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Il calcio italiano è a pezzi, ma cosa si può fare?

Creato il 25 giugno 2014 da Simo785

A cura di Alessandro Bassi

MONDIALI 2014 – “IL GIORNO DOPO”

Un'immagine della pessima partita dell'Italia contro Costarica

Un’immagine della pessima partita dell’Italia contro Costarica

Lo specchio del calcio italiano ci ha restituito un’immagine oscura. Per il secondo mondiale consecutivo la nazionale è eliminata al primo turno. Come nel 2010, peggio del 2010. In mezzo, una finale – persa contro la Spagna – all’Europeo. E tante chiacchiere. Tante promesse di riforma di un calcio italiano che non funziona più. A livello di Nazionali e tanto più a livello di club. Tre coppe europee vinte dal 2000 dicono, senza appello, che la gestione politica del calcio italiano è stata un fallimento. Il calcio italiano non è competitivo, non è divertente, non è sicuro.

Ci sarebbe da procedere con riforme in ogni settore del calcio nostrano, ma pare che nessuno ne abbia la forza e, soprattutto, la voglia concreta. La Federazione ostaggio di una Lega formata da dirigenti che a loro volta sono ostaggi della loro mediocrità. Mediocrità che si manifesta nella gestione delle società, nella gestione dei rapporti con il tifo organizzato. Per non parlare del legame mortifero instaurato con le televisioni, le vere proprietarie del calcio italiano. Chiaro che in un quadro così, non sorprende il dato relativo ai compensi degli Agenti F.I.F.A., che qua da noi possono divertirsi con il loro gioco preferito, il gioco del Parametro Zero, sorta di nuovo gioco dell’oca. Dove la figura dell’oca la fanno le società e i loro dirigenti.

In un quadro così devastante ci sarebbe da tirare lo sciacquone e spalancare le finestre, e allora proviamo a farlo.

 

1.Chiusura delle frontiere

Nell’ultima stagione, quella 2013-14, il 53% dei giocatori tesserati dalle 20 squadre di serie A non era italiano. È un trend in costante crescita. I motivi sono facili da intuire: costano meno sia di ingaggio, sia di “tesseramento” tout court, indennità di formazione compresa. In poche parole, costa meno pescare un giovane calciatore in Colombia piuttosto che in Francia o in Italia. Il fatto non sarebbe negativo in sé, se non comportasse una diminuzione di spazi disponibili per i giovani italiani. Meno spazio per i giovani italiani significa meno possibilità di scelta per la Nazionale maggiore, per dirla senza tanti giri di parole. Per stare sull’attualità, quante squadre, nell’ultimo campionato di serie A, avevano un terzino sinistro italiano di ruolo titolare? Non solo. L’inflazione di calciatori stranieri porta a “bruciare” troppo presto i nostri giovani, ai quali vengono concesse sempre meno possibilità di giocare e di sbagliare. La lista sarebbe tristemente lunga, basta citare i casi Verratti e Caldirola, che dalla serie B italiana sono finiti a Parigi e Brema, non proprio campionati di periferia.

Mi si obietterà sicuramente che nell’ultima stagione sono ritornati in Italia i grandi Top Player stranieri. Premesso che già il termine “Top Player” è ridicola, nel merito dissento. Vero che sono arrivati Higuain, Tevez, Kakà e Gomez, però sono tutti giocatori che avevano “bisogno” di venire in Italia per se stessi, non tanto attirati dal campionato. Mi spiego meglio. Tutti e tre avevano una forte motivazione a lasciare il loro precedente posto per rimettersi in gioco e un campionato mediocre come quello italiano poteva fare al caso loro, per metterli in vetrina agli occhi dei c.t. delle rispettive nazionali in vista delle convocazioni per i mondiali. Nessun giocatore straniero nel pieno della sua condizione è venuto in Italia. E non verrà per tanti altri anni.

E allora cosa si propone? La chiusura delle frontiere già a partire dalla stagione 2015-16. Precisazione forse superflua, ma necessaria: si intende chiusura verso i calciatori extra UE. Sia a livello professionistico, sia a livello di Primavera. Leggere la composizione delle rose delle squadre Primavera dell’ultimo torneo fa riflettere molto, e i pensieri che sorgono non sono certo sereni e improntati all’ottimismo.

