Magazine Cultura

“Il cimitero dei pianoforti” – José Luís Peixoto

Creato il 26 ottobre 2012 da Temperamente

“Il cimitero dei pianoforti” – José Luís Peixoto

Nel «tentativo dissennato di definire a un amico una parola indefinibile», Antonio Tabucchi scrisse una lettera a Remo Ceserani in cui ripercorreva le origini storico-culturali, le possibili etimologie, i tentativi di traduzione della parola Saudade. In italiano, la traduzione più comune del termine è nostalgia, parola che tuttavia, dice il grande lusitanista, è troppo giovane per definire un concetto antico come quello di saudade (potremmo usare il dantesco desío, in maniera più appropriata), ed è troppo specifica per un sentimento così complesso, che più che semplice nostalgia è compendio delle forme più varie in cui essa può manifestarsi. È, in definitiva, un sentimento solo portoghese, quasi una «categoria dello spirito» di cui i lusitani hanno l’esclusiva: da qui, la sostanziale intraducibilità del termine; dice Pessoa che «la Saudade è una cosa che solo i portoghesi hanno perché hanno una parola per dire che ce l’hanno».

‘Saudade’, in effetti, è stata la prima parola che mi è venuta in mente dopo aver chiuso definitivamente Il cimitero dei pianoforti.

Un padre, che muore nell’incipit del romanzo, ripercorre la sua vita, fatta, come tutte le vite, di gioie e dolori, illuminata dalla passione e dall’amore, funestata dall’alcol. Un figlio, Francisco Lázaro, maratoneta portoghese (realmente esistito), fa lo stesso: mentre corre la maratona alle Olimpiadi di Stoccolma (1912), momenti passati e pensieri sul presente si alternano in un flusso di coscienza che si arresterà al trentesimo chilometro, quando Francisco morirà stroncato da un’insolazione (verità storica, ma bisogna precisare che il romanzo non è la biografia del maratoneta; semplicemente, uno dei personaggi è liberamente ispirato alla sua vita). Si tratta, in definitiva, di una breve saga famigliare, in cui due generazioni si raccontano con le voci dei loro due rappresentanti, entrambi morti, ma ancora fortemente legati ai vivi e con essi interagenti attraverso sentimenti del tutto umani, di rimorso per il padre, di attesa per il figlio. Sentimenti su cui la morte ha avuto azione amplificatrice anziché catartica; sentimenti che hanno impregnato di sé le vite degli altri componenti della famiglia, personaggi sapientemente delineati, le cui precise individualità si ricongiungono poi nel simbolo della famiglia, la falegnameria, con la stanza dei pianoforti mai riparati, destinati a rimanere scordati: il cimitero dei pianoforti, appunto.

La nostalgia, si sa, contiene una forte componente lirica. E in effetti il romanzo raggiunge momenti di vera poesia, perfettamente conservati nella traduzione di Guia Boni, passaggi in cui sembra di seguire una sonata di pianoforte, più che un succedersi di parole.

Un’armonia perfetta che la saudade alimenta, ma che è la stessa saudade a stroncare: perché ad un certo punto è davvero difficile andare avanti con la lettura, dal momento che l’alternanza dei toni si trasforma in una netta prevalenza dei suoni gravi; l’atmosfera si fa davvero insostenibile, e neanche un ultimo cenno di speranza riesce ad alleggerirla.

È un po’ un peccato, perché storia e personaggi sono ben realizzati, la scrittura è di altissima qualità e la bibliografia di Peixoto merita sicuramente uno studio più approfondito; ma nel corso di 263 pagine anche il lettore più aperto e libero da pregiudizi ha necessità di variazione, di un accenno di luce, di una visione non così univoca e un po’ più complessa delle cose. Anche perché, come ogni buon portoghese sa e come Antonio Tabucchi prontamente ripropone, se c’è una cosa importante quanto la saudade, è proprio matar saudade.

Marina Lomunno

José Luís Peixoto, Il cimitero dei pianoforti, Einaudi, pp. 266, euro 15.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazine