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I LIBRI DEGLI ALTRI n-17: Cronaca di una catastrofe non annunciata. Fabrizio Ottaviani, “La gallina”

Creato il 04 novembre 2012 da Retroguardia

I LIBRI DEGLI ALTRI n-17: Cronaca di una catastrofe non annunciata. Fabrizio Ottaviani, “La gallina”Cronaca di una catastrofe non annunciata. Fabrizio Ottaviani, La gallina, Venezia, Marsilio, 2011

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di Giuseppe Panella*

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Non usa più da tempo comprare animali vivi da tenere in casa non foss’altro che per il tempo necessario a macellarli e a farli finire in padella. Quindi l’arrivo di una vecchia dall’aspetto di mendicante che consegna una gallina viva in una distinta casa alto-borghese ha qualcosa di straniante e, in certa misura, di sottilmente perturbante.

Infatti, la gallina, una volta entrata, non se ne andrà più nonostante gli sforzi disperati e l’impegno spasmodico messo in atto per cacciarla via. Allo stesso modo, la sua permanenza nella casa avrà conseguenze disastrose non solo per la tappezzeria o i mobili di pregio che l’abbelliscono e la rendono un luogo prezioso di abitazione ma anche per i suoi abitanti. Inoltre, è difficile uccidere una gallina alla fin fine – un corpo vivo che si muove e mostra la propria vitalità in tutta una serie elementare di attività, prima fra tutte la produzione continua e puteolente di sterco animale.

Adelmo, il maggiordomo un po’ timoroso e un po’ bloccato di casa De Giorgi, non se la sente di diventare il giustiziere della gallina introdotta di frodo nell’appartamento.

Forse lo farebbe anche molto volentieri e in tempo per evitare ulteriori problemi alla famiglia la cuoca di casa, Irene, desiderosa di dimostrare la propria capacità e la propria bravura e, contemporaneamente l’ignavia inestirpabile di Adelmo, ma la ferma in tempo il diniego  di Elena, la padrona di casa, che attribuisce questo compito al maggiordomo, notoriamente il capo del personale di servizio. Ma quest’ultimo proprio non ci riesce, almeno a freddo.

La situazione degenera: la gallina imperversa nel salone della casa signorile insozzando tutto, il maggiordomo e la cuoca litigano e si contendono l’onore di servire al meglio la loro padrona (un po’ come Claire e Solange in Les Bonnes di Jean Genet) facendosi dispetti continui, la credibilità della padrona di casa crolla miserevolmente durante una riunione a casa sua disturbata dalle incursioni del minaccioso volatile, il marito della donna, Massimiliano, esige che il gallinaceo venga giustiziato al più presto.

Inoltre, la migliore amica di Elena, Carla de’ Sinfedeli (nomen omen) cospira per sottrarle la direzione della prestigiosa clinica “Sollievo Dolenti” diretta dalla signora De Giorgi da tempo immemorabile. La falsa amica convince Irene a lasciar vivere la gallina in cambio di una pronta assunzione nel momento in cui sarà licenziata (questo sarebbe avvenuto, tuttavia, non tanto per colpa del volatile quanto per via dei dissapori con Adelmo, molto considerato, quasi amato  da Elena tanto da far pensar male il marito del loro rapporto privilegiato).

Dopo aver ricevuto un deciso ultimatum (o la gallina o il suo posto di lavoro), Adelmo decide di agire e di annegare nottetempo l’animale. Ma nel frattempo si verificano altre vicende: la padrona di casa prende un sonnifero e si addormenta in maniera profonda, Irene boicotta Adelmo facendo cadere il secchio destinato all’uccisione della gallina e quest’ultimo, preso da insospettato furore, cerca di strangolarlo, Massimiliano, rientrato molto tardi da una riunione del consiglio d’amministrazione della società per cui lavoro, interviene nella mischia scazzottando il maggiordomo a sua volta graffiato al volto dalla cuoca. In tutto questo bailamme generale, la padrona di casa continua a dormire. Il marito, trovata la boccetta del sonnifero totalmente vuota, sospetta il maggiordomo di aver tentato di uccidere Elena e chiama la guardia medica. Quest’ultimo, convinto di essere un prestigioso investigatore dilettante, deduce dalla vicenda che Massimiliano, amante notturno della cuoca, ha fatto addormentare la moglie per potervisi congiungere carnalmente ma, sorpreso da Adelmo, anch’egli invaghito di Irene, è stato assalito dall’uomo geloso e furibondo. Questa versione dei fatti è smentita dal maggiordomo che giustifica la propria rabbia e furia omicida con l’assunzione di una miscela di sonnifero e rum , presi per farsi coraggio e vincere la propria ritrosia a uccidere un essere vivente.

Il risultato sicuro di tutta questa confusa e a volte agghiacciante pochade è la sopravvivenza della gallina. Quest’ultima, sempre presente e pimpante nell’appartamento, viene usata come pretesto per l’accusa (anonima ma, in realtà,  di Carla de’ Sinfedeli) di corruzione contro Elena De Giorgi.

