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Potrei iniziare così: "5...4...3...2...1 - e non succede niente. Il geyser di storruk, per quanto affidabile ('i turisti devono raramente aspettare più di sei minuti per vederne il potente getto che si eleva fino a 15-30 metri di altezza') è imprevedibile. È difficile capire quando sta per riservarti una scomoda ed estenuante attesa o quando sta per esplodere di poderosa bellezza, senza preavviso. Un po' come questa grossa isola costellata di ghiacciai e cascate, persa nel mezzo del mar glaciale artico."
Troppi aggettivi, come al solito, ma potrebbe andare. Poi vorrei che ci fosse una breve spiegazione di cosa è un geyser. Ma qui potrei rifarmi alla lonely planet: "I geyser si formano quando l'acqua riscaldata dall'energia geotermica rimane intrappolata nelle fenditure del terreno. L'acqua in superficie si raffredda, mentre quella sotterranea si surriscalda, si trasforma in vapore ed infine esplode scagliando in aria l'acqua più fredda che sta sopra". Chiaro e conciso.
Questa cosa dell'imprevedibilità è qualcosa da prendere molto sul serio quando si passano due settimane con lo zaino in spalla in un posto dove latita quasi ogni punto di riferimento. Viene facile intuirla quando si ha a che fare con il tempo atmosferico: la tipica giornata del viaggiatore a queste latitudini comincia la mattina quando ti svegli sudato nel sacco a pelo pesante dentro una tenda infuocata dal sole, metti i pantaloni corti sulla fiducia, e dopo un paio d'ore ti ritrovi perso in una fitta nebbia a chiederti perché non hai portato l'ennesimo maglione di lana pesante. Sarà che le giornate sono lunghe 20 ore, ma nell'arco di un paio di date del calendario si passano in rassegna tutte le animazioni dei programmi di meteo in TV. "Covered sunny" è la risposta ufficiale dei locals ai nostri interrogativi smarriti. Democristiano! Per fortuna ci è mancata la neve, ma mancano ancora un paio d'ore, meglio non parlare ad alta voce.
L'Islanda, poi, è imprevedibile in molti altri modi. Talvolta, dal finestrino delle macchine, il paesaggio si è fatto monotono, tanto da permettersi di chiudere gli occhi un istante, solo un istant....Due curve e si ritorna improvvisamente davanti a colline verdi con pecore che brucano, sull'orlo di scogliere a picco sul mare, la cima delle montagne imbiancata da una manciata di neve e dalle nuvole basse, l'ennesimo paesaggio francamente impossibile da non fotografare, e addio pisolino.Per non parlare della luce solare. Qualcuno ha mai capito a che ora tramonta e a che ora sorge il sole? O meglio: qualcuno sa davvero distinguere sunset e sunrise in questo luogo dove a mezzanotte si gira con gli occhiali da sole? Qui persino le certezze da scuola elementare per cui il sole sorge a est e tramonta dall'altra parte vacillano.L'Islanda è imprevedibile anche nelle chiacchiere davanti a un caffè dei suoi gentilissimi abitanti, tipicamente ragazzi di 20-30 anni, svegli e acculturatissimi, perfect english speakers ma con 2 figli a carico (e uno in arrivo) che rispondono "of course i wanna stay here" quando un po' titubanti chiediamo loro se non pensano mai di emigrare da questi sperduti paesini avvolti dalla neve e dalle tenebre per molti mesi all'anno.
L'Islanda è una montagna difficile da scalare, un film che proiettano solo in un piccolo cinema fuori città, una ragazza che sembra impossibile conquistare, un maglione caldissimo che costa troppo, la notte in rifugio con la puzza di piedi a due metri dal ghiacciaio più grande della terra. Davanti al geyser, dopo qualche minuto di inattività, si può andare via un po' delusi per chiudersi in un bar con un caffè caldo, o rimanere lì, sulla collina, nonostante il vento gelido che ti frusta sulla schiena, con le dita gelate intorno alla macchina fotografica pronte allo scatto.Perché il bello dell'Islanda è che, tutto sommato, è la cosa più prevedibile del mondo, perché te la fa penare, eccome se te la fa penare, ma alla fine puoi starne certo, esplode. E quando esplode... Beh, quando esplode...
Potrei scrivere così. Una prima stesura niente affatto male. Una volta arrivato dovrei giusto darle una spolverata, penso mentre le ruote dell'aereo toccano l'asfalto un po' sciolto dell'aeroporto di Milano.
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