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I cambiamenti (in meglio) di Carmelo Anthony

Creato il 18 gennaio 2013 da Basketcaffe @basketcaffe

Egoista, incapace di portare la squadra alla vittoria, ragazzo e compagno difficile. In questi anni se ne sono dette, scritte e lette parecchie di critiche (spesso giustificate) nei confronti di Carmelo Anthony. Critiche che, in questa stagione, stanno iniziando a trasformarsi in lievi serenate.

Parlare di un uomo, ancor prima che di un giocatore, come Anthony, non è la cosa più facile del mondo. Figlio di Brooklyn e dell’asfalto cittadino, cresciuto a Baltimore e sbocciato ad Oak Hill Academy prima e a Syracuse poi, Carmelo ha avuto una gioventù non certo ricoperta di bambagia avendo visto vari amici ammazzati in strada per storie di droga o criminalità. Prendiamo in prestito il motto di Ibrahimovic “Puoi togliere il ragazzo dal ghetto, non il ghetto dal ragazzo” e usiamolo per descrivere Melo, non siamo troppo lontani dalla realtà. Il ghetto ha plasmato il suo gioco, fatto di isolamenti e voglia battere o irridere il difensore a tutti i costi, infischiandosene dell compagno libero o della circolazione della palla. Tante critiche gli sono piovute addosso in questi anni a causa anche di comportamenti non sempre esemplari o funzionali al raggiungimento di una buona chimica di squadra. In questo ultimo anno però, Carmelo pare diverso, più concentrato al risultato di squadra, rimanendo “egoista”, ma in maniera diversa. Sarà il fatto che, da giugno in poi, è rimasto l’unico delle prime cinque chiamate del draft 2003 senza anello (si, anche Darko lo ha vinto), lo sbarco a Brooklyn dei Nets volenterosi di ribaltare le gerarchie cittadine, o l’essersi accorto che sarebbe un oltraggio al proprio talento chiudere la carriera senza aver almeno una volta giocato per il titolo. Sta di fatto che i Knicks 2012/2013 sono la migliore squadra che il Madison ammira dalle Finali del ’99, e senza dubbio, ad Est rappresentano la principale alternativa a Miami. Se in giro per la NBA non ci fosse Kevin Durant, Carmelo sarebbe il principale indiziato per vincere il premio di MVP, producendo 29.3 punti a partita (massimo in carriera) tirando con il 42% da tre (altro massimo in carriera) e con il 46% dal campo, diminuendo le palle perse e aumentando le stoppate rispetto alla stagione precedente.

Sono 40 anni che a New York attendono di risalire sul tetto del mondo, le pressioni sono indicibili, e un ennesimo fallimento non sarebbe accolto nel migliore dei modi da stampa e tifosi. L’impresa è dura, e il peso di avere la scritta Knicks sul petto in queste circostanze è una delle pressioni maggiori del panorama sportivo mondiale. Guai, però, a scommettere contro un natio di Brooklyn, specialmente se gioca nella Grande Mela, perchè, come canta Alicia Keys, “Non c’è niente che tu non possa fare, ora sei a New York”.


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