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Il cioccolato di Carlo, cittadino globale

Creato il 24 febbraio 2012 da Lundici @lundici_it

Nonostante le recenti nevicate, la sera del 24 febbraio è tiepida. In un palazzo austero del centro di Bologna si sta svolgendo una cena a cui partecipano due tra le persone più potenti del pianeta. Si sono fatti la guerra fino a pochi mesi prima, ma questa è l’occasione per fare pace…Entrambi vogliono mostrarsi affabili, ma allo stesso tempo sicuri di sé. Uno dei due, il più giovane, ha in serbo una sorpresa: al termine della cena porge al secondo, il più anziano, una bevanda stranissima che nessuno aveva mai visto. Calda, scura, con un nome misterioso: cioccolatte.

Il cioccolato di Carlo, cittadino globale

Frutti della pianta di cacao (Theobroma cacao)

Il cioccolato si prepara dal cacao, una pianta tropicale che dà frutti delle dimensioni di una palla da rugby. All’ interno del frutto si trovano una quarantina di semi (o fave) grandi come mandorle, dalle quali si ottiene il “burro di cacao” che serve a produrre il cioccolato. La pianta di cacao è probabilmente originaria della valle dell’Orinoco al confine tra Colombia e Venezuela. Da lì i Maya (1500 a.C. – 1000 d.C.) lo introdussero nel Messico meridionale e poi gli Aztechi, qualche secolo dopo, lo portarono un poco più a nord.

Entrambi i popoli consideravano sacri il cacao e la bevanda che ne derivava. Il cioccolato era cosa di sacerdoti e re che lo bevevano a fine pasto e durante cerimonie religiose. Il sapore era forte ed amaro, dato che vi si aggiungeva peperoncino o altre spezie e niente zucchero. Lo stesso nome “cioccolato” deriverebbe dalle parole xoco (amaro) e atl (acqua). Nulla a che vedere quindi con il latte come l’assonanza fonetica lascerebbe intendere soprattuto nel nome che gli fu dato inizialmente dagli europei: cioccolatte.

Esiste anche una leggenda sull’origine del cacao: un principe azteco partì per la guerra e lasciò la moglie a custodia del suo tesoro. Vennero i suoi nemici e torturarono la principessa perché gli rivelasse dov’era nascosto. Ma lei preferì morire piuttosto che tradire il marito. Nel punto dove cadde, la terra fu fecondata dal suo sangue e germogliò una pianta dai semi amari come la sua sofferenza, forti come la sua virtù e rossi come il suo sangue: il cacao.

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Il cioccolato era bevuto caldo dai Maya e freddo dagli Aztechi

I semi di cacao erano così preziosi da essere utilizzati dagli Aztechi anche come moneta di scambio. Un coniglio costava 10 semi, uno schiavo 100 ed i favori di una prostituta 10…

Come tante altre cose quindi, il cacao non era conosciuto in Europa fino al famoso viaggio di Colombo. Fu proprio lui il primo europeo ad assaggiare il cioccolato nel 1502, ma – nonostante gli indigeni lo considerassero prezioso – non ci fece caso, probabilmente a causa del sapore terribile per il gusto del Vecchio Mondo.

Fu Cortés, il condottiero spagnolo che sconfisse gli Aztechi e che aveva una grande capacità di comprendere le cose del mondo, a portare il cacao in Europa (1520). Inizialmente a farne gran uso furono i religiosi. Gli spagnoli avevano infatti notato che bere cioccolato dava energia e questo era perfetto per il digiuno religioso durante il quale non si poteva mangiare, ma si poteva bere…Pare che fu proprio una monaca di Oaxaca (Messico) ad avere l’idea di aggiungere lo zucchero rendendo il cioccolato più appetibile per il raffinato gusto europeo. Dovette passare però un secolo di discussioni perché la Chiesa, nel 1622, ufficializzasse che il cioccolato non interrompeva il digiuno e poteva perciò essere bevuto senza sensi di colpa.