 

2.Riforma della F.I.G.C. e della Lega Serie A

Occorre riformare profondamente il massimo organo del calcio italiano, così come occorre riformare i rapporti che sottendono tra F.I.G.C. e Lega Serie A. questa classe dirigente ha dimostrato, con i fatti e i risultati, di essere inadeguata nella gestione politica del calcio. Troppi i poteri (auto)concessi alla Lega. Nessuno più ricorda quando la Lega si è riunita per discutere di un tema che non fosse la spartizione dei diritti TV. È ora, semplicemente, di dire basta. È ora che si capisca che il calcio italiano non può essere lasciato in mano a Sky e Mediaset. Perchè adesso, di fatto, è così. L’argomento è talmente attuale che non servirebbero altre parole, ma come vado ripetendo da anni, là dove non arrivano i soldi delle TV il calcio muore. Non lo dico solo io, lo dicono i vari Report della Feracalcio. Questo significa che la Federazione ha fallito nella gestione. Il Commissariamento del 2006 poteva essere il primo passo per una riforma organica, ma al netto di uno scudetto assegnato in fretta e furia, non si registra attività di rilievo, di spessore. Di prospettiva.

E allora è giunto il momento che se la Lega non è in grado di riformarsi da sé, lo faccia una riformata Federazione, assumendosi in prima persona la gestione e l’organizzazione del principale torneo calcistico nazionale. Il calcio è in stato di emergenza nazionale, perciò venga gestita l’emergenza e venga finalmente tracciata una linea politica di ampio respiro sul medio-lungo periodo, che preveda la costruzione di stadi di proprietà, di centri tecnici giovanili e di musei dedicati alla ricostruzione del patrimonio culturale calcistico; che affronti seriamente il tema della  sicurezza negli stadi e il tema del rapporto con le televisioni, con la riduzione, progressiva ma drastica, delle partite diffuse in diretta, diversificando davvero le voci relative agli introiti per le società. Il tutto finalizzato a far ritornare il pubblico allo stadio. A quel punto, la Serie A potrà essere ridata in gestione alle sue società.

 

3.Riforma dei campionati

Tutto ciò non basta. Occorre conferire competitività al campionato. Abbiamo ancora negli occhi la pochezza tecnica delle ultime 5 squadre dell’appena concluso torneo di serie A (per tacere, comunque, delle squadre classificatesi appena sopra). Venti squadre non solo non portano spessore tecnico e qualità al torneo, ma intasano un calendario già di suo fitto di impegni. Ridurre a 16 il numero di squadre e introducendo un meccanismo, come vedremo, rivoluzionario permetterebbe non soltanto di ridare interesse al torneo, non soltanto di rendere più competitivo e più allenante il campionato, ma permetterebbe anche di trovare il tempo per organizzare quei raduni per le nazionali (notare il plurale, grazie) che invano Prandelli ha domandato in questi anni.

Questa la proposta di ristrutturazione dei campionati, così come la intendo e come ne discuto ormai da anni.

 

SERIE A

16 squadre

La prima classificata vince il campionato ed è qualificata d’ufficio alla Champions League; dalla seconda alla nona classificata si giocano i play off per determinare chi debba partecipare alla Champions League e alla Europe League.

La sedicesima classificata retrocede direttamente in serie B; dodicesima, tredicesima, quattordicesima e quindicesima giocano i play out: le due perdenti retrocedono in serie B

 

SERIE B

28 squadre divise in due gironi da 14 squadre ciascuno. Rose bloccate a 22 giocatori.

La prima di ogni girone viene promossa direttamente in serie A; le squadre classificate dalla seconda alla quinta posizione di ogni girone giocano play off incrociati per determinare le restanti due promozioni in serie A.

Le squadre classificata alla quattordicesima posizione in entrambi i gironi retrocedono direttamente in Lega Pro; le squadre classificate dalla decima alla tredicesima posizione di entrambi i gironi giocano i play out: chi perde retrocede in Lega Pro, in modo tale da avere tre retrocessioni per girone.

 

LEGA PRO

48 squadre divise in tre gironi da 16 squadre ciascuno

Lega aperta sia a squadre professionistiche che a squadre semi-professionistiche.

La prima di ogni girone viene promossa direttamente in serie B; dalla seconda alla quinta di ogni girone giocano i play off: chi vince viene promosso in serie B

Le ultime di ciascun girone retrocedono in serie D; dalla tredicesima alla quindicesima di ogni girone giocano i Play out: le perdenti retrocedono in serie D


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