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I LIBRI DEGLI ALTRI n.52: Nero come il fondo dell’anima. Aa. Vv. “Sinistre presenze”, a cura di Gian Filippo Pizzo e Walter Catalano

Creato il 26 agosto 2013 da Retroguardia

FANTA_1LNero come il fondo dell’anima. Aa. Vv. Sinistre presenze, a cura di Gian Filippo Pizzo e Walter Catalano, Milano, Bietti, 2013, pp. 398, euro 20,00

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di Giuseppe Panella

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In fondo non è una novità la mescolanza dei generi proposta in questa nuova antologia della benemerita coppia di curatori Gian Filippo Pizzo e Walter Catalano: mettere insieme storie dal deciso profilo horror con racconti di narrativa d’anticipazione è un’operazione che è stata tentata (spesso anche con esiti molto positivi) più volte. Ma in questa proposta antologica non si possono non notare parecchie novità non solo a livello stilistico ma anche riguardo temi e contenuti. Come ha scritto Valerio Evangelisti nella sua breve Introduzione al volume:

 

«L’horror s’innesta, dal canto proprio, nella psicologia del profondo. Fa emergere le più inveterate pulsioni individuali, quelle della morte e della sofferenza che può preludere alla morte. Nessuno è più attratto e respinto dall’evento inevitabile dei bambini, o dei vecchi. Gli uni lo guardano come un fatto remoto eppure incomprensibile, gli altri lo vedono come una certezza incombente. Il genere horror si nutre di queste paure. Da una ventina d’anni a questa parte le ha esorcizzate con una visione intermedia e a suo modo consolatoria: il genere splatter, la crudeltà immotivata del serial killer. Sono costoro che oggi assediano le fantasie del pubblico» (p. 8).

Su questa prospettiva si basa l’intelaiatura della terza raccolta messa insieme da Pizzo e Catalano (l’hanno preceduta sia Ambigue utopie del 2010 che Notturno alieno del 2011, sempre per la casa editrice Bietti). Molti dei racconti qui raccolti sono proiettati in un orizzonte temporale non tanto  lontano – il che implica la volontà di utilizzare il futuro terribile qui prospettato come riflessione e specchio del presente (come nella migliore tradizione del genere).

Nella maggior parte delle storie l’horror predomina e la sua dimensione di brivido cupo e feroce sembra avere il predominio sulla dimensione profetica che ciò che è stato narrato potrebbe assumere. Ci sono delle eccezioni, ovviamente: alcuni racconti presentano caratteri maggiormente legati alla logica del thriller mentre altri preferiscono calcare sul registro del grottesco.

Inoltre la scelta dei testi narrativi presentati non è rigorosamente legata ai canoni di uno dei generi più codificati che ci siano. Protagonisti delle vicende narrate non sono solo vampiri o zombie (tipici esponenti della cultura dell’orrore intesa in senso tradizionale da Bram Stoker in poi passando per l’originalità di Lovecraft) ma la dimensione più largamente considerabile come dark di un progetto di narrativa che non vuole solo terrorizzare i suoi lettori ma magari farli riflettere e considerare ciò che potrebbe avvenire anche nelle loro vite.

Significativa ad esempio di questa tendenza è Un caso dimenticato della Romagna toscana di Francesco Troccoli il cui nume tutelare è uno scrittore che, pur essendo sicuramente uno dei punti di riferimento del fantastico, non è certamente uno scrittore di genere e cioè Jorge Luis Borges. Nella storia della “resurrezione” del beato Elpidio di Stringilcuore (paese immaginario, ma non troppo, che forse sarebbe potuto piacere a Giovannino Guareschi) e della sua spietata repressione dell’eresia catara riproposta in età moderna si nasconde una spietata ironia che travalica i limiti delle coordinate del genere. Lo stesso accade nel racconto La melma dell’abisso, opera di Pierfrancesco Prosperi che rivisita da par suo il topos della creazione del Doppio sulla scia del classico Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mister Hyde di Stevenson, con conclusioni, tuttavia, che riecheggiano Guardando indietro di Edward Bellamy, il tutto in un clima di assoluto straniamento. Anche nella storia della Resistenza intitolata Chi la bellezza ha visto negli occhi di Stefano Carducci e Alessandro Fambrini il richiamo ai classici (in questo caso, il Jules Verne di Mathias Sandorf) è il punto di passaggio per lo sprofondamento in un mondo parallelo in cui il protagonista si trova proiettato in circostanze apparentemente del tutto diverse.

Ma accanto a queste variazioni su modelli del passato non mancano racconti di voluta provocazione politica in cui la satira si sposa con l’angoscia di un possibile futuro (Emocrazia di Alessandro Vietti) oppure l’orrore di eventi mai dimenticati come il dramma dei desaparecidos vittime della dittatura argentina si coniuga con una trama avventurosa (è il caso di Escuela de Mecánica di Franco Ricciardiello). Né mancano casi di horror legato alle istituzioni mediche come I suoni della morte di Gian Filippo Pizzo dove il demoniaco della musica è strettamente collegato a terapie di cura certamente non tradizionali. Anche Walter Catalano nel suo Le cripte del non riposo prende le mosse da un classico del Novecento come Georges Bataille e dalle sue splendide ricostruzioni dei casi criminali di Gilles de Rais e Ersébet Bàthory per raccontare una storia terribile (e purtroppo assai più quotidiana) di snuff movies e di utilizzazione dei corpi di bambini e bambine a fini di sfruttamento sessuale.

Non mancano le rievocazioni di episodi che si verificano in città nel cui sottosuolo avvengono eventi perturbanti e del tutto contrastanti con la vita che si svolge in superficie come la Belluno e soprattutto l’etrusca e magica Volterra di Se un angelo ride, un diavolo piange di Luca Ducceschi. Allo stesso modo, la stretta attualità della tragedia dei migranti morti in mare rivive nell’agghiacciante La porta degli annegati di Denise Bresci…

Quello di coniugare la paura di ciò che non è comprensibile per la ragione umana con la volontà di ricavarne una sia pur difficile e terrificante lezione per il presente era una scommessa complessa e apparentemente improbabile che questa nuova antologia di Pizzo e Catalano ha sicuramente vinto con i suoi risultati narrativi.

 

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[Leggi tutti gli articoli di Giuseppe Panella pubblicati su Retroguardia 2.0]

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I libri degli altri è il titolo di una raccolta di lettere scritte da Italo Calvino tra il 1947 e il 1980 e relative all’editing e alla pubblicazione di quei libri in catalogo presso la casa editrice Einaudi in quegli anni che furono curati da lui stesso. Si tratta di uno scambio epistolare e di un dialogo culturale che lo scrittore intraprese con un numero notevolmente alto di intellettuali e scrittori non solo italiani e che va al di là delle pure vicende editoriali dei loro libri. Per questo motivo, intitolare una nuova rubrica in questo modo non vuole essere un atto di presunzione quanto di umiltà – rappresenta la volontà di individuare e di mettere in evidenza gli aspetti di novità presenti nella narrativa italiana di questi ultimi anni in modo da cercare di comprenderne e di coglierne aspetti e figure trascurate e non sufficientemente considerate dalla critica ufficiale e da quella giornalistica corrente. Si tratta di un compito ambizioso che, però, vale forse la pena di intraprendere proprio in vista della necessità di valutare il futuro di un genere che, se non va “incoraggiato” troppo (per dirla con Alfonso Berardinelli), va sicuramente considerato elemento fondamentale per la fondazione di una nuova cultura letteraria… (G.P)

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