Ma a chi venne fatto assaggiare il cioccolato appena sbarcato in Spagna nel 1520? Ovviamente alla persona più importante di tutte: Carlo V. L’imperatore Carlo V è un personaggio assai interessante. Per una serie di complicati meccanismi dinastici, si ritrovò a governare un impero enorme composto da Spagna, Germania, Austria, Belgio, Paesi Bassi più pezzi di Francia, Ungheria ed Italia. Oltre a tutti i possedimenti che la Spagna andava conquistando in America. Per questo si diceva che sul suo impero non tramontasse mai il sole. Carlo stesso era un “cittadino globalizzato” ante-litteram: era nato in Belgio, la sua lingua madre era il francese, visse lungo tempo in Spagna e nelle sue vene scorreva sangue tedesco, spagnolo, francese, polacco, italiano ed inglese.

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I possedimenti europei di Carlo V in verde e giallo

Escludendo Francia, Portogallo e Grecia (…), i possedimenti di Carlo V coincidevano quasi esattamente con l’odierna Unione Europea. Carlo V, così come si sta tentando di fare oggi, provò a fare di quei territori un’autentica entità unitaria, scontrandosi però con difficoltà assai simili alle attuali, tanto che ancor prima di morire fu costretto a dividere il suo impero in due. L’Europa era divisa e variegata: mentre nei Paesi Bassi stava sviluppandosi un’economia borghese, proto-capitalista, in Germania esisteva ancora un sistema semi-feudale, mentre in Spagna la società era dominata da orgogliosi cavalieri-guerrieri. Le distinzioni erano anche culturali, tanto che lo stesso imperatore, di cultura nordica, faticò a farsi accettare nella latina Spagna, anche perché parlava a fatica lo spagnolo. A proposito di tutto ciò, viene attribuita a Carlo V la seguente frase: “Parlo spagnolo a Dio, italiano alle donne, francese agli uomini e tedesco al mio cavallo”…

Ma i maggiori problemi per Carlo non erano interni, bensì esterni ed è sufficiente dare un’occhiata alla cartina per comprendere di chi si trattava: il re di Francia ed il Papa Clemente VII. I due si allearono più volte per cercare di limitare il potere di Carlo V (che era comunque un fervente cattolico) e dil teatro dei numerosi conflitti fu spesso l’Italia, che proprio da questo periodo perse ogni propria autonomia per divenire luogo di conquista e battaglia di potenze straniere per molti secoli a seguire (si potrebbe dire fino al 1945).

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Un'immagine di Carlo V. L'imperatore era un mascellone con un mento particolarmente prominente (la "scucchia")

Fu proprio l’oro che cominciò ad arrivare dal Messico a consentire a Carlo di finanziare queste guerre continue. E fu proprio con questo oro che Carlo V assoldò un agguerrito contingente dei famosi lanzichenecchi per dare una lezione al Papa. I burberi tedeschi scesero lungo l’Italia (vedasi il magnifico film di Ermanno Olmi “Il mestiere delle armi”) fino ad assediare e saccheggiare Roma dove rimasero da padroni per ben nove mesi. Fu un evento traumatico per la Città Eterna che venne devastata, 1117 anni dopo l’altro famoso sacco ad opera di Alarico. Lo stesso Papa dovette rifugiarsi a Castel S.Angelo da cui riuscì a scappare dopo diverse peripezie.

Il Papa fu comunque costretto fare la pace con l’imperatore e si raggiunse un accordo: Carlo V – che era già stato incoronato imperatore nel 1520 in Germania – sarebbe stato incoronato di nuovo, questa volta solennemente dal Papa così da garantirgli immenso prestigio. Bisognava scegliere la sede e dato che a Roma, dopo tutto quello che era accaduto, non si poteva, fu scelta la seconda città più importante dello Stato Pontificio: Bologna

La città emiliana si trovò quindi al centro di un evento di portata mondiale a cui si preparò imponendo tasse e balzelli a più non posso per finanziare la costosa organizzazione del summitClemente VII giunse in città il 24 ottobre 1529, mentre Carlo V arrivò il 5 novembre. Al seguito dei due personaggi c’erano migliaia dignitari e soldati che rimasero in città diversi mesi, non sempre da benvenuti. L’incoronazione ebbe infatti luogo il 24 febbraio 1530 nella chiesa di S. Petronio in Piazza Maggiore.

