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Guerra d’Etiopia – Diario di un Combattente (Parte Quarta)

Creato il 16 marzo 2013 da Federbernardini53 @FedeBernardini

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(Copertina originale del manoscritto – “Mario Saragat”)

Grazie a Ines Saragat, nipote del protagonista di queste pagine, che a quell’evento partecipò in prima persona, abbiamo l’opportunità, dopo quasi ottant’anni, di riflettere su una pagina assai controversa della nostra storia recente, che ci viene presentata in forma di diario.

Un documento prezioso, che pubblichiamo in esclusiva, a puntate, per i lettori dell’Urlo.

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Mario Saragat gioca a carte coi suoi compagni

I pezzi non smettono, siamo al giorno 21-1 e il fuoco è sempre lo stesso; alle ore 9 il nemico colpisce un trimotore a quattro Km. dall’osservatorio generale.

Il Capitano dà l’ordine di incendiare l’apparecchio per non darlo in mano nemica, e così muoiono bruciate 6 persone.

Alle 11, sempre in mezzo al fuoco, si va una squadra all’osservatorio della 1^ Pattuglia o.c. per impiantare una stazione Radio; qui si trovano diverse vittime fatte dal nemico, tra le quali un caporal maggiore mitragliere, e aiuto anch’io a metterlo sull’autoambulanza (ma, senza segnale di strade).

Il fuoco è sempre lo stesso, e tutta la truppa è senza mangiare dal giorno dell’inizio dell’azione; solo il giorno 22, a mezzogiorno, arriva la cucina che ci dà a mangiare, ma tutti siamo esausti di fame da non poter parlare, in tre giorni e mezzo si è mangiato una galletta e una scatoletta di carne.

Siamo al 22 notte, il fuoco dei nostri pezzi è cessato un po’, ma si dubita che di notte si avanzi ancora. La nostra pattuglia, che è di manovra, va su tutti gli obiettivi e fronti;  gran perdite da  parte nostra.

23-1-36. Il fuoco, dal nostro fronte, è limitato, ma ogni tanto il tuono dei nostri pezzi

si fa sentire. Noi ancora  non siamo avanzati oltre, perché il fronte avversario è ben rinforzato. Specie di notte si fanno manovre di guerra.

24-1-36. Andato a ispezionare le linee con un sergente; alle 9 di sera, dopo qualche Km., sentiamo la mitraglia. Io convinco il sergente e torniamo indietro. L’indomani si sa che quelli dell’altra squadra partita dall’osservatorio per fortuna si sono salvati la vita: una nostra mitraglia gli faceva fuoco addosso scambiandoli per nemici.

25-1-36. Il fuoco è sempre aperto; il nostro colonnello oggi riceve un elogio da Santini, il Generale.

26-1-36. Il Maggiore che sta all’osservatorio fa aprire il fuoco ai 117 perché un gruppo di nemici scende nella valle Tendinì.

27-1-36.Di mattina vado di perlustrazione con la milizia; verso le dieci vediamo, a tre Km., un pezzo abissino volare per aria. Solo una ruota è rimasta.

28-29-30-31.  Sempre lo stesso movimento.

Il 1-2-36, di notte, arriva l’ordine di andare a rinforzare di nuovo Bolbolà, ossia il fronte dell’Amba Aradam. Le macchine non possono partire in colonna, devono partire una alla volta senza luce. A mezzogiorno metà Batt. è già trasferito; arriva l’ordine di sospendere la marcia; di sera arriva l’ordine di rientrare a Debri: due giorni senza mangiare. A! A!.

2-2-36. Una macchina alla volta si ricarica il materiale e si trasporta a Debri. Io, essendo a Bolbolà, non ho sentito neppure la Messa.

3-2-36. Dalla mattina andati al fiume a lavare la biancheria e a prenderci il bagno.

4-2-36. Comandato, con tre soldati, a guardare la linea telefonica, e trovata spezzata completamente (si dubita sia il nemico). Dopo circa un’ora viene Felice all’accampamento, e non mi trova; mi aspetta ma io vengo molto tardi perché sono andato a visitare i tucul già bombardati e sono rimasto a fare il bagno.

5-2-36.Niente di novità; ogni tanto da qualche fronte vicino si sente qualche attacco nemico.

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Mario Saragat a destra

6-2-36. Si è saputo che Ras Mulughietà fa riunione delle sue truppe su Amba Aradam; la forza complessiva è di circa 100 mila armati nemici.  Gli apparecchi sono sempre bombardando, sembra che mesi addietro abbiano buttato la iprite.

7-2-36. Dall’Italia giungono sempre delle nuove divisioni, anche degli alpini, e subito sono sul fronte. I pezzi da 149 anche oggi si sono fatti sentire.

