliare le crisi si affrontano in maniera più efficace e più rapidamente. E’ possibile rendere evidente e lavorare sulle relazioni simbiotiche, sulle comunicazioni implicite dentro la famiglia, sui doppi legami soprattutto sulla riflessione di una possibile cura condivisa.

La conversazione continua nelle ore e nei giorni successivi, sia fra i pazienti che con gli operatori. Magari qualcuno dei pazienti ha regalato una caffettiera al reparto e diventa la scusa per fare il caffè insieme. Ci si appropria di se e dello spazio vitale e si condivide una esperienza forte e dolorose con altre persone che non sono solo i propri familiari.


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