Durante il processo-farsa che seguirà, per l’incaponimento di un pubblico ministero feroce e poco avvezzo agli intrighi della giustizia, tutti i protagonisti della vicenda saranno condannati (sia pure con la condizionale) a pene leggere ma, in certa misura, pur sempre infamanti.

Massimiliano verrà rimosso dal suo ruolo di amministratore delegato della società in cui lavora; sconvolto dalla vicenda, verrà investito da un carro funebre mentre, uscito dal grattacielo dove ha sede la sua ex-ditta, cerca un taxi per tornare a casa.

Elena si dimissionerà dalla “Sollievo Dolenti” a favore dell’infedele Carla e scomparirà alla ricerca della vecchia che le ha regalato l’infausta gallina artefice di tutto il trambusto avvenuto.

Irene rifiuterà il lavoro offertole da Carla e sposerà un suo ex-fidanzato, il chimico cui aveva chiesto un veleno adeguato a sbarazzarsi del gallinaceo (veleno che era poi stato fatto sparire dall’umanissimo Adelmo).

Adelmo, gratificato da un cospicuo vitalizio da Elena, alla fine della storia, si sposerà e avrà una bambina. Conservate le chiavi dell’appartamento dei De Giorgi, nell’Epilogo del romanzo, lo mostrerà a una coppia che vuole comprarlo. Nel salone della casa, tuttavia, troneggia ancora un cumulo di polvere e di vecchie piume: quel che è rimasto della gallina, da allora rimasta sempre presente nell’appartamento a imperituro ricordo dell’accaduto.

La gallina, primo romanzo di Fabrizio Ottaviani, è un apologo umoristico crudele e assai brillante, ispirato dai numi tutelari del c.d. “teatro dell’assurdo” di un tempo (in primis, Eugène Ionesco, cui il romanzo è fortemente debitore della lucida follia della storia narrata).

Incisivo e incalzante nello sviluppo, il racconto procede con rapida e precisa scansione delirante attraverso le tappe di una sorta di escalation della follia. La gallina, protagonista assoluta della storia, è il simbolo dell’incongruità della vita e del destino, elemento fortemente disturbatore degli equilibri della vita quotidiana e soprattutto rappresentazione vivente di quella casualità che diventa, a forza di incidenti e di accidenti fortuiti e repentini, una dimensione non revocabile della necessità.

I diversi personaggi della storia sono figurine dipinte con tocchi spesso leggeri (ma sempre ironici) in un quadro generale in cui potrebbero essere intercambiabili. Adelmo, maggiordomo mite e all’apparenza poco virile, campeggia sugli altri per via della descrizione del suo bizzarro abbigliamento e del suo modo un po’ incongruo di fare e gestire:

 

«Le ante dell’ascensore si aprirono su un pianerottolo dominato da numerosi scaffali, traboccanti di piante grasse. La vecchia notò che gli esemplari di maggiori dimensioni si fregiavano di un fiore, puzzolente e in via di appassimento, ma non ebbe il tempo di osservare meglio perché in quel momento una maniglia dorata si abbassò, una porta laccata di bianco si aprì cigolando e apparve un uomo di mezza età che le venne incontro con piccoli passi nervosi, fissando il pavimento. Si trattava certamente di un servo, si disse la vecchia. Certo la giacca grigia, le cui maniche sembravano incollate al corpo, nonché lo sgargiante foulard che gli fasciava il collo davano al tipo l’aspetto di un soldatino di piombo che avesse perso qualcosa per terra. Ma, a dispetto della tenuta, calzava mocassini di pelle nera che avevano raggiunto la morbidezza delle babbucce, come accade spesso alle scarpe dei domestici che non escono mai di casa; e comunque nelle mani stringeva un canovaccio» (p. 9).

 

Adelmo appartiene alla famiglia dei buffi la cui genealogia è stata descritta da Aldo Palazzeschi in suo famoso Palio… del 1937 ma che può risalire su fino al misterioso cappello indossato da Charles Bovary nel celebre primo capitolo del romanzo di Gustave Flaubert.

Anche gli altri personaggi, meno rilevati di Adelmo, tuttavia, sono dei “buffi” per la loro ostinazione a perseverare nell’errore e a concludere (quasi inconsapevolmente) nell’errore e nella sconfitta finale la loro vicenda narrativa. Se il volto del Destino è, allora, quello starnazzante di una anonima gallina, la vita degli esseri umani che ne dipendono è ben misera cosa se basta un suo batter d’ali e una sua escrezione puzzolente a far precipitare nel caos il meccanismo (che si supporrebbe ben oliato) del vivere civile e dei rapporti sociali (e affettivi). Nell’intreccio e nel tourbillon farsesco e sovente irresistibile delle vicende del romanzo di Ottaviani, si avverte il senso dell’ineluttabilità della catastrofe metafisica che l’umanità – da sola e senza aiuto  esterno – è in grado di auto-infliggersi per punirsi di essere quello che è.

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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)

 

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