8-2-36. La mattina, un subitaneo ordine dal Corpo d’Armata ci comanda che dal Tembien ci dobbiamo spostare per l’avanzata dell’amba; e subito rientrano le pattuglie e si ritirano le linee, il posto di riunione della nostra Batteria è Bolbolà, anche il Deposito bisogna portarlo lì. (Un lavoro da cani per tutti).

Alle ore 23 siamo a Bolbolà ma ancora manca il Deposito e qualche linea telefonica.

9-2-36. Tutta la Batteria è riunita e già incominciano, nel Comando, a distribuire gli uomini di Pattuglia o.c., e con questi anche quelli della Radio. Alle 12,  mi chiamano con i tre uomini e mi destinano al 3° Bersaglieri con le due P.O.C. Tenersi pronti, da un momento all’altro si parte; si incomincia a versare il corredo per mandarlo al Deposito. Per tutta la sera non arriva ordine di partire; solo a mezzanotte ci svegliano perché alle tre del mattino 10-2-36 si parte.

10-2-36. Alle tre e fardello consistente: un telo pastrano, una coperta, tascapane con cinque giorni di viveri a secco, e altri due pacchetti di cartucce, e tutto l’occorrente che uno si vuol portare, più il cofano della R3: complessivi chilogrammi cinquantasette.

Alle cinque precise si parte e si raggiunge il 3° Bersaglieri al forte 7° Reggimento Galliano della 3° o.c. Alle sei si parte con il comando dei bersaglieri, ossia colonnello De Simone e seguito. Noi siamo in diciassette, compresi gli ufficiali che sono due: undici soldati per l’osservatorio e noi quattro per il collegamento con la stazione R3.

Ogni mezz’ora noi dobbiamo piantare la stazione e comunicare al comando 7° le novità della marcia; ogni venti minuti ci sono tre minuti di riposo, ma il peso è troppo, e il posto è cattivo. Dopo ripetute e brevissime tappe, alle ore 12 e 30 arriviamo alla tappa superiore dopo aver fatto circa sette chilometri. Siamo tutti più morti che vivi, specie noi quattro della Radio; il posto è quota 2230, non so di preciso come si chiami ma siamo in direzione di Scelicot. Nemici non se ne vede, neppure le tracce.

Alle cinque del mattino del giorno 11 riprendiamo l’avanzata; dopo circa tre chilometri noi quattro buttiamo via la stazione e ci rifiutiamo di portarla per il carico eccessivo. Allora i nostri due ufficiali si interessano e fanno di tutto per alleviarci dal gran peso; e così un mulo, dopo tante raccomandazioni, ci prende il fardello. Le stazioni non si possono coricare per il collegamento.

Alle ore 14 si arriva alla tappa superiore, malgrado la stanchezza; siamo morendo di fame, dal giorno prima senza acqua, senza sigarette.

Il totale dei chilometri: diciannove.

La mattina del 12, alle ore quattro, si parte di nuovo.

Dopo due ore di marcia (alle ore sei), il nemico ci attacca.

Alla nostra destra c’è la Divisione “3 Gennaio”, che sono attaccati anche loro, da prima di noi; è molto giù, tant’è vero che noi con poche raffiche e fucilerie mettiamo in fuga il nemico.

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Felice Saragat con la sua Guzzi 500

Alla destra invece è un fuoco continuo e straordinario; armati abissini ce ne sono molti e resistono all’attacco con uno spirito fantastico.

Noi avanziamo sempre, col nemico avanti di 500 metri che scappa.

Alle ore 12 e 30 siamo attaccati di nuovo, il 3° Bersaglieri apre il fuoco e così pure una Batteria da 65 del ’16 che è con noi.

Alle 14 e 30 chiediamo il fuoco ai nostri 149; dopo due salve di Batteria il nemico resiste un altro poco e subito dopo scappa.

Un piccolo gruppo di essi si nasconde e all’improvviso apre fuoco e ce ne ferisce due dei nostri; loro sono talmente coraggiosi che in pochi si avanzano perché ci vogliono prendere la mitraglia (per loro grande onore), ma non resistono mezz’ora che sono sterminati, e così si chiude il fuoco.

L’ala destra invece non ha avuto un momento di riposo, è sempre in aumento al fuoco. Noi facciamo le tende, solo i bersaglieri stanno tutti al loro posto pronti per l’attacco e così rimangono fino all’indomani alla nuova avanzata.

Di sera io con altri due vado a cercare un po’ d’acqua per bere e troviamo un fiume alla nostra destra dove, un chilometro avanti, si vede il fuoco della “3 Gennaio” ancora in piena azione.

Qui, appena arrivati, vediamo un mucchio di morti e feriti, dei militi dei quali un cap. e un tenente che li caricano sui muli per portarli alle retrovie.

Il fuoco insorda le orecchie; dopo pochi minuti si scatena un temporale che in un attimo non ci lascia un pelo asciutto, siamo tutti bagnati come uccelli, non troviamo un piccolo riparo, niente.

