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di Paolo Virzì (Italia, 2014)
con Fabrizio Gifuni, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Matilde Gioli, Guglielmo Pinelli, Luigi Lo Cascio, Bebo Storti, Gigio Alberti
durata: 98 min.
★★★★☆
Il capitale umano è il risultato di una formula matematica con cui le assicurazioni quantificano il valore economico di una persona defunta. Un algoritmo freddo, spietato come l'universo di mostri che Paolo Virzì racconta nel suo ultimo film che, lo diciamo subito, è di gran lunga il più bello della sua carriera. Siamo nell'opulenta e gelida Brianza, luogo-simbolo di un paese divorato dall'avidità e dalla crisi, ma è bene specificare che potremmo essere ovunque (perfino nel Connecticut, dove è ambientato il romanzo originale di Stephen Amidon, a cui è ispirato il film). Questo tanto per mettere a tacere le squallide speculazioni di bassa lega (scritto volutamente in minuscolo, chi vuol capire capisca) delle ultime ore... e chiudiamola qui.
Parliamo invece del film, che come dicevamo è bellissimo e coraggioso: l'architettura è quella del noir, l'antefatto su cui viene costruita la trama è un banale incidente d'auto nel quale muore investito un ciclista. Il gioco d'incastri ideato da Virzì invece ricorda molto Rapina a mano armata di Kubrick, ovvero la stessa storia non raccontata nell'ordine temporale degli eventi ma destrutturata a seconda del punto di vista dei protagonisti (e qui bisogna fare un bell'applauso agli sceneggiatori del film, il 'fido' Francesco Bruni e il collega Francesco Piccolo che hanno scritto una trama a prova di bomba, il cui intricato intreccio viene svelato solo alla fine, con più di un colpo di scena).
Ma aldilà dell'aspetto stilistico, Il capitale umano ci è piaciuto soprattutto perchè descrive in maniera perfetta (davvero, senza esagerare) il decadimento sociale e culturale di quest'Italietta da quattro soldi, nella fattispecie i risparmi di una vita che l'ingenuo e sprovveduto agente immobiliare Dino Ossola decide di investire in una sciagurata operazione finanziaria in cui è stato trascinato dal suo nuovo 'amico' Giovanni Bernaschi, spregiudicato e potente squalo della finanza il cui figlio viziato e decerebrato flirta con la giovane figlia di Ossola... Assoldato casualmente per una stupida partita a tennis, lo squattrinato immobiliarista s'illude di essere entrato in un giro di amicizie potenti, che ovviamente lo trascineranno sull'orlo del baratro. A complicare le cose ci si mette poi l'incidente d'auto di cui sopra, dal quale i due rispettivi rampolli non sono esattamente estranei...
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Un ritratto agghiacciante dunque di un paese piccolo piccolo, dove non ci si arricchisce più col lavoro bensì con le speculazioni finanziarie, quasi sempre a discapito della povera gente ("avete scommesso sulla rovina di questo paese e avete vinto", osserva sarcastica la frustrata moglie di Bernaschi), dove gli imprenditori onesti s'indebitano fino al collo col miraggio dei soldi facili, dove non esiste più la minima solidarietà sociale, dove la furbizia e l'inganno diventano valori fondanti della ricchezza. Un paese dove non esistono più i buoni e i cattivi, esattamente come i personaggi del film: ognuno di essi ha il suo 'lato oscuro', anche i più insospettabili... non c'è infatti una sola figura completamente positiva: lo stesso Ossola, brianzolo simpatico e caciarone cresciuto col culto del lavoro e della fatica, non esita ad arrampicarsi sull'altare del profitto a tutti costi. La signora Bernaschi dal canto suo, ingenua e sfasata, s'impegna lodevolmente a ristrutturare l'unico teatro del paese (seppur coi soldi sporchi del marito) ma lo fa più per vincere la noia personale che per spirito progressista. I due ragazzi protagonisti (anzi, tre) sono esempi viventi di superficialità e incoscienza.
Paolo Virzì abbandona finalmente la melensaggine e l'ironia telefonata delle sue ultime commedie e dirige un film durissimo, cinico, e veramente molto, molto coraggioso (e che attendiamo curiosi - e speranzosi - alla prova del botteghino). E che arriva vicino al capolavoro: peccato solo per l'eccessiva caricaturalità dei due protagonisti principali, interpretati da Bentivoglio e Gifuni, un po' eccessivi nel loro macchiettismo. Bravissimi invece i giovani attori e i personaggi secondari, a cominciare dal poliziotto burbero e diffidente che ha il volto di Bebo Storti fino al pungente cameo di Luigi Lo Cascio. Un bel film italiano che ci riporta all'epoca d'oro del nostro cinema d'impegno degli anni '60 e '70, e che fin da ora ci permettiamo di suggerire come candidato ideale per concorrere al prossimo oscar per il film straniero. Manca un anno, ma noi mettiamo le mani avanti. Con vero piacere...