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I professori che cercano di fermare le riforme

Creato il 14 aprile 2014 da Keynesblog @keynesblog

“Io temo che in questi trent’anni le continue prese di posizione dei Professori abbiano bloccato un processo di riforma oggi non più rinviabile per il Paese” (Maria Elena Boschi, ministro delle riforme)

Il ministro Boschi è troppo ottimista. Ci sono Professori che cercano di bloccare le riforme da molto più tempo, oltre 80 anni. Ne abbiamo scelti due tra i più inguaribili conservatori, John Maynard Keynes e Michal Kalecki.

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“Una riduzione dei salari monetari ha la tendenza diretta, a parità di altri fattori, ad aumentare l’occupazione?

… abbiamo dimostrato che il volume dell’occupazione è correlato univocamente con il volume della domanda effettiva, misurata in unità-salario, e che la domanda effettiva, essendo la somma del consumo atteso e dell’investimento atteso, non può cambiare se la propensione al consumo, la scheda dell’efficienza marginale del capitale e il tasso di interesse sono tutti invariati. Se, senza alcun cambiamento di questi fattori, gli imprenditori dovessero aumentare l’occupazione nel suo complesso, i loro ricavi saranno necessariamente inferiori al loro prezzo d’offerta…

Non vi è, quindi, alcun motivo per credere che una politica salariale flessibile sia in grado di mantenere uno stato di continua piena occupazione, né di credere che una politica monetaria di mercato aperto sia in grado, senza aiuto, di raggiungere questo risultato. Il sistema economico non può essere reso capace di autoregolarsi lungo queste linee.”

– John Maynard Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, 1936. 

 

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“Abbiamo cercato di dimostrare che in un sistema chiuso la riduzione dei salari non comporta un aumento della produzione, che in regime di concorrenza perfetta il livello della produzione rimane inalterato mentre i prezzi diminuiscono nella stessa proporzione dei salari; tuttavia in regime di monopolio o di concorrenza imperfetta una riduzione dei salari monetari tende a generare una diminuzione dei salari reali connessa con una contrazione dell’occupazione. (…) L’analisi del problema in caso di mercato aperto dimostra che anche in tal caso la riduzione dei salari non comporta necessariamente un incremento dell’occupazione, e che le possibilità di aumentare il reddito reale complessivo della classe operaia sono ancora più incerte. La frase ‘Salari rigidi come causa della disoccupazione’ (…) si dimostra assolutamente infondata alla luce dell’analisi precedente. Egualmente disperato è il caso dei sostenitori di questo principio, i quali predicano che la contrattazione collettiva è la causa della disoccupazione e della povertà della classe operaia perché rende i salari ‘rigidi’”

– Michal Kalecki, Studi sulla teoria dei cicli economici, Milano: Il Saggiatore, 1972, p.112

(ringraziamo Joseph Hallevi per la segnalazione della citazione di Kalecki)

 


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