Diversi militi che sono lì presenti ci riferiscono alcune cose ma sono scoraggiati in un modo da far pietà, e ci tocca incoraggiarli ma loro sono sfiniti morti da non reggersi.

Rientriamo alle nostre tende piantate provvisorie dopo circa tre ore di cammino; è sempre piovendo e grandinando, siamo tutti stanchi morti e morendo di fame. Malgrado questo ci tocca fare due ore di servizio anche la notte alla R3; ci mettiamo a mangiare ma non si ha voglia di niente.

L’acqua scende sempre a catinelle, le tende sono invase ma ormai siamo bagnati e non ci facciamo più caso e così neppure nelle ore libere si può riposare; (il complessivo dei chilometri è 28).

Il fuoco dell’ala destra si sente anche tutta la notte.

Alle ore sei, la mattina del 13, ci rimettiamo in marcia. L’acqua è cessata, ma il fuoco ancora no.

Alle ore 11 si arriva alla tappa superiore senza trovare nessun inciampo; oggi i corredi i muli non li hanno potuti prendere, e ci è toccato portarli a spalla.

Ogni tanto una scarica di batteria si sente per protezione; il 14 si sta fermi tutto il giorno perché non si può avanzare senza l’ala destra.

Al posto della “3 Gennaio” vengono gli alpini che subito mettono in fuga il nemico.

Già dal primo giorno dell’avanzata i nostri pezzi, con gli aerei, non hanno cessato di sparare sull’amba un momento; giorno e notte, di continuo, mai senza i colpi dei pezzi leggeri.

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Un camion militare rovesciato nella foresta

La mattina del 15 riprendiamo la marcia spostandoci  per proteggere il fronte di destra che è debole.

Alle ore 10 siamo di fronte al gran paese di Belesat, a tre chilometri.

Qui la truppa si ferma perché abissini ci attendono in trappola al paese; allora si comunica ai nostri gruppi il seguente radiogramma:

“Richiediamo fuoco protezione 149 – coordinate N.P.U.N.”.

Subito dopo tre salve di batteria arrivano sfondando completamente il paese; ecco che si vede un folto gruppo di armati nemici prendere i piedi della montagna e scappare.

La nostra posizione non è in grado di attaccare, per conseguenza gli andiamo dietro a tutto correre, ma loro sono molto più svelti di noi e dietro la collina c’erano già gli altri pronti, cosicché ci attaccano. Quando noi eravamo a metà gola si sentono le raffiche delle mitragliatrici nemiche, e siccome l’ala destra è rimasta indietro noi siamo attaccati anche di fianco.

Due compagnie camminano in mezzo al fuoco per giungere alla collina che dopo qualche sforzo raggiungono.

Qui il fuoco si apre come un turbine, noi non possiamo andare avanti perché il fuoco ci viene da tutte le parti; contro 500 armati (circa) nemici, ci sono solo due compagnie di Bersaglieri.

Il fatto è che ancora non hanno buona posizione poiché la collina è falsa e per conquistare la loro posizione bisogna avanzare ancora nel fuoco, il che ci costa diversi morti tra i quali il capitano con vari soldati.

Al che, dopo qualche mezz’ora, la posizione buona si prende, ma i nemici hanno preso dai nostri due mitraglie le squadre delle quali, distrutte.

Ma adesso la posizione è buona, i nostri così guadagnano terreno nel fuoco, ma bisogna mandare del soccorso poiché sono rimasti in pochi; e così, dietro ordine, un paio di compagnie avanzano prendendo qualcuno, persino di fianco a me; perché il nemico, appena avvistate queste persone che uscivano, sparava senza vederci su di noi.

Parecchie volte ci sono cadute le pallottole nei piedi, salvandoci per miracolo.

Quindi, piantiamo la stazione e loro, avvistandola, tirano sulla stazione.

Subito però sentiamo la voce del colonnello che ci chiama su perché c’è il bisogno della Radio, e noi dobbiamo obbedire e fare quel piccolo tragitto ma molto pericoloso; una pallottola colpisce il cofano del mio compagno prendendo su una piastra di ferro, e salvando così la sua vita.

Arrivati qui il quadro che si presenta a noi è terrorizzante: diversi nostri sono distesi a terra, chi morto chi gravemente ferito dalle maledette dum dum, e il loro gemito intenerisce il cuore a un leone; diversi sono quelli che si vedono combattere a petto a petto con quei vili.

Sull’amba che rimane alla nostra destra il fuoco non ha tregua, le fucilerie e le mitraglie insordano, e i pezzi non smettono il loro tuonare, proiettili di ogni calibro si vedono arrivare, un pezzo leggero di loro messo sull’amba viene fatto saltare in aria con gli uomini che ci stanno vicini.

Foto di proprietà di Ines Saragat



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