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Il set di Hollywood Party è una festa che dà un ricchissimo magnate di Hollywood, uno di quelli che hanno i soldi e non si capisce bene per far cosa. Hrundi V. Barshi (Peter Sellers, appunto), attore indiano dilettante e davvero catastrofico, vi viene invitato per errore. Il panorama che gli si staglia davanti è quello di un'alta borghesia neghittosa e vanesia, incapace di divertirsi se non negli sprechi e nella totale ignoranza della sua identità. Quel che succede in seguito sembra una vendetta contro la grettezza e la mancanza di fantasia di persone dedite solo a formulare le apparenze, come neanche nei film accade. Il peggio non è mai alle spalle di questi balordi ingrati, quale che sia il loro ruolo in società e nel mondo del cinema: Barshi li pedina al ritmo dell'irresistibile Henry Mancini e sembra essere una vera nemesi contro le loro stucchevoli e lussuose follie.
Hollywood party è la storia di una festa qualunque che diventa memorabile per la presenza di un inadatto infiltrato. Un banchetto preparato con la precisione e la professionalità degli esperti, dei saggi, esplode nelle mani incapaci di un bimbo, di un puro. La vicenda si snoda nelle mani di Barshi come una prova di giocoleria nelle mani di un clown: non riesce, forse fa male, ma suscita l'ilarità in chi sa sa apprezzarne il senso e il peso. Anima candida, l'uomo è l'unico a trovare l'allegria, la risata, in questo grottesco convento di grigia sordità che ha nothing to lose, nulla da perdere, ma solo l'ossessione del guadagno; l'uomo non lo trasforma in uno spettacolo dozzinale, ne rivela semmai la pulsante natura circense. Insieme alla dolcissima Michelle Monet (Claudine Longet), Barshi apre uno squarcio nel mondo ovattato e reso insensibile da una ricchezza imbalsamata. Sono loro due, dopo esser stati costretti a rinunciare ai vantaggi che possono derivare dall'essere in questo potentissimo consesso, a formulare la ricetta per un modo più autentico e gioioso di godere dei beni e della reciproca compagnia. Senza premura e senza proclami, ma con intimo entusiasmo.
Hollywood party è una vera festa, un assalto alla rocca del perbenismo, un film scorrettissimo ed esilarante: Blake Edwards ha messo a segno un colpo mortale contro la noia di uno stupore "sotto controllo". Non ci sono telecomandi, non c'è ordine, non c'è possibilità che una festa preparata con cura riesca, perché non è la forma a non funzionare, ma la sostanza a mancare. Peter Sellers, amaro genio insoddisfatto e incontrollabile, sostiene ancora una volta Edwards in questa sistematica demolizione di un mondo votato al suo spettacolo che deve continuare. Mentre un branco di giovani viziati e dissoluti avanza con un elefante nella festa che doveva raccogliere il meglio dell'alta società hollywoodiana, una nuvola inarrestabile di schiuma inghiotte i dettagli e trascina lo spettatore in quest'Olimpo, non più di potenti, ma di ludiche creature. Hollywood non è un paradiso, ma lo può diventare.
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