Mario Calabresi in questo periodo è ovunque. In TV con Hotel Patria, in libreria con “Cosa tiene accese le stelle. Storie di italiani che non hanno mai smesso di credere nel futuro”.
In TV, radio, sulla carta stampata per promuovere l’uno e l’altro.
Mario Calabresi ha una storia familiare importante. Si presenta bene. Una persona pulita. Competente, schivo, sa raccontare. E nel raccontare pare vincere quella certa aria di timidezza, di riservatezza che gli conferisce un’autorevolezza non comune.
Hotel Patria è un programma di 4 appuntamenti TV su Rai 3 in onda tutti i lunedì fino al 4 Luglio in cui racconta della tenacia e della pervicacia di uomini, italiani, che non si arrendono al destino. Che provano a ribaltare quella cultura machiavellica che assegna all’uomo una capacità parziale nell’influenzare le proprie sorti. Il 50% è nelle mani di fortuna avrebbe detto il politico fiorentino.
Il risultato è un programma che sa emozionare, in cui la pacatezza del narratore rappresenta lo strumento giusto. Quello che dà i bassi agli acuti che arrivano direttamente dai protagonisti delle storie. Prendete ad esempio quella dei cantieri Lillia sul Lago di Como. Storie di impresa che è vita. Romanzo. Una famiglia di macellai che per 300 anni tagliano fettine e insaccano prosciutti, che si ritrovano ad avviare un’attività di produzione di barche a vela. Barche le “star” che sono la formula 1 del mare. Barche che alle Olimpiadi si piazzano con 3 equipaggi diversi sui tre gradini del podio.
Quando muore il fratello che era stato il fondatore del cantiere, Mecu Lillia non ha dubbi. Si va avanti. Perché quella che conta è la passione.
In questa storia c’è tanto, tutto l’essere italiani e intraprenditori. Orgoglio. Passione. Tenacia. Creatività. La capacità di fare cose belle, veloci e che piacciono alla nicchia dei campioni che sul Lago di Como sono richiamati dalla professionalità, dalla qualità di queste barche. Di farlo nel posto meno globale del mondo, dalla tipicità che è orografica prima ancora che identitaria.
Oppure la storia di Loris Degioanni, giovane laureato al Politecnico di Torino, originario di Vinadio borgo di 400 anime sopra Cuneo. Grazie ad un contatto con il Prof.Bruno dell’Università di San Francisco finisce con il creare una start-up tecnologica nella Silicon Valley dove oggi ci sono 12 dipendenti, guarda caso tutti cresciuti nell’Ateneo sotto la Mole. Il passaggio più interessante è quando Calabresi, raccontando questa storia, parla della forza straordinaria che si libera quando due generazioni si toccano. Il cortocircuito tra il Prof. americano, italo-americano di terza generazione, con i nomi dei nonni registrati negli archivi di Ellis Island, e il giovane cuneese crea le condizioni per lo sviluppo di una nuova iniziativa. Il giovane che ha un talento promettente ma ancora acerbo e che va sorretto, che necessita fiducia e sostegno, che cerca qualcuno che gli creda e che gli dia una possibilità trova in John Bruno dall’altra parte del pianeta quelle braccia che sono quelle del nonno che ti accoglie quando piccolo cerchi di muovere i primi passi.
Ecco la ricetta dunque. Far dialogare le generazioni. Una via che risolve certi aberranti radicalismi. In politica, ad esempio. I vecchi dinosauri che trascorrono le notti come dei giovani adolescenti straripanti di amore e ormoni, i giovani rottama tori di una sinistra da tribuna VIP.
Mario Calabresi è una buona scoperta per la TV. Il suo giornalismo che racconta la vita, diventa romanzo. Senza perdere mai il contatto delle realtà che è dura, precaria e piena di mille contraddizioni, in un paese come il nostro rispetto al quale occorre muoversi più nonostante che grazie, Mario Calabresi porta in tavola piatti di una denuncia ottimista. Positiva. Di chi cerca di guardare comunque oltre il buio, oltre l’indietro. Come mi scrisse una volta Massimo Gramellini, alla fine del tunnel c’è sempre la luce.
Unico neo il carattere un po’ troppo locale, piemontese dei racconti.
La colonna sonora è la ciliegina sulla torta.
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