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I detective nel giallo

Creato il 13 marzo 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Da Fralerighe Crime n. 4

Tempo fa riflettevo sul fatto che il detective, nella finzione poliziesca, tende a essere sempre un po’ stereotipato, un po’ sagomato. Allo stesso tempo, mi chiedevo come fosse possibile che romanzi aventi come protagonisti dei detective dal “sapore” già sentito fossero dei tali bestsellers. Alla seconda domanda ho trovato facilmente risposta: un personaggio vicino ai canoni della categoria sa di familiare, consente al lettore di immedesimarsi prima, di farsi prendere dalla storia; e si sa, questa è una delle chiavi del successo di un romanzo, al di là di generi e etichette. Così mi sono detto: va bene, per piacere piacciono, per vendere vendono, per funzionare funzionano, ma è possibile che non si possa andare oltre i soliti modelli di detective?

Ci ho riflettuto un po’, e alla fine sono arrivato alla conclusione che no, non si può andare oltre quei pochi ma immortali modelli. E ve lo dimostro.

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Ipotizziamo di scrivere a quattro mani, io e te, un romanzo poliziesco. Abbiamo pensato al delitto, l’input della storia, e sappiamo chi lo ha commesso. Sappiamo perché lo ha fatto e dove, in che luogo. A questo punto abbiamo bisogno di un detective, che investighi sul caso. Uno di noi potrebbe proporre di usare come detective una persona molto intelligente e deduttiva, dato che il suo compito è quello di usare la logica. Bene, in questo caso avremmo creato un detective del tipo 1, alla Sherlock Holmes, Poirot, ecc., come ce ne sono a bizzeffe. Potremmo allora pensare di creare un personaggio forte, intelligente sì, ma non un cervellotico, un uomo d’azione, un duro. Dice niente la scuola Hard Boiled? L’Ispettore Callaghan e i classici detective privati all’americana attaccati alla bottiglia di whiskey? A questo punto, dopo un po’ di riflessioni, potremmo arrivare alla conclusione di voler creare un detective più moderato, più realistico. Una via di mezzo tra il cervellotico e il duro, vicino all’uomo medio. Una persona normale dotata di un certo senso della giustizia e una discreta capacità di investigazione.

Bene! Ce l’abbiamo fatta! Se escludiamo Maigret, Carvalho, Montalbano e diversi altri eroi in voga, abbiamo trovato davvero una soluzione originale. Peccato che i tre nominati in precedenza siano un attimino famosi…

I detective nel giallo
Come vedete, che il detective sia un cervellone, un uomo comune o un osso duro, non si sfugge da modelli già usati, da archetipi veri e propri. E quindi, direte voi, non ci resta che rassegnarci agli stereotipi, o archetipi che dir si voglia?

Sì e no.

L’archetipo è qualcosa di imprescindibile, ma proprio perché inevitabile va lavorato molto per far venire fuori un personaggio vivo e un minimo diverso dagli altri, e non una sagoma di cartone presa in prestito dalla memoria del genere. Ciò che consente di rendere il nostro detective archetipo il detective X, apprezzato e ricordato dai lettori, sono i dettagli. Una caratterizzazione precisa, un passato ben chiaro (almeno nei punti chiave) che ha formato il carattere del nostro detective, dei gusti ben definiti e un atteggiamento coerente (non può parlare ora forbito ora rozzo, a meno che non stia interrogando prima un nobile e poi un uomo del popolo, ecc), ma soprattutto una buona dose di conflitto, permettono di far “vivere” il nostro archetipo… pardon, detective.

Per concludere, c’è da dire che oggi si è aperta una nuova tendenza, che è quella di inserire elementi fantastici nella figura del detective, come “il Fatto” (la capacità di vedere i morti) del commissario Ricciardi, creato da Maurizio de Giovanni, o “la Danza” del commissario Serra, di Giuliano Pasini. Questa è una delle tante scelte soggettive che un romanziere può fare, ma bisogna precisare che sì, rappresenta una novità rispetto agli archetipi, ma può essere attuata solo “riscrivendo” un po’ le regole del genere, uscendo cioè dall’ambito del reale, che è il territorio naturale e storico del poliziesco di ogni colore.

Aniello Troiano



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