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I Paesà al 38° parallelo. Anche l’Italia partecipò alla Guerra di Corea

Creato il 24 maggio 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
I Paesà al 38° parallelo. Anche l’Italia partecipò alla Guerra di Corea

La Guerra di Corea è uno di quegli argomenti storici non molto conosciuti e studiati, in Italia. Ma si sa, la storia è ciclica e quello che è successo in passato periodicamente si ripresenta. Forse però nessuno poteva immaginare che questo ciclo fosse così breve e che la storia riprendesse corpo a soli cinquant’anni esatti di distanza.

Il copione non è variato di nulla. All’epoca, la Corea del Nord cercò di invadere la sorella del Sud con il proprio esercito. Era da poco terminata la Seconda Guerra Mondiale e si era agli inizi della Guerra Fredda. Non si erano ancora ricucite le ferite in Europa e in Asia dovute alla distruzione del conflitto mondiale quando la Corea del Nord provava a far paura lasciando nuovamente il mondo intero impaurito e attonito per un possibile nuovo focolaio di guerra. Eppure, era ancora molto vivo all’epoca – più di adesso – il ricordo e il risultato dell’uso indiscriminato di armi su città inermi; non si possono infliggere mali superflui e inutili crudeltà a coloro che non devono essere oggetto di ostilità, ossia i civili. All’epoca il governo di Pyongyang era satellite di Unione Sovietica e Cina, entrambe rette da governi comunisti; ora però la situazione sembra mutata: Cina e Russia non sembrano più “coprire le spalle” all’alleata, in quanto i danni – non solo economici – sarebbero incalcolabili.

Così come all’epoca la Corea del Sud, invece, era alleata con gli Stati Uniti e la coalizione di Stati che facevano parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, con l’appendice dell’Italia. Eh si. Anche l’Italia partecipò al conflitto coreano ma non con il proprio esercito bensì con la Croce Rossa. Fin dall’approvazione della missione da parte dell’O.N.U., gli Stati Uniti chiesero con vigore all’Italia di partecipare con un proprio contingente militare. Ma l’Esercito Italiano non era in grado di affrontare un nuovo conflitto, per lo più all’estero, ed alta era l’influenza del partito comunista sullo scenario nazionale, che si sarebbe certamente opposto fino all’inverosimile in Parlamento se il Presidente del Consiglio De Gasperi avesse mai autorizzato una missione internazionale del genere. Astutamente, allora, per non venir meno alla richiesta americana, De Gasperi giocò la carta della mobilitazione del personale militare della Croce Rossa Italiana ossia del Corpo Militare della C.R.I. e delle Infermiere Volontarie1 (più note come Crocerossine). Nel gennaio 1951 il Presidente De Gasperi firmò l’ordine di mobilitazione della Croce Rossa Italiana indicando che doveva essere costituito un nucleo pronto a partire per la Corea con l’obiettivo di installare un ospedale militare aperto sia al personale delle Forze Armate della coalizione sia alla popolazione locale. L’ospedale, contrassegnato dal numero 68 e agli ordini del Capitano medico Dott. Luigi Coia partì da Napoli nell’ottobre 1951 e arrivò a Pusan, in Corea, il mese successivo. Era costituito da 71 elementi tra ufficiali, sottufficiali, graduati e militari del Corpo Militare della Croce Rossa Italiana.

Una volta giunti in Corea, gli americani ispezionarono il materiale caricato a corredo della missione italiana e lo trovarono altamente inadeguato: erano state inviate tende modello prima guerra mondiale, attrezzature sanitarie già obsolete e anche il vestiario per i nostri militari era fuori luogo: divise modello coloniale a fronte di temperature che sfioravano i meno venti gradi d’inverno. Gli americani pensarono quindi a fornire i nostri militari della C.R.I. di attrezzature e mezzi utili per poter lavorare in comodità. L’ospedale fu insediato a Seul nel dicembre 1951 e fu aggregato all’Ottava Armata americana come unità medica. Era responsabile dell’assistenza sanitaria per la popolazione civile dell’area Inchon-Seul-Suwon. Nel luglio 1952 la direzione dell’ospedale passò al Maggiore medico Dott. Fabio Pennacchi. La missione italiana durò quattro anni, in cui furono realizzate duecentotrenta prestazioni ambulatorie, 3.297 interventi chirurgici, 131.513 giornate di degenza e furono ricoverati 7.041 pazienti2. A dire il vero, il Presidente De Gasperi offrì la possibilità di realizzare un analogo invio ospedaliero anche alla Corea del Nord, che però respinse l’invito italiano.

Gli italiani si fecero riconoscere per la loro grande umanità e vicinanza in special modo dalle popolazioni locali. L’importanza del contributo italiano fu riconosciuto ufficialmente dal Generale Clark, Comandante in Capo delle forze delle Nazioni Unite in Corea, e dall’allora presidente della Corea del Sud Syngman Rhee che tributò un Encomio Presidenziale all’Ospedale ed una medaglia all’Ordine del Merito Militare con Stella d’Oro al Maggiore Med. Prof. Dott. Fabio Pennacchi3. Ogni anno realizzano una grande manifestazione a ricordo del lavoro dei nostri militari, come segno di ringraziamento. In quattro anni di permanenza molteplici furono gli interventi e gli aneddoti riconducibili ai nostri militari4, raccolti in un saggio storico dal titolo Gli italiani nella guerra di Corea. La storia sconosciuta della partecipazione dell’Italia alla guerra coreana 1951-54 di M. Cannonero e M. Pianese, edito dalla Fuoco Edizioni di Roma nel 2012.

Da sottolineare che l’Armistizio che fu siglato dalle due parti in guerra il 27 luglio 1953 vedeva anche la firma del Magg. Fabio Pennacchi, – Comandante dell’Ospedale da guerra n. 68 della Croce Rossa Italiana – il quale fu investito, dal Governo Italiano, dei pieni poteri per firmarlo a nome dell’Italia. Tengo a ricordare che la spedizione in Corea ha segnato per l’Italia la prima partecipazione a una missione militare di pace all’estero dell’era repubblicana. Proprio poco dopo al ritorno in patria dei nostri militari, l’Italia fu ammessa nel consesso delle Nazioni Unite. Di certo non si può dire che fu merito solo di questa missione ma, certamente, l’aver partecipato ha facilitato il tutto. Ancora oggi, la notizia della nostra partecipazione non è inserita nei libri di scuola e pertanto insegnata, ma è praticamente sconosciuta anche alla maggior parte della popolazione; eppure si tratta di una vicenda molto importante per le relazioni internazionali del nostro Paese che, certamente, andrebbe valorizzata.


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