Per l’occasione si fecero le cose in grande in modo che anche il popolo potesse godere: le strade furono addobbate con drappi colorati, innalzati archi di trionfo, le piazze cosparse d’erbe, costruite due fontane da cui sgorgava vino rosso e bianco ed addirittura posto a cucinare sulla piazza un gigantesco bue allo spiedo.

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Piazza Maggiore a Bologna: sulla sinistra la chiesa di S.Petronio e sullo sfondo a destra il Palazzo Comunale

La piazza si affollò di tutto il popolo, sia per vedere i vips, sia perché si prevedevano lanci di monete per celebrare l’avvenimento (come difatti avvenne). Perché tutti potessero vedere e perché i nobili non si mescolassero con la plebe, fu costruita una passerella in legno sopraelevata che da una finestra del Palazzo Comunale trasformata in porta conduceva direttamente in cima alle scale della Chiesa. Una specie di “red carpet” ante litteram…

Prima passò il Papa con la sua delegazione e poi Carlo V. Appena l’imperatore fu passato, la passerella sospesa sulla piazza crollò tragicamente travolgendo ed uccidendo alcuni poveracci. Nessuno se ne preoccupò e tutto andò avanti come previsto: “the show must go on!”.

Dopo la solenne e fastosissima incoronazione, il Papa e Carlo V, con tutto il numerosissimo e sfarzosissimo seguito fecero una spettacolare cavalcata per le strade della città, applauditi dal pueblo festante, mentre le artiglieri sparavano a salve, si tenevano giochi e venivano gettati fiori dalle finestre.

La cerimonia durò dalle 14 alle 23 (mica facile fare l’imperatore o il Papa…) ed era finalmente arrivato il momento di godersela. Nel Palazzo del Collegio di Spagna, che ospitava Carlo V nel centro di Bologna, fu allestito un gigantesco banchetto che durò tre giorni interi. L’imperatore ed il Papa potevano finalmente rilassarsi, anche se tra i due rimaneva viva una certa diffidenza. In una enorme sala affrescata riscaldata da vari caminetti, si sedettero e si spogliarono di mantelli, corazze, corone e mitre varie: si poteva cominciare a mangiare.

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Il Papa Clemente VII

Carlo era un trentenne nel pieno della sua forza fisica, mentre Clemente VII (che era un fiorentino, nipote di Lorenzo il Magnifico) aveva 52 anni. Carlo era assai ghiotto e – dopo le fatiche della giornata – non vedeva l’ora gustare tutte le prelibatezze che i suoi cuochi avevano preparato per lui e il Santissimo ospite.

Bologna era territorio pontificio, ma quella sera si cenava a casa di Carlo e lui voleva fare di tutto per impressionare quel Papa che tanto filo da torcere gli aveva dato, ma che quel giorno gli aveva messo la più importante delle corone sulla testa. Voleva rendergli chiaro che il presente ed il futuro erano dalla sua parte e che il mondo girava secondo i suoi voleri; un mondo che stava diventando ogni giorno più vasto, là oltre l’Oceano dove le sue truppe sottomettevano imperi e soggiogavano popoli. L’Italia diventava piccola così come piccolo diventava il suo Papa. Bisognava pensare in grande: le Americhe si svelavano ogni giorno più sconfinate e meravigliose; ogni giorno arrivavano notizie di nuove terre, nuove conquiste, nuove scoperte sbalorditive. E tutto questo era suo, di Carlo. Cosa ne sapeva quel piccolo Papa?

E così a fine cena, in un palazzo merlato nel centro di Bologna, il giovane imperatore, belga, austriaco, spagnolo, americano, europeo porse una tazza fumante al vecchio Papa fiorentino; una tazza contenente una bevanda che nessuno aveva mai provato fino a quel momento fuori dalla Spagna, una bevanda stranissima e misteriosa, che arrivava direttamente dalle Americhe, dal Nuovo Mondo: “Tenga Santità, lo provi: si chiama cioccolatte


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