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Identità e identificazione

Creato il 03 ottobre 2010 da Gadilu

Identità e identificazione

di Francesco Palermo

Le tensioni identitarie sono una costante del nostro sistema autonomistico. Con una certa regolarità affiorano e si nascondono, come un fiume carsico, ma sono sempre lì, come un ingrediente imprescindibile di una elaborata pietanza. Che per alcuni sarebbe più gustosa senza quell’ingrediente, mentre per altri ne servirebbe di più per accentuare il sapore.

Forse conviene cercare di riflettere a mente fredda sui fattori di identificazione con questa autonomia, e sulle differenze di percezione. In entrambi i principali gruppi linguistici della Provincia – chiamiamoli così per comodità e per definizione statutaria, pur con tutte le approssimazioni del caso, data l’intrinseca eterogeneità di un “gruppo” identificato in base ad un solo criterio (la lingua o la “etnia”) trascurando tutti gli altri – si stanno registrando profondi cambi di prospettiva, ancora poco analizzati.

Tra gli italiani è sempre più palese una certa schizofrenia di gruppo: il consenso nei confronti dell’autonomia per come è, con i suoi pregi e i suoi difetti, è in forte crescita. La volontà di integrazione è fortissima, come emerge dalle pressanti richieste di luoghi di aggregazione, di più bilinguismo, di scuole miste, non a caso chieste sia da destra che da sinistra. Parimenti, cresce la frustrazione per non vedere ricompensati gli sforzi di avvicinamento all’altro gruppo: si resta fuori dal potere, le condizioni socio-economiche disaggregate per gruppi linguistici mostrano una netta gerarchia tra gli stessi, vengono continuamente rinfacciate la colpa storica del fascismo e la presenza tollerata ma non paritaria sul territorio. Nel contempo, la migrazione da altre regioni d’Italia è in costante crescita da diversi anni. Gli italiani si arrabbiano, reclamano più rispetto, ma nel contempo vogliono vivere qui a tutti i costi. Un paradosso? No, perché l’identificazione degli italiani con questa terra è legata principalmente ai servizi, alla qualità della vita, alla salute complessiva della società come luogo dove poter comunque sviluppare la propria personalità e crescere i figli.

Nel gruppo linguistico tedesco la situazione è opposta. Pur essendo maggioranza dominante in tutti i settori, non solo politico ed economico ma sempre più chiaramente anche nella implicita “gerarchia etnica”, resta forte il complesso di minoranza. Pur con l’aumento del benessere, della cultura, delle opportunità di viaggiare, la cultura dell’elite urbano-borghese, che si muove con piacere da una cultura all’altra, è recessiva. Se fino a qualche anno fa era “chic” poter essere “anche” italiani, quasi con un senso di superiorità rispetto ai nord-tirolesi che erano “solo” austriaci, oggi paradossalmente l’appartenenza all’Italia viene vista con crescente disagio. E questo soprattutto per la situazione n cui l’Italia è precipitata negli ultimi anni: la perdita di ogni prestigio internazionale ha promosso nelle minoranze alloglotte un senso di vergogna. Inoltre, l’identificazione del gruppo tedesco col territorio non è primariamente legata alla qualità dei servizi come per il gruppo italiano, ma è di tipo possessorio. Non si fa un confronto tra i buoni servizi di qui e quelli disastrosi del resto d’Italia (come fanno gli italiani), ma si dà per scontato che i servizi siano come sono – analoghi a quelli offerti in Austria – e si vedono gli aspetti negativi della perdita di prestigio legata al passaporto italiano.

Il problema di fondo resta tuttavia lo stesso: scarsa percezione dei problemi e persino delle psicosi dell’altro. Non è mancanza di comunicazione, perché quella c’è – forse insufficiente, ma molto più di un tempo. E’ mancanza di attenzione e sensibilità. Oggi i media in lingua italiana guardano in modo crescente a ciò che accade nel gruppo tedesco (riflettendo la domanda di integrazione dei loro utenti), ma raramente riflettono le relative sensibilità. I media in lingua tedesca assomigliano invece sempre più a quelli austriaci. Le notizie non solo dall’Austria ma persino dalla Germania sono in costante aumento (dalla politica allo sport), l’immagine anche grafica dei giornali e il look dei presentatori televisivi è molto più vicina ai corrispondenti media austriaci di quanto lo fosse alcuni anni fa.

Il gruppo italiano accresce il proprio strabismo vedendo con un occhio la propria condizione di inferiorità, e con l’altro i servizi e la qualità della vita confrontandoli con la situazione dei parenti a sud di Salorno. Il gruppo tedesco per contro aumenta l’unidirezionalità dello sguardo, e nonostante le maggiori opportunità è meno pluriculturale di un tempo. Quando Durnwalder parla agli “italiani” parla di Bolzano capitale europea della cultura insieme al Nord-Est, quando parla ai “tedeschi” dice basta alla Vetta d’Italia.

Se si ritiene che questo sia un problema, occorre parlare di più dei “complessi” dell’altro. Agli italiani va spiegato, ad esempio, perché la toponomastica bilingue, che a loro pare un’ovvietà, è così problematica per gli altri, e al gruppo tedesco va fatto capire che “gli italiani” non sono una massa indistinta, e che soffrono ad essere marginalizzati, anche più quando ciò accade involontariamente, per semplice indifferenza.

Parlare meno e in modo diverso dei problemi di gruppo e cercare di vedere la prospettiva del governo di un territorio che riguarda tutti potrebbe essere un primo passo. Se si decide di mantenere sette ospedali o di accorpare alcuni servizi, occorre consapevolezza del fatto che questo è letto in modo diverso nei due gruppi linguistici. Idem con l’aeroporto, con la democrazia diretta e con tante altre cose. Porsi sempre la domanda di come la vede l’altro potrebbe essere un buon esercizio da fare tutti. Magari pensando non solo ai gruppi principali ma anche ai ladini e ai diversi gruppi immigrati. Una piccola ginnastica mentale che potrebbe fare molto più di tanti proclami.

Pubblicato col titolo I “complessi” degli altri, in Alto Adige, 3 ottobre 2010



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