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I saw the Devil

Creato il 09 agosto 2015 da Jeanjacques
I saw the Devil
La mia passione per il cinema orientale non è assoluta - come specifico sempre, non sono esperto in nulla e se ho aperto un blog è più per imparare dai commenti degli utenti - ma diciamo che ogni tanto qualche film pieno di protagonisti con gli occhi a mandorla devo proprio gustarmelo per poter scappare alla marea di assoluta mediocrità alla quale noi occidentali sembriamo pericolosamente affezionati. Non me ne vogliano i cultori del cinema occidentale, ma sinceramente credo che per ottenere qualcosa di nuovo ormai sia necessario cercare un artista che abbia un modo di vedere la vita e il vissuto quotidiano in maniera totalmente diversa dalla nostra, quindi cosa chiedere di meglio di un cineasta che viene proprio dal capo opposto del mondo? L’oriente, con la sua filosofia e il suo spiritualismo, riesce a reggere in maniera tutt’altro che pesante e noiosa temi che possono risultare davvero ostici il narratore medio, cosa che ha permesso a questo popolo di realizzare (in mezzo a molte immancabili schifezze, come accade sempre) dei veri e propri capolavori. Capolavori forse resi tali proprio per quella loro visione tutta personale e a noi quasi inedita di vedere il mondo, perché il bello dell'arte 'estera' è proprio quando ti fa conoscere meglio una cultura e la filosofia ad essa legata. Non c’è da stupirsi quindi se ho smosso mari e monti per ottenere questo I saw the Devil, qui da noi nel Bel Paese ancora inedito.
C’è un feroce killer di giovani donne, che violenta e squarta le proprie vittime prima di darsi alla ricerca dell’ennesima preda. Un giorno però gli capita di far fuori figlia del capo della polizia e fidanzata di uno dei suoi sottoposti, giovane ed efficiente agente investigativo. Quest’ultimo sembra reagire positivamente alla morte della fidanzata, chiedendo al proprio capo solo due settimane di riposo... in realtà sta architettando un feroce piano di vendetta dalle conseguenze estreme e inenarrabili.
«Non bisogna trasformarsi in un mostro per catturare un altro mostro», dice uno dei personaggi al machiavellico protagonista a un certo punto della pellicola, e tale frase diventa il fulcro che solleva tutti gli interrogativi che seguiranno - anche se non a tutti verrà data un'adeguata risposta, è il caso di dire. Il tema della vendetta è ripreso ancora una volta dopo il fenomenale trittico di Park Chan-Wook [e guarda caso, si rivede la partecipazione dell'attore-feticcio del regista, il grande Choi Min-sik già visto in Old boy e Lady vendetta, un tizio che sa bucare lo schermo come solo a pochi altri riesce] ma, nonostante la voglia di mettersi alla prova sia molta, non si riesce a raggiungere la perfetta alchimia di narrazione e filosofia raggiunta dall’altro cineasta sudcoreano. Il che non è necessariamente un male, poiché questa pellicola vola davvero molto in alto e offre numerosi momenti d’antologia filmica davvero sensazionali - senza contare che deve vedersela con un avversario molto ostico che sul medesimo tema aveva davvero dato il meglio che si poteva fare. Primo fra tutti possiamo citare quindi la messa in scena davvero calibrata e capace [e ’sticazzi, è un film coreano], che senza agghindarsi di molti sfronzoli o di immagini modificate riesce a sfruttare al massimo quello che è il semplice poggiare la macchina da presa nei posti più efficaci, effettuando così un gioco di regia, fotografia e montaggio davvero sensazionale che conferisce alla storia quell’input capace di farla partire a tutta birra fin dai primissimi minuti. Saggio anche l’uso della violenza, che certi potranno davvero trovare gratuita in alcuni momenti, ma forse necessaria per ricreare una certa atmosfera satura e malata, pur attenendosi a un minimo realismo, ricercando a tratti anche quel gusto per l’eccesso a tutti i costi che riesce a bilanciare una trama così sgangherata che con un supporto visivo più vicino alla realtà sarebbe decisamente caduta nel ridicolo involontario. Ma soprattutto, a mio parere, si tratta di una violenza che non cade mai nel gratuito, che deve sempre creare un qualcosa, che sia un’analogia o una semplice atmosfera. La pecca maggiore dell’insieme forse è data dai dialoghi, davvero approssimativi e mai del tutto soddisfacenti, ma il tutto è compensato da dei lunghi momenti di silenzio dove a farla da padrone sono le bellissime inquadrature del regista Kim Jee-woon, che ancora una volta conferma il suo raffinato gusto visivo e registico, riuscendo a farsi valere sia sul versante più action che su quello più drammatico. Forse ad alcuni non potrà piacere una trama così irreale, e non tutti i tasselli andranno al posto giusto (non risulta molto credibile al cento per cento come faccia il protagonista a identificare l’assassino, così come ancora non mi spiego come a un tratto fondamentale nessuno cerchi di arrestarlo dopo aver ucciso gente a raffica all’infuori del proprio servizio) ma non me la sento di bocciare per questo una trama così ben congegnata che verte su due personaggi talmente monolitici, soprattutto se a lungo andare l’estro narrativo è tale da impedire di staccare gli occhi dallo schermo. Infatti guardando questo film mi sono dimenticato del tempo che passava, e quindi mi son messo tardi per fare il pranzo a mia madre che tornava dal lavoro, beccandomi una sgridata. Cattivo film coreano, cattivo! Non me la sento di bollarlo come un capolavoro – come già fanno alcuni cultori – ma anche il sottovalutarlo sarebbe un atto davvero gravoso. Si tratta senza dubbio di un film con le palle, pur con delle pecche che però rimangono immancabili in ogni opera. Ma che, se non altro, ci mette davanti alla cruda verità: quando si vede negli occhi il diavolo, chi può assicurarci di non essere diventati in parte demoni?

Forse la passione nel narrare supera quella che è la logica narrativa necessaria, e lungo il percorso perde molto del potenziale di partenza, ma raramente ho trovato opere così coinvolgenti e malate. Consigliato, ma solo agli stomaci forti.Voto: ★★

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