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Heba Amin e le voci della rivoluzione.

Da Arturo Robertazzi - @artnite @ArtNite
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Strade infinite, scheletri di palazzi. Della città gli abitanti a malapena ricordano i confini, il resto sparito in un soffio. Sarebbe impossibile altrimenti: la città è, lo è stato, e lo sarà. Una donna decide di intraprendere un viaggio per scoprirne i confini, dove esiste – deve esistere, uno spazio libero. Il viaggio è spaventoso, tra strutture abbandonate e memorie cancellate. Eppure alla donna, che sa ascoltare, il silenzio del deserto urbano mormora verità dal passato.

Non è una novella di J. G. Ballard, non è un film surrealista degli anni ’20, ma Voices From the Revolution (working title), di Heba Amin, un’artista egiziana che vive e lavora a Berlino.

Ho conosciuto Heba durante la mia partecipazione a Falling Walls, di cui ho scritto qui e qui. In quel periodo ero impegnato nella mia ricerca su Twitter ed editoria e alla stesura de La Lettura Digitale e il Web. Quando, alla pausa caffè, Heba mi dice “sto lavorando a un film su Speak2Tweet”, mi sono immediatamente interessato al suo progetto.

A seguito delle proteste scoppiate il 25 gennaio, esattamente un anno fa, il regime di Mubarak spegne internet in tutto l’Egitto, per evitare che la protesta corra online. Nei giorni successivi, in un fine settimana, un gruppo di programmatori sviluppa Speak2Tweet, un servizio che ha permesso agli egiziani di parlare al mondo, nel momento in cui ogni altra comunicazione era praticamente impossibile. Con una telefonata si poteva lasciare un messaggio che poi appariva come file in un tweet dell’account @Speak2Tweet. Il servizio è ancora attivo.

L’idea di Heba Amin è quindi realizzare un film che coniughi la sua esperienza artistica legata ai profili urbani con le voci raccolte in Speak2Tweet durante i mesi di rivolta in Egitto.

Era difficile per me vivere la normalità dei miei giorni. Per due settimane sono rimasta attaccata al computer in comunicazione costante con i miei amici e la mia famiglia, che intanto erano in Egitto. Questa situazione, però, mi ha permesso di avere un ruolo nuovo per me come reporter all’estero della situazione egiziana, e di sintonizzare la mia attenzione su Speak2Tweet, che mi ha davvero commosso”, dice Heba, ricordando i primi giorni della rivoluzione, quando lei era già a Berlino.

Sorseggiando un tè, seduti nel suo salone arricchito da foto di case in rovina, Heba mi spiega che lo scopo di Voices From The Revolution non è descrivere la rivoluzione in sé, piuttosto raccontare “le emozioni collettive delle persone che avevano un disperato bisogno di farsi sentire. Speak2Tweet ha fornito loro il mezzo, in un momento storico fondamentale, ma i sentimenti delle persone erano lì da anni. Il film esplora questi messaggi in un contesto di strutture abbandonate, frutto di un dittatore corrotto”.

Voices From The Revolution è per ora solo un progetto. Qui potete dare uno sguardo a degli estratti che Heba ha realizzato per far conoscere la sua idea, avendo già partecipato a diversi eventi a Berlino, a Lubiana, e, proprio in questi giorni, a Vienna. Se, come me, vi piacerebbe vedere realizzato Voice From The Revolution, su IndieGoGo potete partecipare al finanziamento del film, da un minimo di un dollaro fino a un massimo di 1000 dollari.

Mentre Heba mi parla del suo film, il mio sguardo cade prima sulla tazza da tè dalle fantasie sgargianti e poi su una copia de Le Città Invisibili di Calvino. Heba mi guarda, intuisce la mia domanda e, ancor prima che possa formularla, risponde: “Le Città Invisibili mi ha influenzato nel momento esatto in cui ho cominciato a leggerlo. È uno di quei libri che è rimasto con me, e, in qualche modo, trova sempre la sua strada dentro i miei lavori”.

Tornato a casa, prendo a sfogliare la mia copia de Le Città Invisibili, e, tra pagine appuntate, segnate, fermate, leggo tra me e me: “Arrivando a ogni nuova città il viaggiatore ritrova un suo passato che non sapeva più d’avere: l’estraneità di ciò che non sei più o non possiedi più t’aspetta al varco nei luoghi estranei e non posseduti”.

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